‘Per me il mio velo è un simbolo di libertà , perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”. Lo dice Silvia Romano, la cooperante milanese rapita nel 2018 in Kenya e successivamente liberata, al giornale on line ‘La Luce’.
“Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio – dice Silvia – Sento la mia anima libera e protetta da Dio”.
”L’idea che avevo dell’Islam – racconta – era quella che in molti purtroppo hanno quando non ne sanno niente. Quando vedevo le donne col velo in via Padova, avevo quel tipico pregiudizio che esiste nella nostra società , pensavo: poverine! Per me quelle donne erano oppresse, il velo rappresentava l’oppressione della donna da parte dell’uomo”.
”Io non avevo paura del diverso e nemmeno ostilità , ma quel pregiudizio negativo c’era. Sicuramente, pur pensando certe cose non le avrei mai dette per evitare di ferire gli altri, ma sì, il pregiudizio lo avevo; per quello posso capire chi oggi, non conoscendo l’Islam, pensa queste cose – aggiunge – All’epoca ero una persona ignorante, non conoscevo l’Islam e giudicavo senza mai essermi impegnata a conoscere”.

