Roma: spaccio e case popolari occupate da pregiudicati. Gip: “Qui non c’è stato di diritto”

Spaccio a Tor Bella Monaca, il Gip: “Qui non c’è stato di diritto. Le persone oneste hanno paura di esistere”. La conformazione territoriale, un alto tasso di dispersione scolastica nella fascia dell’obbligo, un alto numero di persone sottoposte a provvedimenti penali (27% su base regionale), un elevato numero di giovani assistiti dal Sert e tassi molto significativi di disoccupazione giovanile, femminile e di lavoro nero.

Sono questi gli elementi, secondo il Gip Paola Di Nicola Travaglini che cita anche uno studio del Censis e le dichiarazioni del VI Municipio di Roma Capitale davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia il 10 febbraio del 2016, per delineare lo scenario in cui si è maturata l’ascesa criminale del gruppo di spaccio di Manolo Romano, conosciuto come Pisolo, come il fratellastro Leonardo Bevilacqua detto Bruno lo zingaro, due fratellastri che non hanno mai avuto problemi ad usare la violenza.

Il girone dantesco di Tor Bella Monaca – Secondo il Giudice, Bevilacqua e Romano, hanno potuto prendere potere “in modo pressochè incondizionato, grazie ad un contesto caratterizzato da ‘legalità debole’ in cui le forze dell’ordine, nonostante enormi sacrifici e professionalità, fanno fatica ad entrare in alcune zone del quartiere e le persone oneste hanno paura di esistere ed attraversano interi cortili, controllati da spacciatori e vedette, come ombre che non devono vedere e non devono sentire, private dei loro diritti fondamentali”.

Tor Bella Monaca, in sostanza, è un girone dantesco: da una parte le persone oneste, dall’altra chi delinque, in mezzo le forze dell’ordine.

E lo Stato, dov’è? Secondo il Gip Di Nicola Travaglini il “degrado urbanistico, edilizio e sociale che si è prodotto in questo territorio è da attribuirsi anche alla concentrazione di edifici dell’Ater, in gran parte abusivamente occupati proprio da intere famiglie di pluripregiudicati, che presentano alti costi di manutenzione, cui ha corrisposto la scarsità di investimenti sui servizi pubblici e la presenza di residenti appartenenti agli strati più disagiati della popolazione, in condizioni di emarginazione sociale”.

E ancora: “E’ la struttura urbanistica del quartiere, costituita da edifici grigi, altissimi e desolati, a consentire dall’alto e dal basso il controllo del territorio, dello spaccio serrato, del sopraggiungere delle Forze di polizia, con l’uso di sentinelle che si avvisano da una parte all’altra, ostacoli mobili e fissi come le inferriate, depositi temporanei per gli stupefacenti, l’utilizzo di telecamere a circuito chiuso da parte dei clan. Pur ripercorrendo i tratti tipici dei quartieri periferici delle grandi città questa zona costituisce un laboratorio unico nel suo genere, autoctono e diverso dagli altri, che proprio per questo richiede di operare una decodificazione attenta e originale dei segnali da parte delle forze di polizia e dell’Autorità giudiziaria”.

Quindi il monito: “Se non si opera in questi termini si rischia, a torto, di definire come ‘minori’ le associazioni criminali violente e radicate come quella in esame (ossia il gruppo di Bevilacqua e Romano ndr), nonostante queste controllino in modo serrato un importante quartiere, densamente popolato, assoggettandolo quasi militarmente, con vedette e spacciatori, ed imponendo agli abitanti un vero e proprio regime di assoggettamento e di terrore in cui oltre che la dignità personale di ciascuno deve cedere il passo a quella dei capi delle piazze di spaccio e le libertà democratiche, i basilari principi che connotano la civile convivenza e lo Stato di diritto sono sostanzialmente inesistenti da anni”.

Una dura critica, quella del Gip che poi aggiunge: “Qui lo Stato ha difficoltà a porsi ed imporsi, come dimostrato dal fatto che sono gli stessi cittadini ad avvisare gli spacciatori che sono in arrivo i carabinieri, quasi senza necessità delle vedette”.

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