La strage di Bologna e l’ultimatum dei palestinesi ‘pronti a colpire innocenti’

Un vero e proprio ultimatum all’Italia, con scadenza 15 maggio 1980, a poco più di un mese dalla strage di Ustica (27 giugno 1980) e di due dalla bomba alla stazione di Bologna (2 agosto 1980). A lanciarlo, stando ai documenti rintracciati nelle migliaia di carte del processo sulla strage di Piazza della Loggia dallo storico-ricercatore Giacomo Pacini e finiti integralmente sulle pagine social di altri ricercatori ed esperti di anni di piombo, sarebbe stato il Fronte popolare per la liberazione della Palestina.

Il documento in questione è una nota del Sismi del 12 maggio 1980. Un appunto, classificato come “riservatissimo” ma attualmente accessibile a chiunque faccia richiesta alla Casa della memoria di Brescia perché finito inspiegabilmente nel fascicolo del pm di Brescia insieme a una nota precedente, risalente al 24 aprile 1980: Pacini e altri ricercatori lo hanno scovato per caso nel cd contenente gli atti digitalizzati del processo sulla bomba del 28 maggio 1974. La nota degli 007 avrebbe come oggetto “Minacce contro gli interessi italiani” e, come si vede sulle pagine Facebook di chi l’ha pubblicata integralmente, riporta testualmente l’ultimatum del Fronte all’Italia:

In caso di risposta negativa (alle richieste palestinesi, ndr), la maggioranza della dirigenza e della base del Fplp intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti del’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti”. Ma che cosa era successo? Stando sempre ai documenti finiti negli atti del processo di Brescia e pubblicati dai ricercatori, i rapporti tra Italia e Palestina, che dal 1973 sarebbero ‘regolati’ dal lodo Moro (presunto accordo che avrebbe previsto l”immunità’ del nostro paese da attentati in cambio di una libertà di movimento e di transito di armi per l’Fplp, ndr), entrerebbero in crisi con l’arresto, a Bologna, di un esponente di spicco del Fronte, Abu Saleh, immediatamente successivo all’arresto di tre esponenti dell’Autonomia sorpresi ad Ortona con dei missili.

Siamo a novembre 1979. L’Fplp, a quanto sosterrebbero le due note dei nostri 007 in Libano pubblicati dai ricercatori, attraverso i contatti tra i suoi esponenti e il capocentro del Sismi a Beirut, il colonnello Stefano Giovannone, chiederebbe all’Italia di aderire a una serie di richieste, tra le quali l’assoluzione di Abu Saleh, o il lodo Moro sarà rotto e il Fronte sarà libero di fare attentati sul nostro territorio “con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti”.

La scadenza dell’ultimatum – stando sempre ai documenti – sarebbe fissata al 15 maggio e la nota (insieme a quella del 24 aprile) di fatto racconterebbe i contatti tra Sismi e Fplp per tentare di trovare un accordo, svelando le preoccupazioni degli 007 in caso di probabile risposta negativa da parte dell’Italia.

Negli appunti ci sarebbe il dettaglio delle condizioni, tutte relative al caso dei missili di Ortona.

I palestinesi in particolare chiederebbero di “celebrare il processo di appello per la vicenda dei due SAM-7 in giugno-luglio anziché in settembre-ottobre come previsto”, anche se “la dirigenza del Fplp si riserva di riesaminare l’argomento alla luce dei riflessi negativi – nell’attuale momento – determinati dalle asserite rivelazioni del brigatista Peci che, per il loro impatto sull’opinione pubblica, sul Parlamento e sul Governo, potrebbero rendere non conveniente l’anticipazione del processo”.

La seconda condizione – seguendo la nota dei nostri servizi segreti dell’epoca pubblicata dai ricercatori – riguarderebbe l’esito del processo di appello. L’Fplp chiederebbe di “ottenere la riduzione a circa quattro anni della pena inflitta ai tre autonomi e l’assoluzione ‘per insufficienza di prove’ di Abu Saleh Anzeh”.

Una terza riguarderebbe il rinvio a giudizio per “partecipazione a banda armata”: l’Fplp chiederebbe all’Italia di “adoprarsi affinché il relativo processo, di competenza della Magistratura di Roma, non abbia luogo”. Quindi, la concessione ai condannati del “beneficio, previsto dalla legge, di cui hanno fruito l’ex Ministro Tanassi e gli avvocati Lefebvre”.

Infine, l’ultima richiesta, sarebbe la distruzione dei missili sequestrati “una volta concluso l’iter giudiziario” e “alla presenza di un rappresentante della difesa” e “il risarcimento del prezzo pagato (60.000 dollari)”. Nel primo appunto poi il Sismi riferirebbe che “l’elemento contattato (l’esponente del Fronte, ndr) ha assicurato di aver ottenuto che sino al 15 maggio p.v. non verrà attuata alcuna azione contro gli interessi italiani ma che, improrogabilmente entro quella data, dovrà essere data, tramite il Servizio, una chiara risposta positiva o negativa da parte delle Autorità italiane” e che, “qualora la comunicazione da parte italiana, attesa entro il 15 maggio p.v., fosse negativa o non desse sufficiente affidamento circa l’accoglimento delle richieste avanzate, il Fplp riterrà definitivamente superata la fase del dialogo, passando all’attuazione di quelle iniziative già reiteratamente sollecitate dalla base e da una parte della dirigenza”. “Dette iniziative – reciterebbe ancora l’appunto redatto dal Sismi e riportato dai ricercatori – potranno svilupparsi sotto forma di operazioni a carattere intimidatorio o ‘di appoggio’ alla organizzazione degli autonomi, nei cui confronti il ‘Fronte’ si sente moralmente impegnato”.

Ma c’è di più. Nella documentazione acquisita da Pacini e trasformata in un saggio confluito nel libro su Moro e l’Intelligence (edito da Rubettino) ancora più drammatici sarebbero i toni della nota del 12 maggio 1980, tre giorni prima della scadenza dell’ultimatum. Il rapporto del Sismi riferirebbe dell’incontro dell’11 maggio tra il colonnello Giovannone e un esponente del Fplp, che, tra l’altro, confermerebbe “la data del 16 maggio quale termine ultimo per la risposta da parte delle Autorità italiane alle richieste del ‘Fronte'”, facendo sapere che “in caso di risposta negativa, la maggioranza della dirigenza e della base del Fplp intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti”. A tal proposito, l’esponente palestinese, riferirebbe ancora la nota degli 007 scovata dal ricercatore Pacini, ha “lasciato capire che il ricorso all’azione violenta sarebbe la conseguenza di istigazioni della Libia, divenuta il principale ‘sponsor’ del Fplp, dopo la rottura di quest’ultimo con l’Iraq e per effetto delle incerte relazioni con la Siria”. In ogni caso, avrebbe assicurato l’esponente del Fplp secondo quanto si legge nell’appunto, “nessuna operazione avrà luogo prima della fine di maggio e, probabilmente, senza che vengano date specifiche comunicazioni”. (AdnKronos)

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