Il Partito Democratico pronto a trasformarsi nel PCI

di Claudio Romiti

I vertici del Pd hanno strumentalizzato gli indignados nostrani, come fecero i comunisti nei confronti dei “mitici” sessantottini. Bersani e Fassino hanno perso i consensi da parte dei giovani dirigenti che chiedono una svolta e un profondo cambiamento della politica economica. Partendo dal presupposto liberale che l’unica strada per salvare il Paese dalla deriva del debito e della bassa crescita passa attraverso un sostanziale passo indietro della spesa e delle competenze pubbliche, l’attuale sistema politico presenta due chiare anomalie: una destra che non fa esattamente il proprio mestiere, rincorrendo troppo spesso la sinistra sul piano di un marcato statalismo e, soprattutto, una medesima sinistra che nel complesso, tranne qualche ridicola operazione di maquillage propagandistico, risulta ferma su posizioni antecedenti al crollo del muro di Berlino.

Basti pensare alla strumentalizzazione che i vertici del Pd hanno operato nei confronti degli impresentabili indognados nostrani. Una strumentalizzazione in tutto e per tutto simile a quella che i loro predecessori del vecchio Pci realizzarono nei confronti dei “mitici” sessantottini, le cui istanze collettivistiche, al pari degli attuali indignados, vennero salutate dagli uomini di Botteghe oscure come una sorta di spinta rigeneratrice per la nostra società.

Ma oltre a ciò l’attuale sinistra che si definisce di governo, incarnata al massimo livello dal partito di Bersani, mostra una preoccupante vocazione conservatrice sul piano strettamente economico, tant’è che un folto gruppo di giovani dirigenti dello stesso partito, riunitisi sotto la significativa denominazione di T-party del Pd, hanno prodotto un manifesto programmatico in cui, oltre a chiedere un profondo rinnovamento, contestano molto duramente la politica economica della più grande forza dell’opposizione.

Il bersaglio principale di questi giovanotti, i quali vorrebbero portare il Pd su una strada autenticamente riformista e liberale, è l’uomo scelto da Bersani come responsabile dell’economia e del lavoro, Stefano Fassina. Ora quest’ultimo, durante un recente incontro tenutosi a L’Aquila con alcuni giovani dirigenti del Partito democratico, avrebbe precisato con grande chiarezza la linea del suo partito, suscitando proprio la dura presa di posizione dei T-party “rossi”.

In sintesi, costui ha sostenuto che “il Pd abbia come sua ragione d’essere quella di mostrarsi di fronte ai propri elettori come il portabandiera di un pensiero anti blariano, anti liberista e anti giavazziano dell’economia.” Ciò, tradotto sul piano della prassi politica, significa andare in senso diametralmente opposto non solo a quanto espresso nella famosa lettera agostana della Bce, ma anche nei confronti di quella necessaria linea politica di rilancio del Paese la quale non può basarsi sulla conservazione di un sistema connotato da un eccesso di spesa pubblica e di vincoli burocratici di stampo protezionistico.

In altri termini, al di là della pura propaganda politica, preso atto che nessuna economia può crescere con la presenza di una mano pubblica che intermedia ben oltre metà della ricchezza prodotta, un serio e responsabile partito d’opposizione non dovrebbe presentarsi come valida alternativa a chi obiettivamente non ha fatto fino in fondo il suo dovere sventolando una anacronistica, quanto pericolosa bandiera anti liberale.

Ciò se da una parte potrebbe servire a ricompattare l’area radicale, raggranellando qualche voto in più, dall’altra parte creerebbe nel Paese tutta una serie di nefaste aspettative nei confronti di un neo-statalismo il quale, al di là di ogni ragionamento, risulta assolutamente impraticabile in ragione della nostra difficile situazione finanziaria.

Pertanto, anche se gli uomini di Bersani riuscissero a tornare nella stanza dei bottoni su una linea politica schierata a difesa del grande Leviatano pubblico che soffoca ogni speranza di rilancio, il problema è che sùbito dopo costoro dovranno fare i conti con una situazione che richiede misure diametralmente opposte, pena la irrimediabile bancarotta dello Stato.

A quel punto, dopo aver preso i voti per garantire l’esistente, avranno la forza e la volontà politica di seguire una rotta diversa? Francamente è difficilissimo crederlo.

Claudio Romiti

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