di Luigi Pecchioli
L’iter di formazione di questo governo nasce da un equivoco irrisolvibile: si sta cercando di implementare un sistema maggioritario in un corpo che è stato studiato dall’inizio per funzionare in maniera proporzionale. La formazione del Governo normalmente, per consolidata prassi costituzionale, ed ai sensi del combinato disposto degli artt. 92 e 94 Cost., presuppone che il Presidente incarichi il partito di maggioranza relativa di cercare, attraverso colloqui e confronti con i partiti presenti in Parlamento e quindi all’interno del Parlamento la maggioranza che lo sostenga. Il programma, che la Costituzione non prevede come requisito preventivo, nasce dall’elaborazione e dalla sintesi di questi incontri.
L’attuale legge elettorale che prevede le coalizioni ha eliminato il concetto di partito di maggioranza relativa. Il M5S non è tale, perché la legge elettorale non lo prevede: a vincere sono esclusivamente le coalizioni e se un partito non si vuole coalizzare semplicemente sono fatti suoi, vale comunque come fosse una coalizione. La coalizione che prende più voti è designata a formare il governo, ma, e qui sta la pillola avvelenata, se non esistono più partiti con i quali confrontarsi, allora o prende la maggioranza relativa o semplicemente non può formare un governo.
L’equivoco attuale è quello di considerare esistenti i partiti come forze in sé e non come componenti di una coalizione, che è quello che prevede l’impianto costituzionale voluto dai Costituenti, ma non la legge elettorale. Di conseguenza si sta formando un governo con logiche proporzionali (i partiti che ci stanno) con cui però non si è andati al voto.
Cercare di rompere uno schieramento per fare un governo è necessario, quanto lesivo dello spirito che si è voluti dare: in questo aveva ragione la Meloni quando parlava di “abbandono” della Lega dello schieramento con il quale ha vinto. La coerenza avrebbe voluto che si fosse dato subito incarico a Salvini, il quale con tutto il cdx avrebbe dovuto cercare alleanze e numeri in Parlamento. Essendo di fatto impossibile avrebbe dovuto declinare l’incarico. Fatto lo stesso col M5S si sarebbe dovuto prendere atto della follia di una legge elettorale che, in nome della governabilità, impedisce la formazione di qualsiasi governo democratico (tale non è una coalizione al 51%, secondo il mio modesto punto di vista…), approvare una nuova legge elettorale e riandare al voto.
Purtroppo la formazione culturale inculcata dai media al Paese ha spinto e spinge per una semplificazione dell’offerta politica e verso la predisposizione di un programma di governo, cosa che trovo sbagliata ed in contrasto con lo spirito di una democrazia parlamentare (una forma più liberale dell'”uomo forte al comando”) quindi non c’è speranza che si ritorni ad un proporzionale quasi puro, come volevano i nostri Padri.
In questo contesto assolvo in parte Mattarella, che, al di là dei suoi desiderata, si è trovato comunque in difficoltà e ritengo una soluzione posticcia il “contratto” alla tedesca, atta a nascondere l’impossibilità di conciliare impianto costituzionale e legge elettorale.
La soluzione di Conte è il risultato di questa impossibilità e si pone molto al di fuori della logica con cui dovrebbe essere designato un PdC. Anche qui non ha torto chi storce il naso, non sulla persona ed il suo cv, ma sul senso di questa designazione.
Perché queste considerazioni? Perché bisogna cominciare a dire agli italiani come funziona una democrazia. Grazie ai media l’equazione politica=magna magna è entrata in testa ai cittadini e questo non va affatto bene, perché il corollario è che ci vuole meno politica e meno politici e da qui al partito unico con un unico leader il passo è breve…
Già prendere consapevolezza delle ragioni di questo stallo, ovvero che la democrazia parlamentare esige il pluralismo ed il confronto ed un sistema maggioritario no, ma le nostre istituzioni si costituiscono con il pluralismo ed il confronto, permetterebbe di far fare una scelta di campo precisa: vogliamo il maggioritario? Allora bisogna modificare parte dell’impianto costituzionale, perdendo un po’ di democrazia, ma guadagnando in efficienza. Vogliamo il proporzionale? Allora servono i partiti e non le coalizioni ed il confronto in Parlamento per sintetizzare lì il programma, non prima, prima si votano le idee da immettere in qualsiasi futuro programma e le persone, con il ritorno magari alle prefenze. E’ più faticoso, più lento, ma più rispettoso delle idee di tutti (non lo dico io, lo dice la Costituente…). Questo è il dilemma che va risolto al più presto per il bene del Paese.