La Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado: “l’avvocato ha manifestato una politica di assunzione discriminatoria” aggravata dal fatto che è un personaggio famoso
La CdA di Brescia ha confermato la condanna inflittagli lo scorso agosto dal tribunale di Bergamo che lo aveva condannato a risarcire 10mila euro ad un’associazione per la tutela dei diritti lesbiche, gay bisessuali, e trans. Oltre alla pubblicazione della sentenza sul Corriere della Sera della sentenza.
Il fatto, si consumò nell’ottobre del 2013, quando a Radio 24 nella trasmissione La Zanzara condotta da Giuseppe Crusciani che ebbe a sollecitare con una domanda provocatoria l’Avv.Taormina. La domanda di Cruciani verteva sul fatto se Taormina avrebbe mai assunto un omosessuale nel suo studio. Taormina rispose: “sicuramente no”, e aggiunse: “nel mio studio faccio una cernita adeguata in modo che questo non accada”.
Inoltre aggiunse che, anche si fosse presentato un laureato a Yale, per Taormina non avrebbe potuto lavorare nel suo studio: “perché lo devo prendere, faccia l’avvocato se è così bravo e così, diciamo, così capace di fare l’avvocato si apra un bello studio per conto suo e si fa la professione dove meglio crede”.
L’associazione, dal nome spiega chi sono e cosa vogliono: “Avvocatura per i diritti Lgbti”, rappresentata dagli avvocati Caterina Caput e Alberto Guariso, denunciarono per discriminazione Taormina e in primo grado vi fu una prima condanna. Ora la conferma della condanna da parte della CdA di Brescia, che ha sentenziato “ha quindi manifestato, pubblicamente, una politica di assunzione discriminatoria” e “si tratta quindi di espressioni idonee a dissuadere gli appartenenti a detta categoria di soggetti dal presentare le proprie candidature allo studio professionale dell’appellante e quindi certamente ad ostacolarne l’accesso al lavoro ovvero a renderlo maggiormente difficoltoso”.
Inoltre, per il fatto poi che Taormina è una persona famosa è un’aggravante: “Questo non può che attribuire maggiore risonanza alle sue dichiarazioni, e quindi, parallelamente, maggiore dissuasività”.
Nel ricorso in appello l’Avvocato ha sostenuto che in quella circostanza aveva solo espresso un’opinione, la sua opinione, che è sancita dalla Costituzione. Il giudiciume di Brescia invece: “è pure vero che l’art.21 della Costituzione garantisce la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione, ma è altrettanto vero che questa libertà incontra i limiti degli altri principi e diritti che godono di garanzia e tutela costituzionale. E’ fin troppo noto che il concetto di limite è insito al concetto di diritto, nel senso che per coesistere nell’ordinanza convivenza civile, le varie sfere e situazioni giuridiche devono essere limitate reciprocamente. È quindi evidente che la libertà di manifestazione del pensiero non può spingersi sino a violare altri principi costituzionalmente tutelati”