Mentre altre decine di migranti provenienti dalla vicina Turchia stanno continuando a sbarcare su questo estremo lembo di terra greca nell’Egeo orientale, in risposta ai violenti incidenti di martedì, il capo della polizia greca (Elas) Dimitris Tsaknakis ha disposto l’invio sull’isola di due squadre anti-sommossa (40 uomini) a bordo di un aereo da trasporto militare C-130. A queste si aggiungono 12 poliziotti dell’unità immigrazione, tra cui uno che parla l’arabo, e altri 250 agenti provenienti dalle isole vicine. La frettolosa decisione è venuta in seguito all’allarme lanciato dal sindaco di Kos, Giorgos Kiritsis, il quale aveva detto che la situazione poteva sfuggire di mano e che c’era il rischio concreto che potesse “scorrere sangue”.
Sull’isola, dove vivono 33mila persone e che era mèta ogni anno di migliaia di turisti, ci sono ormai oltre 7.000 migranti in attesa di ricevere i documenti d’identità per poter proseguire il loro viaggio verso altri Paesi europei. I rifugiati sono accampati in tende da campeggio e sotto ripari di fortuna in giardinetti, parcheggi e viali nella cittadina di Kos e in parte sono stati trasferiti e chiusi all’interno dello stadio locale, trasformato in provvisorio centro di raccolta e distribuzione dei documenti, dove ieri sono avvenuti gli incidenti.
Le ONG: Quinte colonne di Washington
La gestione della crisi immigrazione da parte delle autorità elleniche è stata duramente criticata dall’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere che si è detta “molto preoccupata” per la situazione. Ancora più dura la presa di posizione dell’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) per l’Europa la quale ha detto senza mezzi termini che la risposta di Atene al problema è stata sinora “totalmente vergognosa” in quanto gran parte di coloro che sono sbarcati sulle isole dell’Egeo orientale sono stati costretti a dormire all’aperto senza poter disporre nemmeno dei servizi igienici.
Redazione Tiscali