Dalla parte del torto

scuola professore

di Emiliano Scappatura – Finalmente mi si autorizza a ritornare nell’edificio scolastico, ma il Ministero, che è capace di lunghi risentimenti, è stato subito chiaro: che non ci si provi a pensare di scurdarse ‘o passato: per noi che abbiamo osato ribellarci deve trasformarsi in una casa circondariale. Ci si rientra quindi, dopo il lungo esilio, ma noi trasmettiamo sempre il cattivo esempio di chi non ha piegato la testa, e quindi non più come professori: un po’ come quei centri di rieducazione di epoca zarista e poi staliniana, se contesti il sistema non c’è da discutere, sei sempre marchiato, devi essere messo da parte.

E quindi dobbiamo avere altri compiti. Quali, non si sa: ancora presidi, esperti sindacali e un fiore di illustri esperti della nazione ha abbandonato ogni altro dibattito per tentare di dare corpo a questa nuova idea dell’insegnante che non deve insegnare, abbiamo varcato nuovi confini dell’umano spingersi oltre, e intanto che ne vengano a capo questi nuovi professori sono stati confinati un po’ qua un po’ là nei vari edifici scolastici italiani in stanze che un giorno ebbero altri scopi, chi in segreteria, chi in qualche aula rimasta vuota, chi dove possa scontare innocuo e dimenticato le sue ore.

A me è andata anche abbastanza bene, sono in una biblioteca, calma, confortevole, ci sono abituato in fondo visto il mio passato intellettuale. Gli alunni, quelli che ti vedono, non nascondono qualche sorriso entusiasta: loro sono come i bambini evangelici, conservano ancora nel loro animo una purezza non macchiata dallo squallore delle cose dei grandi, non posso credere che ignorino il motivo ufficiale per cui d’un tratto alcuni professori erano scomparsi anche se non ne afferrano le cause recondite ma adesso sono anche contenti di rivederci, volevano che tornassimo, sono stupefatti delle macchinazioni e degli intrighi politici, quelli che li hanno compresi, ma ci limitiamo a un saluto affettuoso.

Sarebbe difficile mostrargli che i grandi sono ancora peggiori di come credono, che sono in grado di fare leggi che io non sono in grado di spiegargli perché le leggi non dovrebbero contemplare la cattiveria punitiva ma solo il bene sociale, la ragione al servizio di tutti e non la bassezza al servizio di pochi, e vorrei solo dirgli adesso: cercate, quando sarete grandi, di non assomigliare a noi, a noi che biasimiamo il baratro che abbiamo dietro e poi auspichiamo la dittatura, l’abolizione della stampa, di sparare sulla folla, queste meraviglie, ecco, cercate invece di assomigliare a noi due soli in questa scuola che ancora di questi deliri abbiamo avuto il coraggio e anche l’orgoglio di esserci nauseati.

Il problema è che lo scandalo lo mostrano poi, a vederci, alcuni professori (solo alcuni, per fortuna): quelli, cioè, che dietro le cattedre questa società la vorrebbero istruire e guidare; come ha osato il ministero riammetterli (se così si può dire?).

Qualcuno a rivedermi abbozza un veloce saluto, tanto per mostrarsi entro i limiti del galateo (e non siamo sempre tra persone di un certo livello, tra laureati, in fondo?); qualcuno nemmeno quello, mostrando nello sguardo tutto il suo disprezzo dopo che ha scoperto, nelle scorse settimane, il motivo della nostra assenza; qualche altro si lascia andare a qualche feroce battuta sprezzante (anni di giornalismo on the road mi permettono di non rispondere che io e la mia collega siamo usciti sanissimi da questa ondata pandemica mentre diversi colleghi plurivaccinati si sono ammalati anche più volte: e questo, sia detto chiaramente, senza voler promuovere l’una o l’altra scelta: è solo la violenza e l’intolleranza che c’era dietro la scelta che non ho giustificato).

E allora mi si dice se valeva anche la pena perdere tre mesi di scuola, di lavoro, di stipendio, di tutto, se queste alla fine sono state scelte vincenti. Ecco, allora bisogna chiarire che cosa si intende per vincenti. Come battaglie, quella che ci apprestavamo a combattere, noi sapevamo già che, in questo paese, ci avrebbe visto sconfitti ancora prima di iniziarle.

Dalla parte del torto

In Italia le battaglie per le idee si combattono sempre dalla parte del torto. E si combattono sempre con la certezza della sconfitta. Ma se hai coraggio e dignità, allora devi avere la forza di combatterle lo stesso. Talvolta, devi avere il coraggio di ribellarti anche solo perché, la sera, guardandoti allo specchio, tu possa riconoscere una persona che, anche se non piace a nessun altro, piace comunque a te. Per continuare a stare bene con te stesso anche quando fuori il mondo ha preso un’altra strada.

Come mi disse Brodskij quella sera, se hai paura delle tue idee, allora non devi avere neanche il coraggio di averle. Lui voleva continuare a scrivere poesie, e allora preferì finire in carcere, e lo avrebbe rifatto, perché credeva che fosse una cosa giusta ed era il potere che stava commettendo un atto criminale: cedere avrebbe significato diventarne complice. Perché altrimenti ti puoi giustificare dicendo semplicemente: l’ho dovuto fare perché lo hanno fatto tutti, che è sempre un’ottima giustificazione, naturalmente, ed è usata tantissimo in questo paese dove è così difficile dire di no e se vuoi farlo le giustificazioni non ti mancheranno ed per questo che in questo paese è così difficile fare le rivoluzioni.

E poi, la sera, allo specchio si vedono persone orgogliose che hanno saputo affrontare le scelte nel modo giusto perché in questo paese l’unica scelta sbagliata, in fondo, è trovarsi dalla parte del torto e idealisti e fessi sono la stessa cosa.

Prof. Emiliano Scappatura

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