Teramo: un bambino con due madri. Conquista di civiltà o deriva culturale?

bimbo con due mamme

di Antonella Baiocchi, psicoterapeuta esperta in criminologia
La notizia del Comune di Teramo che ha trascritto l’atto di nascita di un bambino con due madri, nato all’estero tramite fecondazione assistita, è destinata a sollevare riflessioni profonde. Non tanto sul valore delle persone coinvolte, quanto sul senso di identità collettiva e di democrazia in uno Stato di diritto.

In una democrazia, il principio cardine è semplice: le minoranze hanno diritto di esistere, di esprimersi e di essere tutelate contro ogni discriminazione, ma non possono imporre la loro visione come se fosse norma condivisa, sovvertendo l’assetto fondante della maggioranza. La nostra Costituzione, pur garantendo diritti a tutti, si fonda ancora su un’identità culturale precisa: quella della famiglia composta da madre, padre e figli. È un modello che, piaccia o no, riflette un’eredità culturale, giuridica e simbolica che rappresenta la colonna vertebrale della nostra società.

Questo non significa negare valore alle diversità affettive o identitarie. Le persone LGBTQ+ meritano rispetto, dignità e tutele, ma la pretesa di riscrivere concetti naturali e giuridici — come quelli di madre e padre — in nome di un desiderio personale, rischia di aprire la porta a una deriva pericolosa: quella della soggettivizzazione assoluta dei diritti.

A preoccupare è anche un altro aspetto: gli egocentrici desideri di genitorialità vengono spesso camuffati da “diritto di amare un figlio”, ma si tratta di una mistificazione emotiva. Se davvero fosse l’amore a spingere, ci si rivolgerebbe ai milioni di bambini già nati che attendono di essere adottati e amati. Ma adottare richiede sacrificio, dedizione, rinuncia all’egocentrismo. L’amore vero cerca il bene dell’altro, non la soddisfazione del proprio bisogno.

Chi garantisce i diritti del bambino? Chi protegge la sua identità, la sua storia biologica, il diritto a conoscere le sue origini? Dietro le scelte di laboratorio, dietro atti amministrativi formalmente corretti, spesso si celano mercificazioni del corpo, della maternità, della paternità. Sperma acquistato, uteri affittati, desideri trasformati in “diritti”. Ma un figlio non è un oggetto da ordinare, è un essere umano con bisogni profondi, anche psicologici.

Il problema è culturale. Oggi, in nome di un “politicamente corretto” esasperato, si delegittimano le regole della maggioranza e si svilisce la Costituzione, assecondando ogni desiderio individuale come se fosse diritto esigibile. Ma in democrazia, i desideri non bastano: contano le regole condivise, contano i limiti.

Siamo arrivati al paradosso per cui chi esprime un pensiero critico — pur fondato su dati scientifici, psicologici o costituzionali — viene bollato come “omofobo”, “reazionario” o “nemico del progresso”. Ma non c’è progresso laddove si cancella la realtà biologica, la verità antropologica, o la volontà popolare.

Servono tutele per tutti, ma anche equilibrio, saggezza e una visione chiara di dove vogliamo andare come Paese. Se continuiamo a confondere il rispetto per la diversità con l’annullamento delle differenze, il rischio è di perdere l’identità comune, sostituendola con una somma di pretese individuali in conflitto tra loro.

Il pluralismo è un valore, ma lo è anche la coerenza istituzionale. E l’Italia, oggi, sembra aver dimenticato entrambe.

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