TRA DIRITTO E REALTA’

vaccini TRA DIRITTO E REALTA’

di Alessandra ChiavegattiIn questi giorni è stato reso noto un provvedimento della seconda sezione del Tribunale civile di Roma n. 23807/22 pronunciato in sede di reclamo nella camera di consiglio del 6.06.2022 su un’ordinanza cautelare che aveva rigettato una richiesta simile a quella accolta invece dal giudice civile di Firenze dott.ssa Susanna Zanda nell’ordinanza assurta agli onori delle cronache, in cui veniva reintegrata una psicologa sospesa per inottemperanza all’obbligo vaccinale disapplicando le norme che lo prevedevano in quanto in contrasto con il principio di non discriminazione affermato anche a livello europeo, sul presupposto della non efficacia e pericolosità dei vaccini. Nel caso in oggetto, invece, l’azione era stata intentata da alcuni ultracinquantenni che parimenti ritenevano illegittimo l’obbligo loro imposto, laddove il Tribunale di Roma, decidendo in secondo grado, all’opposto del Tribunale di Firenze confermava l’ordinanza di rigetto del primo giudice.

Dopo aver valutato negativamente nel caso specifico il cd. “periculum in mora”, ovvero la sussistenza di un pericolo attuale e concreto per il diritto in questione tale da legittimare l’accoglimento dell’istanza cautelare, il Tribunale si occupava del cd. “fumus bonis iuris”, ovvero valutava il fondamento giuridico delle richieste dei reclamanti, negando fondamento alle loro argomentazioni.

Per meglio comprendere le motivazioni che hanno portato il Tribunale di Roma al rigetto delle richieste avanzate dai cittadini sottoposti all’obbligo vaccinale, riporto alcuni punti del provvedimento, ritenendo che con ogni probabilità costituirà il modello cui si richiamerà anche il Tribunale di Firenze in sede di reclamo contro l’ordinanza emessa in primo grado della dr.ssa Zanda, atteso che l’Ordine degli psicologi di quella città ha già fatto sapere che sta valutando con i propri legali l’impugnazione del provvedimento.

L’ordinanza impugnata ha messo in evidenza che le norme censurate hanno resistito al confronto dialettico con le Corti nazionali e sovranazionali dimostrando in ogni occasione la loro compatibilità col complessivo “Alto” sistema dei valori, dei diritti e della garanzie vigente nello spazio europeo…Gli Stati membri ben possono imporre restrizioni per motivi di salute pubblica”. Il provvedimento (quello oggetto di impugnazione) dà atto, in buona sostanza, della circostanza secondo la quale le normative contestate (il D.L. n. 52/2021, così come integrato dai successivi D.L. 127/2021 e 172/2021 e da ultimo il D.L. n. 1/2022 e succ.), si pongano sulla fedele scia del doveroso rispetto al dettato costituzionale e ne sono la diretta applicazione” esplicitando che “le norme contestate effettuano un mirabile contemperamento dei diritti del singolo con quelli dell’intera comunità che deve essere necessariamente prioritariamente protetta”.

Si tratta di affermazioni che paiono ignorare la sussistenza di un nucleo di diritti fondamentali e inviolabili ed una soglia di principi che non può essere oltrepassata, in quanto contemplati da tutte le Carte dei diritti dell’Uomo, oltre che dalla nostra Costituzione.

Così è per il principio di non discriminazione menzionato all’art.19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, nonché dall’art.21 della Carta di Nizza e ribadito anche nel Regolamento europeo che introduce il “green pass”, n. 953/21 non solo nel noto considerando 36 ma anche nei considerando 6 e 14, oltre ad essere menzionato in ben tre articoli del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (10, 18 e 19) e anche dall’Obiettivo 16.b dell’Agenda mondiale 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Per non parlare poi del diritto al lavoro e all’uguaglianza e inserimento sociale dell’individuo in tutte le forme possibili, diritti talmente fondamentali che la Costituzione ne parla nei primi articoli, così come è ritenuto fondamentale il diritto alla libertà di movimento, di pensiero e della sua manifestazione, ovvero diritto all’inviolabilità del proprio corpo e alla salute individuale che il Tribunale di Roma ritiene sacrificabili alla salute collettiva (peraltro non concretamente tutelata attraverso questi sieri, per come si è dimostrato in questo anno e mezzo di utilizzo) senza nemmeno soffermarsi a spiegare perché tale interesse collettivo debba prevalere in modo assoluto sugli altri diritti fondamentali degli individui atteso che si astiene dall’effettuare un motivato bilanciamento tra diritti e interessi coinvolti.

Peraltro auspicando il superamento da parte della Corte Costituzionale, come vedremo meglio nel prosieguo, dei parametri sino ad ora riconosciuti dalla giurisprudenza della Suprema Corte per ritenere rispettata la “dignità dell’uomo” di cui al 2°comma dell’art.32 della Costituzione (per cui il sacrificio del singolo e della sua libertà di disponibilità del proprio corpo, di scelta e di cura può essere preteso in nome della difesa della salute pubblica solo se il trattamento imposto è benefico per lui, per la collettività e produce conseguenze tollerabili, non certo danni permanenti e men che meno la morte).

In buona sostanza il Tribunale di Roma nella citata ordinanza ignora totalmente gli effetti avversi, pure menzionati, nella loro effettiva portata sia quantitativa che qualitativa, nonché gli studi scientifici che riconoscono i danni provocati dai vaccini Covid, oltre alla loro inefficacia ormai sotto gli occhi di tutti.

Quanto al rilievo avanzato dalla difesa che la normativa in esame è già stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, in particolare dalla C.G.A. della Sicilia, il Tribunale di Roma ha affermato che quella stessa Corte non ha ritenuto convincenti le obiezioni circa la natura sperimentale (come tale non idonea a fondare uno specifico obbligo terapeutico) del siero “posto il rispetto di tutte le fasi procedurali descritte nel regolamento n. 507 della Commissione Europea del 29 marzo 2006 che ha disciplinato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali” laddove “alla luce dei rapporti di monitoraggio offerti dall’Agenzia italiana del farmaco e dall’Istituto Superiore di Sanità, non è contestabile il profilo di efficacia complessiva della campagna di vaccinazione, concepita, certo, con l’obiettivo di conseguire una rarefazione dei contagi e della circolazione del virus, ma anche allo scopo di evitare l’ingravescenza della patologia verso forme più̀ severe che necessitano di ricovero in ospedale.

Ritengo che anche qui si tratti di un’affermazione apodittica su vari versanti. Il primo sulla natura non sperimentale dei sieri, evidenziando come la natura stessa di “autorizzazione condizionata” postuli (e lo dice lo stesso Regolamento citato all’art.4) che malgrado non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza ed efficacia del medicinale siano rispettate altre condizioni indicate nella norma tra cui: “rapporto rischio/beneficio del medicinale” (in particolare quelli di cui all’art.1 paragrafo 28 della direttiva citata 2001/83 ce connessi alla qualità, sicurezza, efficacia per la salute del paziente e la salute pubblica); probabilità che il richiedente possa fornire in seguito dati clinici completi; il medicinale risponda ad esigenze mediche insoddisfatte; i benefici per la salute pubblica superino il rischio inerente al fatto che occorrano ancora dati supplementari.

Alla luce di questo la norma citata dispone che in situazioni di emergenza per la salute pubblica in risposta a minacce per la stessa debitamente riconosciute dall’OMS può essere rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata anche in assenza di dati farmaceutici o preclinici completi purché sia rispettato il citato rapporto rischi/benefici per la salute pubblica e individuale.

Tra l’altro si prevedono degli obblighi specifici di completare gli studi in corso o di condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è positivo e di fornire i dati supplementari mancanti, secondo un calendario previsto nell’autorizzazione (questo calendario è indicato negli allegati in cui si prevedono termini intermedi nel corso del 2021 per colmare lacune specifiche e un termine finale fissato al dicembre 2023 sullo studio C4591001 randomizzato controllato verso placebo, in cieco per l’osservatore).

Queste tempistiche per il completamento della sperimentazione, e ad un tempo la prova certa del carattere sperimentale dei sieri, a livello internazionale, si evincono in modo chiarissimo dal sito governativo americano “Clinicaltrials-gov”, il quale si occupa del monitoraggio delle sperimentazioni farmaceutiche sul territorio statunitense, laddove sono inseriti con tutti i dettagli del caso anche i prodotti da noi utilizzati per le vaccinazioni anti Covid-19 (ultimo aggiornamento al 1 luglio 2022 per il “vaccino” di Pfizer-BioNTech).

Il fatto che molti studi pre-autorizzazione non fossero completati lo si ricava, peraltro, anche dagli allegati tecnici dei prodotti autorizzati in via emergenziale per cui, per esempio, negli allegati Comirnaty (prodotto Pfizer-BioNTech) si esplicita chiaramente che non sono stati fatti studi sulla genotossicità, sulla cancerogenicità, sulla platea pediatrica, mentre per i ragazzi over 12 si parla di “studi in fase 2” con osservazione di due mesi, laddove di studi sui ratti si parla anche con riferimento alle donne in gravidanza, alla fertilità, alla trasmissione del principio attivo all’embrione e attraverso il latte materno); analogamente sono stati fatti studi sui ratti per quanto riguarda la biodistribuzione, tant’è vero che questi sieri sono stati messi in commercio con l’idea che la produzione della spike fosse limitata a due settimane e rimanesse nel sito di iniezione, mentre è stato dimostrato che le nanoparticelle lipidiche che contengono l’mrna vanno in circolo per tutto l’organismo stimolando la produzione della spike anche da parte di organi vitali, i quali vengono di conseguenza attaccati dagli anticorpi con effetti analoghi a quelli del long-covid, così come è stato provato che la spike viene prodotta per molto più tempo di quanto ritenuto inizialmente, indebolendo notevolmente il sistema immunitario.

Va anche rammentato che oltre al Regolamento europeo il conseguente provvedimento aifa del 23.12.2020, nell’allegato, parlava di medicinale sottoposto a monitoraggio addizionale prevedendo rapporti periodici di aggiornamento sulla sicurezza (psur), laddove quando gli stessi sono stati richiesti da due associazioni ad aifa e questa ha asserito di non esserne in possesso invitandoli a rivolgersi ad ema, tale Agenzia ha opposto il “segreto militare”.

Mi chiedo se sia questa la “trasparenza” con cui operano le nostre istituzioni, “trasparenza”, si badi bene, che rientra tanto tra i principi affermati dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (art.15) quanto costituisce uno dei cardini dell’Agenda 2030 dell’onu sullo sviluppo sostenibile (obiettivo 16, punto 16.6: “sviluppare a tutti i livelli istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti”).

Non posso che evidenziare come questa “segretezza” dei dati e degli studi aggiornati sull’efficacia e sicurezza dei sieri sia uno degli elementi che impediscono di poter sostenere consapevolmente che il rinnovo dell’autorizzazione condizionata sia legittimo.

Non tiene infatti in considerazione il Tribunale di Roma che dalla fine dello scorso anno l’autorizzazione condizionata è stata “rinnovata” affermando (parlo per il rinnovo di Comirnaty che ho esaminato) che il medicinale continua a rispondere alle prescrizioni tanto del Regolamento 726/2004 quanto del regolamento 507/2006.

Sulla base di quali elementi non è dato saperlo, atteso che: 1.non corrisponde a verità che ci siano tuttora “esigenze mediche insoddisfatte” essendo previste (come peraltro lo erano al tempo della prima autorizzazione) cure per la Covid-19; 2. non potendosi sostenere che gli obblighi specifici di aggiornamento previsti nei Regolamenti menzionati e nell’autorizzazione, nonché nella determina di aifa, siano stati soddisfatti; 3. di conseguenza, non essendo possibile affermare, in assenza di tali studi aggiornati, che il rapporto rischio/beneficio sopra citato sia “positivo”. E questo lasciando da parte il fatto (e qui torna la “non trasparenza” delle istituzioni) che nel rinnovo, ovvero nella decisione di esecuzione della Commissione europea 3.11.2021 sul Comirnaty di Pfizer-BioNTech, si parla di non meglio specificate “variazioni dei termini delle autorizzazioni” come si parla di “pareri dell’ema formulati il 14.10.2021” con un rimando non chiaro (visto che ve ne sono parecchi con quella data non apparentemente connessi), oltre a menzionare “allegati” che allegati concretamente non sono, in quanto “da formulare successivamente”. E lo stesso dicasi per le conseguenti determine di aifa rispettivamente 23.12.2020 e 7.12.2021 in cui si menziona un regolamento ce 1394/2007 sui “medicinali per terapie avanzate” che poi non sono altro che le “terapie geniche” (su cui non mi dilungo solo per esigenze di spazio). E che dire del regolamento UE 2020/1043 del 15 luglio 2020 “relativo all’esecuzione di sperimentazioni cliniche con medicinali per uso umano contenenti organismi geneticamente modificati o da essi costituiti e destinati alla cura o alla prevenzione della malattia da Coronavirus (Covid-19) e relativo alla fornitura di tali medicinali? Visto quello che prevede (e non entro qui nel dettaglio sempre per ragioni di spazio), perché non viene menzionato dalla Commissione europea nelle decisioni che autorizzano l’uso emergenziale dei sieri a mRNA? Si tratta di un regolamento inutile? O ha qualche rilevanza in tutto quello che sta accadendo? E in caso affermativo quale? Ha qualcosa a che vedere con le “variazioni” di cui si parla nel rinnovo o con il precedente regolamento sulle terapie geniche?

Dobbiamo pensare che a fronte di un principio di trasparenza sbandierato ovunque come cardine dell’attività delle istituzioni ad ogni livello, i cittadini debbano fare un atto di fede senza aver modo di verificare quanto affermato e poter sapere quali norme effettivamente disciplinino il più grande esperimento farmaceutico e sociale della storia?

Si ritiene quanto mai distopico, da un lato, voler attuare futuristicamente e a tappe forzate una transizione digitale a tutti i livelli e, dall’altro, tornare ad un sistema di governo e ad una scienza dogmatici e fideistici.

Altro aspetto importante, a mio avviso, sta nella circostanza che il provvedimento del Tribunale di Roma valuti le norme censurate non partendo dalla finalità che esplicitamente il legislatore ha dichiarato di perseguire, ovvero “la prevenzione dell’infezione Sars Cov-2”(tanto che le disposizioni che lo prevedono – da ultimo l’art.1 D.L. 7.01.2022 che lo estende agli ultracinquantenni – titolano: “obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2”) ma rifacendosi ad uno scopo avulso dalla norma e che quindi non dovrebbe trovare spazio in un’analisi circa la sua legittimità e funzionalità.

Il Tribunale parla infatti, oltre che di un “obiettivo di rarefazione dei contagi e della riduzione della circolazione del virus”(palesemente non raggiunto) anche di uno scopo di evitare l’ingravescenza della patologia verso forme più̀ severe che necessitano di ricovero in ospedale, aspetto che la norma non menziona affatto, anche perché lo stesso, semmai, attiene alla scelta di cura del singolo, la quale non è stata ancora giuridicamente sostituita con un’imposizione di cura decisa d’imperio dallo Stato.

Altra affermazione contestabile è quella che attribuisce una complessiva efficacia alla campagna vaccinale sulla base del monitoraggio svolto da AIFA e dell’ISS, ignorando totalmente gli studi scientifici pubblicati a livello mondiale, nonché i dati degli altri database internazionali di farmacovigilanza (tipo Vaers o Eudravigilance sugli effetti avversi segnalati a fronte dei medesimi prodotti) senza tenere conto che la farmacovigilanza di fatto realizzata, al di là delle affermazioni altisonanti contenute in particolare nel rapporto aifa di fine 2021, non esprime in maniera assolutamente realistica l’entità del fenomeno degli eventi avversi. E questo innanzitutto perché la farmacovigilanza passiva non consente valutazioni approfondite sui singoli casi (si pensi che nell’ultima relazione solo il 3,6% dei casi di morte riferiti e il 33% degli effetti avversi gravi sono stati ritenuti correlabili) essendo le segnalazioni perlopiù sommarie e non venendo effettuata alcuna intervista di approfondimento al segnalatore, che invece è prevista nella farmacovigilanza attiva.

In proposito si sottolinea come nell’ambito di un’esperienza di farmacovigilanza attiva avviata dalla Regione Puglia nel 2018 si sia potuto constatare che le correlazioni riconosciute a fronte dei casi segnalati erano la maggioranza.

E’ inoltre un dato di fatto denunciato da molti danneggiati che in Italia il più delle volte i sanitari, contrariamente all’obbligo previsto a tutti i livelli normativi, non segnalano, giocando sulla doppia terminologia “evento avverso”-“reazione avversa” utilizzata nel decreto ministeriale istitutivo della farmacovigilanza del 2015, rispondendo ai soggetti che si rivolgono agli stessi che se non è provata la correlazione non c’è obbligo di segnalazione. Non si dà infatti il dovuto peso a quanto riportato da chi denuncia di aver subito un “evento avverso”, ovvero un evento spiacevole dal punto di vista della salute verificatosi a seguito dell’inoculo a fronte di una situazione precedente di buona salute o anche di patologie pregresse sotto controllo. E questo spesso avviene anche a fronte di casi di morte.

Quando poi anche i casi fossero segnalati, superando il parametro temporale limitato entro il quale le segnalazioni vengono accolte (individuato all’inizio da aifa in 14 giorni, indicazione temporale ad oggi ancora utilizzata dai più, pur non essendo facilmente reperibile l’atto normativo che la stabilisce), i criteri introdotti dagli algoritmi oms adottati sono talmente rigidi, oltre che spesso anche illogici e non scientificamente fondati, da portare ad un riconoscimento delle correlazioni in modo molto sottostimato rispetto alla realtà.

Il provvedimento poi continua: Ciò che non analizza appieno parte reclamante, ma che fa peraltro benissimo il c.g.a., è la speciale condizione di emergenza pandemica rispetto all’ordinario dispiegarsi delle misure di sanità pubblica, ovvero quell’insieme di strumenti legislativi, amministrativi e sanitari intesi a proteggere e migliorare la salute generale e la qualità della vita della popolazione complessivamente considerata. Anche qui sono contenute affermazioni che fanno riflettere in quanto, in primis, si legittima il “diritto dell’emergenza” a comprimere senza limite i diritti fondamentali individuali e, dall’altro, lo si fa ancora una volta con dichiarazioni astratte, basandosi su una ritenuta “intenzione” di protezione e miglioramento della salute generale e della qualità della vita della popolazione, senza valutare in concreto se la realtà abbia confermato le asserite “intenzioni”.

Francamente, non si ritiene così palese il “miglioramento della salute e della qualità di vita della popolazione” apportato da questi sieri, atteso che i vaccinati hanno ugualmente contratto la malattia.

E non essendo affatto dimostrato che sia stata contratta in forma più lieve di come sarebbe stato in assenza di vaccinazione, tenuto anche conto di come sono stati classificati i dati (basti pensare che tra i “non vaccinati” sono sempre stati inseriti anche i vaccinati prima con una sola dose e poi con due “da meno di 14 giorni, ovvero prima del tempo necessario per sviluppare la risposta immunitaria almeno parziale al vaccino”, così dai rapporti di Sorveglianza Covid-19 redatti dall’Iss).

Con migliaia di effetti avversi prodotti in persone sane spesso ignorati dal sistema ma testimoniati da coloro che li hanno subiti e con un aumento percepibile anche dall’uomo della strada dei malori improvvisi (perlopiù tenuti nascosti e relegati ai gazzettini locali, sempre attenti a non menzionare l’eventuale vaccinazione, laddove il dato, nella maggioranza dei casi, è però ricavabile dalla professione svolta, dal fatto che si trattava di ultracinquantenni non sospesi, nel caso di ragazzi dalla circostanza che magari erano tesserati in società sportive, quando non ricavabile da un profilo “social” in cui il soggetto ha postato la notizia di essersi inoculato).

In poche parole, la percezione di migliaia di persone è che ci sia una distanza sempre più abissale tra la realtà raccontata da molti organismi istituzionali e amministrativi nonché dai mezzi di comunicazione di massa e la realtà vissuta dai cittadini.

Laddove questo provvedimento, come tanti altri, non mette il naso fuori dal palazzo trincerandosi dietro le affermazioni degli organi “ufficiali” le cui verità, come si è potuto osservare nel corso di questi due anni, per quanto dogmatiche, sono state spesso completamente smentite (così la capacità dei sieri di immunizzare dall’infezione o la sua efficacia al 95% e di lunga durata, tanto lunga che siamo alla 4° dose in un anno e mezzo).

Continua il provvedimento: Si osserva che, necessariamente, diverso peso hanno le misure di sanità pubblica in un grave contesto di pandemia, inizialmente (ma non solo) certificata dalla delibera governativa dello stato di emergenza di rilievo nazionale ai sensi dell’articolo 24 del Codice della protezione civile (Decreto legislativo n.1 del 2 gennaio 2018). La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la pandemia come “la diffusione mondiale di una nuova malattia, molto contagiosa e ad alta mortalità, per la quale le persone non hanno immunità”.

In questo contesto, le misure di sanità pubblica si trovano a dover intervenire non solo su di una popolazione da proteggere, con misure preventive di profilassi, ma su di una popolazione ammalata, da dover curare per via di un virus ad alta capacità di contagio e di rilevante efficacia patogena. Come osservato dalla dottrina più attenta, le misure di sanità pubblica contestate si sono calate in una dimensione di contesto e in quella dimensione di contesto traggono la ragione della relativa legittimazione, anche in considerazione del diverso e peculiare ruolo emergenziale che esse sono chiamate a svolgere. La Corte Costituzionale dovrà – in risposta – modulare necessariamente i propri precedenti, i quali erano funzionali al contenimento epidemico e non all’attuale contrasto pandemico.

In questo senso la Corte Costituzionale, è altamente prevedibile, attualizzerà quelle condizioni che lo stesso giudice delle leggi aveva peraltro già descritto come legittimanti misure normative recanti obblighi di vaccinazione alla luce della ritenuta prevalenza, nel caso di specie, di conclamate e documentate condizioni emergenziali. Non può, infatti, escludersi che quei canoni della normale tollerabilità possano essere ampliati in relazione alla portata eccezionale del fenomeno pandemico, in un’ottica che miri alla proporzionalità della misura rispetto all’obiettivo da raggiungere, in uno con la cura della popolazione in un contesto di emergenza sanitaria.

Si parla di “popolazione ammalata”, adeguandosi perfettamente alla visione dell’oms secondo la quale la salute non è più innata ma deve essere conquistata a suon di vaccini (vedasi programma di vaccinazione universale), tenendo conto che anche l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, all’obiettivo 3, parla di vaccini per tutti e di necessità di sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per malattie trasmissibili e non trasmissibili.

Il dato di realtà, a mio avviso, sta nel fatto che, a fronte di un’infezione che ormai per molti si manifesta, oggi più che mai, in forma lieve e addirittura asintomatica, grazie ad una campagna di informazione volutamente allarmistica e con l’ausilio dei tamponi pcr nella migliore delle ipotesi ipersensibili (in quanto spesso utilizzati con cicli di amplificazione ben superiori a quelli previsti), gran parte della popolazione viene considerata “ammalata” o “a rischio contagio”. Ragione per cui si raccomanda un nuovo inoculo utilizzando vaccini inefficaci, tarati su una variante ormai scomparsa e con una scadenza prorogata, laddove abbiamo 3 milioni di dosi da smaltire da qui a fine agosto, omettendo di dire che la maggior parte dei soggetti che hanno contratto il virus in forma più grave sono tri-dosati e ignorando totalmente il fatto che queste sostanze per la comunità scientifica internazionale non si sono dimostrate né efficaci né sicure. Oltre a fingere di ignorare che risulta assodato quanto a suo tempo denunciato da diversi scienziati tra cui Montagner, Van der Bossche e Malone, i quali sono stati pubblicamente vituperati perché raccomandavano di non tentare di immunizzare in corso di pandemia, in quanto le “vaccinazioni” avrebbero creato varianti sempre più numerose e aggressive. In relazione infine al previsto nuovo siero cd “bivalente”, di cui pare già previsto l’acquisto, non si dice che in autunno lo stesso sarà divenuto obsoleto, perché già si parla di una nuova variante, cd. “Centaurus”.

Non si può non notare come, partendo da questa visione di una popolazione “ammalata” e “da curare”, sull’onda della dichiarata “emergenza pandemica”(la cui gravità attribuibile al virus e non alla spike vaccinale, appare oggi discutibile – visto che lo stesso Crisanti, non certamente “novax”, ha sostenuto che il virus sta diventando endemico e con esso dobbiamo iniziare a convivere limitando la protezione a fragili e anziani, ove analogamente il Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive del reparto S. Orsola di Bologna ha dichiarato che il virus “va fatto circolare”) tanto il Tribunale di Roma vorrebbe imporre alla popolazione un obbligo vaccinale con i noti sieri così poco efficaci e sicuri, quanto l’Unione Europea e di conseguenza il nostro Stato, contrariamente ad ogni logica comprensibile sul piano di politica sanitaria, abbiano scelto come unica via praticabile quella vaccinale, acquistando un numero spropositato di “vaccini”, al punto da vedersi costretti a regalarne un numero consistente all’Africa, in prossimità della scadenza, ancorché prorogata.

Decidendo i nostri governanti di ridurre considerevolmente la spesa sanitaria e rinunciando a decine e decine di sanitari che vengono mantenuti “sospesi” anche se “guariti”. E ciò nonostante moltissimi studi attestino come la guarigione fornisca un’immunità ben più robusta e protettiva degli inoculi, come convenuto dallo stesso Crisanti, per cui la pretesa di riammissione dei sanitari anche “guariti” solo previa vaccinazione appare una scelta più punitiva che dettata da ragioni di tutela di carattere sanitario.

In questo senso depone anche il fatto che nonostante le corsie siano in sofferenza per il gran numero di sanitari plurivaccinati contagiati, piuttosto che reintegrare quelli che non accettano le imposizioni governative, lo Stato, in barba ancora una volta al principio di non discriminazione, ha bandito un concorso per l’assunzione di sanitari ucraini senza prevedere l’obbligo vaccinale anche per essi.

Dunque “il contesto” emergenziale non contemplato dalla Costituzione (ma ormai prospettato e adottato a fronte ad esempio della guerra in Ucraina o dell’emergenza climatica o della siccità) per il Tribunale di Roma renderebbe possibile bypassare diritti fondamentali e inviolabili riconosciuti da tutte le Carte internazionali e dalla stessa Costituzione, in primis il diritto all’integrità fisica, perché di questo stiamo innanzitutto parlando, per sacrificarlo a un non provato né documentato interesse collettivo derivante dall’utilizzo di questi sieri genici chiamati “vaccini”.

E questo lo dimostrano numerose circostanze, a partire dal fatto che aifa, tanto per parlare di organismi nazionali, si è espressamente detta non in possesso degli studi successivi all’autorizzazione europea previsti dal regolamento 507/2006, così come non è stata mai in possesso degli studi precedenti che fda è stata costretta a pubblicare nella misura di 55.000 pagine al mese da un giudice federale del Texas e che non appaiono così confortanti.

Al punto che la stessa BioNTech ha reso noto ai suoi investitori che “problemi di sicurezza potrebbero indurci a sospendere o cessare la commercializzazione dei nostri prodotti approvati eventualmente assoggettandoci a responsabilità sostanziali incidendo negativamente sulla nostra capacità di generare entrate e sulla nostra condizione finanziaria”.

Dunque una multinazionale come BioNTech è molto più allarmata e realista di quanto non lo siano i nostri governanti, i nostri esperti e molti dei nostri giudici, che non solo pronosticano ma affermano con convinzione che la Corte Costituzionale non potrà che adeguare i propri precedenti orientamenti alla necessità di porre un freno alla pandemia, imponendo a cittadini anche giovani e sani sacrifici che possono arrivare persino alla morte o alle lesioni permanenti (perché la stessa aifa, sia pure in misura di molto ridotta rispetto a quanto emerso da altre fonti scientifiche, statistiche e di esperienza in tutto il mondo occidentale, ha pur sempre riconosciuto la correlazione di 27 morti con i vaccini anti Covid-19).

E ciò in nome di un interesse collettivo che vuole scongiurare un possibile pericolo di malattia per molti asintomatica.

Lo Stato e le sue istituzioni ci chiedono ancora una volta di fidarci raccomandando la quarta dose (chiamata secondo booster per attenuare l’impatto sulla popolazione) e auspicando un obbligo vaccinale, ma da cittadini di un Paese che si dice ancora democratico vorremmo norme e scelte trasparenti, così come vorremmo sieri e dati trasparenti, riscontrabili e verificabili anche da organismi di cittadini e indipendenti, anziché coperti da segreti industriali e militari.

Alessandra Chiavegatti

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