Siamo vittime della “scienza dell’organizzazione”

Armando Manocchia
Armando Manocchia

Quando la Rivoluzione Francese lasciò spazio al disincanto, il filosofo Claude-Henri Saint-Simon divenne uno dei pensatori più popolari del Diciannovesimo secolo […] definito il “precursore del socialismo, della tecnocrazia e del totalitarismo”.
Come Bacon, Saint-Simon credeva che la scienza e la tecnologia avrebbero risolto gran parte dei problemi sociali e tecnici.
Tuttavia, affinché gli esperti tecnici potessero governare la società, le “masse ignoranti” dovevano essere controllate.
Ciò implicava a sua volta la necessità di abbandonare la democrazia e, quindi, la politica di massa.
Al suo posto, egli proponeva l’istituzione di una nuova scienza che avrebbe governato tutte le altre, chiamata “scienza dell’organizzazione”.

La ‘scienza dell’organizzazione’ è dunque pensata come sovrastruttura per governare le ‘masse ignoranti’ attraverso gli ‘esperti’.

Indifferentemente dal contesto nel quale operano, questi hanno un solo obiettivo: creare consenso, modificando la percezione del mondo nel popolo per piegarla alla scienza e la tecnologia.

La martellante presenza di ‘esperti nell’essere esperti’ su tutti i massmedia, dallo scoppio della PSICO pandemia, ha messo in luce questo fenomeno.

Ai lettori / ascoltatori più attenti non sarà sfuggito il ricorso alle tecniche di manipolazione e indottrinamento, condito dal paternalismo tipico di chi si trova nella posizione di proteggere masse troppo ‘ignoranti’ per comprendere la gravità di un problema complesso.

Non saranno nemmeno sfuggite le innumerevoli cantonate e ritrattazioni, alle quali non è seguita però nessuna scusa e men che meno una narrazione meno sicura delle proprie affermazioni.
Dalla celebre sentenza del Burioni che nella trasmissione “Che Tempo Che Fa” decretava: «Io ritengo che in Italia il rischio di contrarre questo virus è zero, perché il virus non circola» agli slogan salvifici sul vaccino, la narrazione della COVID avanza di certezza in certezza. Poco importa se viene puntualmente smentita.

Questo linguaggio tronfio, volto a creare aprioristicamente consenso, chiuso ermeticamente ad ogni dissenso o riflessione, è stato descritto da Geoge Orwell ne I princìpi della neolingua, appendice al suo celebre 1984. Processo di oggettivazione della realtà, la neolingua (Newspeak, ossia “nuovo parlare”) è un espendiente in grado di recidere dalle fondamenta la possibilità di esprimere un’opinione che si discosti dalla narrazione ufficiale portata avanti dai padroni del discorso.

Gradualmente, grazie al ricorso a precise strategie messe in atto nel tempo, il linguaggio viene impoverito, in modo da annichilire ogni riflessione e ridurre il pensiero a un gesto meccanico e inconsapevole di asservimento.

Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing (termine della neolingua utilizzato da Orwell per indicare il socialismo inglese, NdA), un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.

Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archelingua dimenticata, ogni pensiero eretico (vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai princìpi del Socing) sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. […]

Tutto questo avviene oggi, sotto i nostri occhi. La creazione di nuovi vocaboli, l’eliminazione chirurgica di altri (tramite lo spauracchio del politicamente corretto), la mannaia mediatica di epiteti in grado di intirizzire il pensiero alternativo (vedi complottista, negazionista), l’istituzione di Task Force conto la fake news… il clima nel quale viviamo è puramente distopico e nichilista.

L’obiettivo non è la tanto decantata ‘salvezza’ della nostra salute, quanto la distruzione sistematica del pensiero critico e, dunque, della Democrazia.

Questo rappresenta il volto nascosto e, al contempo, più violento della PSICO pandemia di COVID-19.

Questa è, a mio avviso, la questione più grave che ci troviamo a dover affrontare in questo momento, perché lo scopo ultimo della propaganda e della censura non è impedire la libera espressione di un pensiero, ma creare le condizioni perché le persone non siano più in grado di formularlo.

Armando Manocchia

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