BR: riedizione secolarizzata del “mito delle origini” e del “mito del ritorno alle origini”.

MILANO, 08 Ott – di: Alberto Chiarle – Prima parte: Quando nel 1969 uscì la prima edizione del “Manifesto” apparve chiaro che in Italia il movimento comunista era giunto alla fine del suo sviluppo e che iniziava a sfaldarsi, pur nell’apparente e monolitica continuità esibita in pubblico dall’apparato; e basterà neanche una generazione per distruggere totalmente un settantennio di avventura “socialista” nell’URSS,cosa data per impossibile solo dieci-quindici anni prima.
Nel nostro Paese era accaduto intanto che la ‘classe lavoratrice’ – la quale , secondo il “mito della nuova nascita”, avrebbe dovuto essere la protagonista della rivolta sociale liberatrice – aveva trovato il suo piccolo paradiso terrestre tra bilocali di periferia acquistati con il mutuo, la TV, le lavatrici, la seicento e le prime vacanza al mare accessibili della sua lunga storia.

Il “Manifesto” si situò politicamente a sinistra del PCI e ebbe la pretesa di ri-farne ex-novo l’avventura ; ciò fu cosa ovvia e naturale : posizionarsi verso l’origine di un movimento o di una storia (anche personale) quando essa è alla fine per proprio, interiore esaurimento rappresenta il primo passo che in ogni movimento – e in ogni vita umana – si fà quando ci si trova di fronte ad un vicolo cieco : d’istinto “si torna indietro”.
Per i protagonisti dell’avventura del “Manifesto” Il significato di tale “ritorno alle origini” consistette nel rinnegare in toto l’esperienza politica fatta dal PCI dal 1945 in poi , nel vederne e denunciarne errori e compromissioni , e nel cercare una propria strada “veramente comunista” al di fuori dell’apparato di partito, riandando alle origini del movimento e dimenticando – o buttando alle ortiche – tutto quanto fatto e accaduto nel frattempo.
Il che è tipico di ogni autentico “ritornare alle origini” : si distrugge totalmente il mondo presente,”corrotto” e su una strada errata, per far rinascere dalle sue macerie il mondo nuovo, puro e perfetto.
Ma quel passato del PCI non era accaduto invano e non si potè “ri-nascere” ! Nessuno lo puo’, neanche i partiti politici.
Ma a noi interessa non rifare dall’esterno una storia politica ed intellettuale che tutti conoscono ma decifrare sottotraccia il residuo arcaico, inconscio, degradato e secolarizzato operante nella psiche di quelli che si ritennero artefici di un “rinnovamento” culturale ed intellettuale compiuto giudicando se stessi
ai vertici dell’Italia che “che pensava”,mentre ne furono i resti fossili riemersi da tenebre dimenticate.

Seconda parte:  Ciò che è ben visibile sotto l’avventura del Manifesto e successivamente di quella delle “Brigate Rosse” è costituito da due parti,tra di loro connesse da una interiore ineludibile necessità.
La prima è l’evidente incapacità di affrontare il problema politico e sociale del momento, che a quel tempo consistette,per tutta la Sinistra, nella caduta verticale della necessità d’una rivoluzione sociale che redistribuisse, in modo accettabile dalla Società, il reddito complessivamente prodotto nel Paese; cambiamento radicale che imponeva alla Sinistra un radicale ripensamento della sua funzione e della sua ragione d’essere in una Società come quella italiana metamorfosata totalmente dal suo inserimento nell’economia europea, dal boom economico e dagli aiuti del piano Marshall.
Non stiamo qui ad analizzare la strada imboccata dalla Sinistra di allora, perché non è questo che ci interessa. Ci bastano questi brevissimi accenni per chiudere qui la questione.
La seconda reazione al drastico cambiamento di “stato di fatto” e di conseguente prospettiva politica consistette in una specie di chiusura di quasi tutta la Sinistra nel proprio guscio intellettuale e nelle proprie ormai superate ragioni storico-politiche, che nella frange più giovani e più sensibili sconfinò quasi subito in un “ritorno alle origini “ del movimento comunista,di solito limitato all’epoca – passata in leggenda – della guerra partigiana.
Si attuò allora, senza saperlo o senza dirselo apertamente – ma sotto sotto chiaramente intuendolo – un salto intellettuale e morale in un mondo storicamente defunto da millenni in Europa, cioè nel mondo primitivo del “mito”: il “mito delle origini” ed il “mito del ritorno alle origini”.
Vedremo, considerando per brevità di analisi soltanto alcune opere scritte dopo il fallimento di questo “ritorno alle origini”, in che modo, quasi parola dopo parola,questi due miti, propri delle popolazioni primitive distribuite quasi dappertutto nel mondo extraeuropeo e in Europa Occidentale nel tempo che fu, siano stati modi di vivere di molti giovani Italiani, conducendoli quasi per mano a compiere gesta incomprensibili se ci si dimentica che essi agirono sotto l’ invisibile spinta interiore d’un mostro arcaico rinato in loro.
Mostro cui essi per mancanza di capacità di riflessione come di analisi non seppero – e forse neanche vollero far fronte.
Si dice che la tigre, costretta in un angolo, attacchi perché solo in questo modo puo’ sperare di salvarsi ; così questi giovani, le Brigate Rosse, di fronte alla caduta delle loro certezze – il comunismo – e posti brutalmente a confrontarsi non con i sogni ma con la realtà italiana e dell’Est,non seppero fare altro che far rinascere in sé un mito, quello delle “origini” di un “vero comunismo”, che gli permise di sfuggire mentalmente alla dura presa del reale ed a continuare – nel loro caso – a vivere nel mondo di sogno dell’adolescenza.
Però con qualche decina di assassinati di troppo sulla coscienza.
La necessità di cui si scrisse all’inizio spinse gli incapaci di un’analisi vera a rifugiarsi nel morto mito delle origini e del ritorno ad esse.
Oggi, in menti e cuori venuti da noi da fuori d’Europa, entrambi ricompaiono come ossessioni in carne ed ossa nelle strade e nelle piazze delle nostre nazioni.
Per questo l’analisi brevissima del comportamento delle italiane “ Brigate Rosse” ci puo’ aiutare a comprendere il presente e forse a darci la chiave per il futuro.

Alberto Chiarle