COP30: il nuovo Eden digitale del clima – con ID obbligatorio e censura incorporata

COP30: il nuovo Eden digitale del clima

di Carmen Tortora – Eccoli di nuovo, i redentori del pianeta riuniti per la trentesima volta, stavolta a Belém, in Brasile, per salvare il mondo… volando fin laggiù su decine di migliaia di jet privati. Cinquantamila delegati, un’orgia di COâ‚‚ travestita da summit ecologico, e la solita promessa di “neutralità climatica†grazie alla magia contabile dei crediti di carbonio – la truffa più redditizia dai tempi del commercio delle indulgenze.

Ma la vera novità di questa COP30 non è nel fumo denso dei buoni propositi. È nella nuova “proposta rivoluzionariaâ€: la Global Public Digital Infrastructure for Climate, una piattaforma planetaria di gestione climatica con identificazione digitale al centro. Traduzione: un sistema operativo globale per il controllo delle emissioni, delle risorse e – incidentalmente – delle persone.

Dietro le quinte, i soliti volti: la Japan International Cooperation Agency, la Bill & Melinda Gates Foundation, il Boston Consulting Group e il Centre for Digital Public Infrastructure. Tutti riuniti per “creare soluzioni trasformative†usando l’intelligenza artificiale e i big data. Un lessico da manuale tecnocratico che cela l’ennesimo progetto di sorveglianza planetaria sotto il pretesto dell’azione climatica.

L’idea è semplice, anzi geniale nella sua sfacciataggine: costruire un “sistema operativo per l’azione climatica†capace di “coordinare le azioni oltre confine a velocità e scala senza precedentiâ€. In altre parole, un gigantesco software di governo globale con accesso in tempo reale a dati, transazioni e identità. Tutto “per il bene del pianetaâ€.

Al centro di questa infrastruttura c’è un livello di identificazione digitale universale, che “garantisce che ogni parte interessata possa essere riconosciuta e autenticata digitalmenteâ€. Tradotto: ogni individuo, azienda o risorsa avrà un ID unico legato alla propria “impronta climaticaâ€. E poiché la proposta arriva direttamente dal Consiglio delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, il progetto avrebbe valore politico e normativo globale, sovranità nazionale permettendo.

Lula da Silva – il presidente brasiliano, ospite del vertice – ha già annunciato con orgoglio la creazione di un Consiglio ONU per i Cambiamenti Climatici, che fungerà da “amministratore politico†del sistema. Un consiglio mondiale del clima, praticamente un governo digitale “verdeâ€. L’idea, guarda caso, era già apparsa in un saggio del presidente del Rockefeller Brothers Fund, Stephen Heintz, che suggeriva di sostituire il vecchio Consiglio fiduciario dell’ONU con uno “per il clima†in grado di “attuare politiche vincolantiâ€.

In parallelo, al padiglione “Planetary Scienceâ€, il World Economic Forum presenterà un nuovo rapporto sulle “soluzioni tecnologiche emergenti per la salute planetariaâ€, sponsorizzato dalla Fondazione Rockefeller e commentato dall’immancabile Johan Rockström del Potsdam Institute. Il tutto orchestrato dal brasiliano Ronaldo Lemos, giovane leader del WEF e coordinatore del rapporto “Climate DPIâ€. Difficile immaginare un intreccio più perfetto tra filantropia, governance globale e industria della sorveglianza.

Il documento parla apertamente di integrare IA predittiva per “anticipare i rischi, ottimizzare le strategie di adattamento e supportare il processo decisionale a tutti i livelliâ€. Detto altrimenti: un sistema di intelligenza artificiale in grado di decidere per noi cosa sia “sostenibile†e cosa no. Un occhio onniveggente destinato a trasformare l’emergenza climatica in un pretesto permanente per l’interventismo digitale.

E siccome ogni progetto totalitario ha bisogno della sua Inquisizione, ecco spuntare anche la nuova Iniziativa Globale sull’Integrità dell’Informazione sui Cambiamenti Climatici, lanciata da Brasile, Nazioni Unite e UNESCO. Il suo obiettivo ufficiale: “indagare, denunciare e smantellare la disinformazione sul climaâ€. In pratica, un tribunale della verità ecologica con mandato per censurare ogni voce fuori dal coro.

La definizione di “disinformazione†è, ovviamente, elastica come una rete di pesca: tutto ciò che “mina l’esistenza o l’impatto del cambiamento climatico†o “riduce l’urgenza dell’azione globaleâ€. Tradotto: chiunque osi criticare le narrazioni ufficiali o contestare i dati dell’IPCC è automaticamente un negazionista da neutralizzare.

Tra i promotori di questa crociata contro il pensiero critico c’è la Climate Action Against Disinformation (CAAD), un’alleanza di 90 organizzazioni che si propone di “smantellare le campagne coordinate di disinformazione†– cioè, qualsiasi opinione non approvata dai loro sponsor. La CAAD sostiene che la “fiducia globale nella scienza climatica†sta calando a causa di “reti finanziarie potenti che gonfiano artificialmente le opinioni marginaliâ€. In realtà, l’unica fiducia che vacilla è quella verso i manipolatori travestiti da salvatori.

E naturalmente, il cattivo di turno è Donald Trump. La “retorica autoritaria†del suo movimento MAGA e della “coalizione antidemocrazia europea†– dicono – sarebbe la scusa perfetta per giustificare il controllo globale di Internet. Il paradosso è servito: per difendere la democrazia, dicono, bisogna creare un regime di sorveglianza digitale totale. La logica orwelliana al suo meglio: «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza».

Così, mentre i leader mondiali sfilano tra cocktail e panel sulla “transizione giustaâ€, il piano vero prende forma: costruire un sistema digitale globale dove ogni emissione, ogni clic e ogni parola siano tracciabili, valutabili e – se necessario – punibili. Il tutto in nome del “bene collettivoâ€.

Dietro la maschera verde si intravede la solita architettura tecnocratica: fondazioni private, organismi ONU e think tank occidentali che usano il pretesto climatico per fondere in un unico ecosistema governo, finanza e controllo digitale. La promessa è di salvare il pianeta; l’esito, prevedibilmente, sarà di sorvegliare l’umanità.

Benvenuti nella COP30: il primo summit sul clima dove l’aria è tossica di ipocrisia e il futuro profuma di codice QR.

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