Lucca, vescovo anguilla. Ma dubbi e amarezze su Bergoglio restano e sono destinati ad aumentare

di Aldo Grandi

Se monsignor Italo Castellani era seguace di papa Bergoglio, il suo successore, monsignor Paolo Giulietti da Perugia, nuovo vescovo della diocesi di Lucca, ne è il segugio. Le sue risposte alle nostre domande, in una interSvista vis à vis senza limiti né obblighi o censure, ne sono la testimonianza più fedele e spiegano anche, in un certo senso, i complimenti e l’attestato di fiducia che papa Francesco aveva speso per lui poco dopo il suo insediamento.

A noi monsignor Giulietti, nel poco tempo che abbiamo avuto a disposizione, ci è sembrato senza dubbio, probabilmente non soltanto per via dell’età, ma anche come approccio, decisamente più propositivo, convinto e tecnologicamente all’avanguardia del suo predecessore monsigno Italo Castellani. La facilità e la velocità con cui tratta il suo pc-tablet e le relative funzioni del sistema operativo dimostrano che a Lucca, questa volta, hanno mandato l’avanguardia d’Oltretevere decisi a presidiare e difendere le posizioni acquisite nel corso dei secoli – e ultimamente, invero, se non perdute, sicuramente smarrite – in un territorio da sempre, per tradizione, carattere e volontà, vicino alle cose di chiesa.

A noi – da non confondere, per cortesia e riferito alla sinistra nostalgica della guerra civile, con l’A noi! grido dei fascisti mussoliniani di un secolo fa – pur riconoscendogli una dialettica piacevole e impostata, le risposte del nuovo vescovo di Lucca non sono piaciute. Ci aspettavamo qualche ammissione di colpa, qualche comprensione per i fedeli sempre più disorientati, invece abbiamo avuto solamente una sorta di batti e ribatti, un ping-pong che ha reso le domande, perdonateci la presunzione, sicuramente più insolite e attraenti delle risposte.

Forse non siamo stati capaci di incalzare più del previsto e del dovuto il nostro interlocutore, ma la delusione è stata inevitabile. La verità, per noi, era ed è sempre la medesima anche dopo il colloquio all’arcivescovado. Papa Francesco, primo papa gesuita della storia, sta portando avanti non la causa dei fedeli cattolici, ma una più ampia propaganda livellatrice e priva di dogmi destinata ad annullare, anche in religione, ogni differenza in favore di una eguaglianza di fedi e di contenuti che esistono solamente nella superficie delle cose e non certo nell’antropologica profondità della tradizione.

Da papa Bergoglio e dal suo segugio-seguace monsignor Giulietti, la gente di Lucca, ma, diremmo, gli italiani d’Italia – quelli veri, non quelli verniciati di rosso che di italiano hanno solo stipendi, furbizie e prebende – si aspettano risposte concrete, dimostrazioni effettive e prese di posizione chiarificatrici e assolute. Interessano poco le missioni evangelizzatrici annunciate così come le aperture su tematiche che rendono la Chiesa, ormai, molto, molto simile ad un partito, quello radicale, teso a proteggere e sostenere più le minoranze che non la maggioranza e ad una Ong battente bandiera indeterminata.

Questo tipo di Chiesa, erede, dicono alcuni, di quella della teologia della liberazione – a noi sembra, in realtà, un po’ diversa se non altro per fini e periodo storico – che tanto era in voga negli anni della beata (in)coscienza e della contestazione spiccata, ha, purtroppo e a nostro avviso, abdicato al ruolo che aveva e che per secoli, sia pure con clamorosi errori, ha rivestito. Oggi il papa apre la bocca un giorno sì e l’altro pure per sostenere la causa dei clandestini provenienti da tutto il mondo, in nome di una geografia senza più confini né barriere, come se gli stati fossero, e sono secondo l’ideologia marxista, delle sovrastrutture da abbattere al fine di raggiungere la dittatura di quel proletariato che non esiste più se non nei ricordi dei meno giovani militanti comunisti.

Nonostante ciò che dice Giulietti, il papa, in realtà, si espone sui media con toni e apparizioni differenti a seconda delle tematiche affrontate. Se, da un lato, esalta tutto ciò che riconduce ad un mondo senza differenze e senza differenti, dall’altro bacchetta, timidamente, tutti i sistematici tentativi che da una parte politica, quella cosiddetta liberal, radical chic o progressista, vengono posti in essere per distruggere le fondamenta non solo dell’attuale sistema, ma della natura in senso stretto.

Adozioni e matrimoni gay, lesbo, trans, queen e chi più ne ha più ne metta, teoria Gender nelle scuole di ogni ordine e grado; omosessualità dilagante tra i preti e ampia e comprovata difficoltà a porre un argine e a punire i responsabili di centinaia di migliaia di tragedie umane; apertura illimitata di credito all’Islam nonostante ciò che quotidianamente avviene nel nostro Paese, in Occidente e nei paesi arabi; rinuncia all’egemonia di una religione che ha portato, nei secoli, cultura, ricchezza, arte e contributi fondamentali, alcuni dei quali, certo, tutt’altro che illuminati, ma che, non si può negare, ha rappresentato un importantissimo e irrinunciabile elemento di sviluppo nella storia dell’Occidente e in particolare del nostro paese; mancata difesa di tutti quei fedeli che, per colpa della Chiesa, in giro per il mondo sono diventati credenti di Dio e che subiscono persecuzioni e tragedie senza che da piazza S. Pietro si avvertano, come si dovrebbe, tuoni e fulmini; interventi apertamente a gamba tesa nella politica e nelle istituzioni sfasciate di questo (dis)graziato Stivale, con i quali, ad esempio, si riceve e si dà ampia notizia del ricevimento di una delegazione del sindacato Cgil per trattare di lavoro e migranti, ma ci si rifiuta di incontrare o anche solo di accettare come interlocutore un ministro dell’Interno che sta facendo, lui sì, gli interessi dei cattolici.

Tutto ciò conduce, inevitabilmente, a porsi delle domande e a darsi, in loro assenza, delle risposte, forse anche superficiali come sostiene il segugio di Bergoglio, ma tutt’altro che incomprensibili, ingiustificate e campate in aria.

A noi – occhio all’avvertenza di prima – questo papa fa l’effetto di un tuffo nell’acqua gelata mezz’ora dopo aver finito di mangiare: ci provoca, a dirla tutta, una indigestione e l’alternativa per non perire e lasciarsi andare a previsioni catastrofiche per le future generazioni, è quella di aprire ancora di più gli occhi – e lo stomaco – per non finire nel mondo dei più.

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