Imprenditori suicidi, fisco e banche: L’iniquità di un sistema in una visione autobiografica.

La recente estrema protesta di un artigiano edile 58nne davanti all’Agenzia delle Entrate di Bologna , perché oppresso dai debiti e dalla pressione fiscale, ha toccato miei nervi scoperti e dolori vicini e lontani: mi ha ricordato il suicidio, per pudore o vergogna in forma più privata, di tanti altri lavoratori, a partire da quello di un noto piccolo industriale di Bologna, da me a suo tempo ben conosciuto. Negli ultimi anni sono stato coinvolto nella sofferenza di tanti imprenditori che, fieri del loro lavoro, soprattutto nelle regioni ove questo era considerato di per sé un valore, rovinati dalle scelte dei governanti di questo ed altri paesi, che hanno consentito il completo asservimento dei settori produttivi a quello finanziario, sono stati ridotti alla disperazione più nera, nell’indifferenza della politica ed il silenzio della stampa. Nello sconforto e nella depressione sono finiti anche operai che avevano pensato di poter crescere i loro figli coi frutti del loro lavoro … salvo trovarsi disoccupati per ragioni che  nulla avevano a che fare con le loro capacità o quelle della loro impresa.

Letto l’accaduto a Bologna,sono andato indietro di quindici anni: ad un me stesso piccolo industriale, fiero del pane che davo ad una quarantina di dipendenti diretti ed al centinaio che lavoravano per miei terzisti  nel sud: investivo nell’azienda, ma vivevo lavorando moltissimo.  Se ai miei commerciali mettevo a disposizione grosse autovetture, io non utilizzavo un’auto aziendale neppure per andare avanti/indietro dal lavoro …. E non ho mai caricato un pasto ”privato” come spesa aziendale …, Anche se il fisco poi ogni pranzo di lavoro offerto a controparti e legittimamente spesato lo considerava deducibile solo in parte!  Un fesso, direte voi! Ma essere “in proprio” era stato il mio sogno da top manager, ero contento perché mi sentivo utile e rispettato: mi bastava.

Poi una globalizzazione insensata nei suoi tempi così rapidi, e che per questo avevo erroneamente creduto sarebbe stata temperata da interventi governativi di qualche sorta, o rallentata da qualche veto italiano in sede europea: il tessile-abbigliamento, che in Italia impiegava quasi due milioni di persone, era il primo settore ad esserne investito, ed io mi illudevo ancora che il primo interesse della nostra politica fosse il bene comune. Fermo in questa convinzione ho visto tutte le altre aziende industriali del mio genere chiudere in un raggio di trenta chilometri, mentre io tiravo avanti: ma poi dopo la concorrenza di chi fabbricava nell’Europa dell’Est è arrivata quella della Cina, e nell’arco di un paio di anni i  nuovi concorrenti potevano vendere prodotti comparabili ai miei  ad una modesta frazione dei miei costi!

Mi era stato consigliato di “tagliare le perdite”, ma il mio senso d’onore me lo precludeva: per me che fino a poco tempo prima non avevo mai pagato una bolletta in ritardo era però penoso ed innaturale negoziare con banche sempre più voraci, un’INPS che applicava ai miei ritardi interessi  esagerati (nonché fiscalmente indeducibili) , e fornitori che poiché nei guai quanto me erano diventati fin troppo ragionevoli.  Il peggio era guardare negli occhi i miei operai, che sapendo cosa stavo passando, anche se in ritardo di stipendio mi hanno sempre sostenuto: con essi ho avuto ogni aiuto dai sindacati, quelli stessi che non mi avevano permesso di ridurre il personale veramente superfluo alcuni anni prima.

Soprattutto perché avevo visto incrinarsi l’immagine che avevo di me stesso, e sentivo di aver perso il mio senso di dignità e di onore, quante volte in quegli anni ho pensato al suicidio? Molte, troppe…  ma permaneva quel senso cattolico del “non si può fare”, ed il fatto di avere dei figli ancora piccoli: allora ho pregato di poter perlomeno morire, ma per mia fortuna attuale non è successo. Alla fine, dopo avere affossato in quella azienda che tanto amavo tutto quanto avevo guadagnato fino a quel punto della mia vita…  ho capito che non ce l’avrei fatta comunque, ed invece di”morirci sopra” sono andato da quel padre cui non avevo mai chiesto nulla neppure quando mi ero sposato, e gli ho domandato in anticipo gran parte della mia eredità futura … e con questo ho finanziato l’azienda industriale per quanto bastava a tamponare le falle che ne impedivano la vendita (a valori irrisori) ad un imprenditore che con essa non sarebbe però riuscito ad andare troppo avanti nel  tempo, ed a chiudere, pagando di tasca mia ogni suo conto, l’azienda artigiana che le avevo creato di supporto.

Dopo la stanchezza e la pressione degli ultimi due anni di lavoro in quelle condizioni, sono scese su di me la vergogna di una sconfitta cui non ero avvezzo ed una sensazione enorme di inutilità della mia vita…  Ci sarebbero voluti anni e la vicinanza di una donna speciale, che a differenza di altre a quel punto mi amava certamente per quello che ero e non per quanto possedevo o rappresentavo, per spegnere quel desiderio di annullamento e morte che mi portavo dentro.

Come avrebbero potuto sopravvivere altri imprenditori altrettanto determinati, rigidi ed ostinati, ma privi dei miei mezzi per venirne fuori? Si sarebbero suicidati?  In una occasione in anni per me più floridi avevo pagato io stesso le spese di commercialista ed avvocato ad una mia piccola concorrente, per permetterle di fallire senza conseguenze: aveva lottato fino in fondo e non aveva più neppure di che fare la spesa: anni dopo incontrandomi casualmente mi ha detto che senza il mio aiuto in quella occasione si sarebbe suicidata…   Un mio altro concorrente, però della mia stessa stazza, dopo aver visto il fallimento della sua azienda nel ’98 si è scoperto malato di tumore, ed in cinque settimane se ne è andato.

Capirete perché nulla mi dà fastidio più della mentalità cattocomunista che vede in ogni imprenditore un evasore ed un ladro, da mungere e controllare comunque in ogni modo: nella mia vita successiva di imprenditori ne ho frequentati tanti, anche perché sapevo come aiutarli meglio di altri quando si trovavano in difficoltà estreme. Se fra loro v’erano alcuni farabutti (che ad onta del prof. Monti dormono tranquilli e continuano a farla franca) la maggior parte certo non lo era, e cercava semplicemente di portare avanti la propria attività nel modo più regolare possibile in un contesto sempre più avverso.

Chi mi conosce sa come a quel punto, libero dai paraocchi di un cavallo impegnato a tirare la sua carretta, io abbia cominciato a chiedermi le ragioni di quanto avvenuto, guardando con occhio critico al sistema economico ed a  quello finanziario, e stupendomi di quanto andavo scoprendo: se è stato relativamente facile arrivare a comprendere le logiche delle banche commerciali, è stato più laborioso capire la meccanica di quel sistema capitalistico-finanziario che la fine dell’alternativa comunista aveva liberato da ogni suo timore e con esso dalla necessità di condividere la ricchezza con tutti i ceti per mantenere la pace sociale nell’Europa Occidentale. A quel punto esso si era poi organizzato, combinando e governando logiche finanziarie e di globalizzazione, per rastrellare in poche mani tutta la ricchezza ed il benessere creati in mezzo secolo di libertà politica ed economica nei paesi della nostra Europa che più si prestavano allo scopo.

Questi neo-liberisti (che nulla hanno in comune con il pensiero liberale di Einaudi e Sturzo),  dopo il tracollo dell’impero comunista hanno potuto far rivivere in chiave moderna le teorie di Smith e Ricardo che ad inizio ‘800 propugnavano una libera concorrenza, basata soprattutto sul costo del lavoro, in mercati aperti senza vincoli o barriere di sorta: le hanno poi applicate su una scala globalizzata planetaria nella quale rientrava anche una Cina nazional-comunista la cui competitività derivava soprattutto da nuove ed inaccettabili forme di legalizzazione della schiavitù nel mondo del lavoro. Il nuovo sistema sta così vanificando nel mondo occidentale un secolo di progresso nelle condizioni socio-economiche dei ceti medi e di quelli meno abbienti: per l’estremizzazione del profitto si è insomma umiliato il contenuto “etico” ed ambientale insito in quanto veniva prodotto e consumato in Occidente, pregiudicando il nostro futuro.

Man mano che mi si aprivano gli occhi, compreso che il bene comune non è l’obbiettivo né della politica né della finanza, ho iniziato a valutare in modo diverso le informazioni mediatiche, e soprattutto quanto ci veniva sottaciuto. La pressione fiscale e quella contributiva rendono ormai praticamente impossibile lavorare in Italia, salvo che per  grandi aziende, che conseguono ancora risultati di rispetto: secondo la Banca Mondiale la tassazione complessiva dei profitti aziendali in Italia, che include anche i contributi sul lavoro e le altre imposte minori, è del 68,6%: venti punti in più rispetto alla Germania, il nostro punto di riferimento per la sua funzione di traino dell’Europa e per la comune vocazione manifatturiera, e venticinque punti in più della media Ocse.

A quanto vedo, credo però che questa percentuale non consideri l’indeducibilità (ai fini del bilancio fiscale) di troppi costi realmente sostenuti dalle imprese nel perseguimento delle finalità economiche della loro attività , né gli aumenti del loro costo del venduto dovuti al carico fiscale abnorme di quanto acquistano (si pensi ai carburanti!) : in altri termini le stime della banca mondiale (comunque più complete di quelle OCSE che ci vengono continuamente propinate) non considerano come anche l’imponibile sulla quale viene poi calcolata questa folle pressione fiscale… sarebbe ben più bassa se vivessimo in un mondo civile, invece che in un sistema gravato da una enorme casta politica e burocratica ed ove almeno metà dei cittadini riceve ormai qualche genere di benefici che non dovrebbe avere, e per timore di perderli si oppone ad ogni cambiamento.

Mentre imprenditori e disoccupati disperati si suicidano, ed una stampa asservita minimizza motivando genericamente questi gesti come frutto di depressione, difficoltà economiche ed altro, salvo episodi di grande visibilità ed incontrovertibili come quello di Bologna, il governo Monti ci è stato imposto dall’Europa per assicurare il ripagamento del nostro debito pubblico, per metà ormai dovuto ad investitori stranieri, fra cui spiccano le banche francesi.

Ed il governo Monti sta facendo assai bene il lavoro assegnatogli da chi ci ha commissariato: mentre caste e parassiti (salvo che per cosmetica marginale) vengono toccati solo marginalmente nei loro privilegi, ci viene detto e ripetuto che l’enorme aumento di tasse ed imposte in atto è la nostra unica scelta: anche i media dal canto loro hanno fatto la loro parte minimizzando le numerose proteste e ribadendo continuamente che la maggioranza degli italiani ha fiducia in questo governo: alla fine si è così permesso che in una situazione fiscale e contributiva già insostenibile venissero aumentate IVA, tasse di proprietà, imposte sui redditi, le accise sulla benzina, imposte di ogni genere, i costi di servizi pubblici, mentre le nostre piccole e medie imprese appesantite, rallentate  e condizionate dall’inefficienza della burocrazia e dal crollo del mercato interno, sono costrette a competere nei prezzi con paesi a bassissimo costo di mano d’opera e senza regolamentazioni sindacali ed ambientali .

Ci viene detto e ripetuto che non abbiamo altra scelta: ma se si è scelto di spogliare e seppellire l’Italia, le nazioni europee che guardano al futuro seguono un’altra via.  Ero in Inghilterra dieci giorni fa mentre George Osborne, Cancelliere dello Scacchiere, preoccupato per la notevole crescita di deficit e debito pubblico, definiva la sua ricetta per uscire dal la recessione economica, rilanciando la sua economia: ha poi abbassato drasticamente le tasse sulle imprese e sulle persone fisiche, ed ampliato enormemente le esenzioni: lasciare  più denaro in
circolazione in una economia significa infatti ripresa e capacità contributiva a medio termine, sottrarne come sta facendo il nostro governo … esattamente l’opposto!

Aldilà della fantasia che si possa limitare l’economia sommersa proibendo le transazioni in contanti oltre i mille euro (come se chi lavora in nero si preoccupasse per una sanzione in più!), degli annunci cosmetici di poter rilanciare la nostra economia con liberalizzazioni di piccolo cabotaggio, e la frottola che per aiutare i  giovani salvaguardando il loro futuro li si debba mandare in pensione a 70 anni, mentre non si toccano i benefici “acquisiti” di chi è venuto prima, magari pensionatosi  a trentacinque anni di età col “massimo”, anche questo governo non ha poi assolutamente “tagliato” quanto dovuto in modo mirato laddove doveroso e necessario.  Il nostro governo ed i partiti che lo sostengono chiedono invece agli italiani ulteriori sacrifici per mantenere il nostro bilancio statale in equilibrio dopo l’aumento complessivo del costo degli interessi passivi sul nostro debito pubblico, causato dalla grande speculazione internazionale.

Ma quanto di questo debito pubblico, e della precarietà della situazione del nostro paese è dipeso dai suoi cittadini? Abbiamo già accennato a come ben  prima delle attività economiche (agricoltura , industria, ed i servizi legittimamente tali) che sono visibili sotto gli occhi di tutti ci sia chi ha trovato il modo di arricchirsi a dismisura senza fatica, controllando i meccanismi di base del sistema, a partire dalla proprietà della moneta stessa alla sua emissione: a questa capacità  di produrre denaro a monte di ogni attività economica si è poi aggiunta quella di moltiplicare poi le proprie disponibilità per ogni genere di operazione a valle, con vendite allo scoperto, scommesse sugli andamenti di azioni, titoli di debito pubblico e mercati, con l’aiuto delle valutazioni delle grandi società di rating, sulla cui autonomia ed obbiettività ci sarebbe troppo da discutere per farlo in poche righe. Questi troppi nuovi modi di far finanza hanno in comune un solo aspetto: quello di investire denari di cui non si dispone e/o di moltiplicare enormemente le disponibilità che si hanno. Non mi soffermo ulteriormente su questi aspetti, perché da me già fin troppo trattati un altre sedi.

Nello sfacelo del sistema politico, economico, giuridico e sociale che va delineandosi nel nostro paese, vive in noi ancora il sogno di  ricostruire, partendo dall’esempio della famiglia, primo nucleo economico e sociale, un sistema economico etico, basato sui valori di sussidiarietà e solidarietà … Come possiamo farlo, se prima non togliamo al sistema finanziario e restituiamo ai popoli, a partire dal nostro, la proprietà ed il controllo della propria moneta? La tremenda espansione economica della Cina attuale avviene anche perché non ha il vincolo del debito e l’onere di interessi da pagare, in quanto essa ha mantenuto la capacità di emettere moneta propria, e può quindi allocare quanto necessario a progetti di crescita, senza indebitarsi verso banche di emissione.

Perché tanti aspetti di quanto vi ho fin qui accennato in questo mio sfogo vengono tralasciati da politici ed informazione? Perché lo Stato, la politica, il sistema intero hanno bisogno di accaparrarsi denaro fuori dai “normali” flussi economici! La politica ha sempre bisogno di denaro: per questa ragione ad una certa politica non dispiace un debito alto come quello del nostro paese, purché non vada fuori controllo: maggiore è il debito pubblico, più è necessario e giustificato tassare cittadini ed imprese. Maggiore è il giro di questo denaro, più facile risulta ai politici appropriarsi di qualche fetta per comprare consenso e voti attraverso meccanismi di ridistribuzione del reddito.

E’ chiaro che i beneficiari di questa ridistribuzione iniqua non formeranno poi semplicemente un mero serbatoio di voti, ma un gruppo con interessi contrari a quello del paese ed alla funzionalità del suo sistema economico, e si adopereranno per condizionarne la politica. Ed in un paese che, come il nostro, di gruppi clientelari o corporativi ne ha troppi, ogni mutamento diventa assai difficile da realizzare.

A questo punto, valutiamo bene quanto la lotta fra gli opposti schieramenti della politica (centro-sinistra e centro-destra) sia semplicemente competizione fra gruppi concorrenti per portare consenso popolare ed obbedienza al potere vero, quello economico-finanziario, ed ai suoi interessi!  É’ un caso che centro-destra e centro-sinistra negli ultimi anni non abbiano mai affrontato i veri nodi della politica e dell’economia, ed abbiano continuato a misurarsi su temi minori, ove non addirittura con pettegolezzi, sempre comunque di scarsa influenza per il benessere della comunità? Cosa ce ne facciamo dei politici e dei loro costi, se il loro è solo un teatrino? Perché il sistema possa cambiare, la gente deve anzitutto sapere. E cominciare a capire che rastrellare denaro con ulteriori tasse e balzelli, per far fronte alle voragini aperte nel bilancio statale dall’aumento dei tassi di interesse del nostro debito pubblico è inutile e controproducente, perché così facendo si depaupera il tessuto economico del nostro paese, preparandolo a subire ulteriori attacchi speculativi:  continuando con la ricetta del prof. Monti e dell’Europa, questo circolo perverso  che arricchisce la grande finanza speculativa col denaro che il fisco rastrella nel paese continuerà finché non saremo tornati poveri … come tanti anni fa eravamo! Intanto le nostre imprese medie e piccole, che rappresentavano la nostra ricchezza, muoiono, e con esse non pochi imprenditori!

Arresto qui questo mio articolo, divenuto uno sfogo nei toni e nei contenuti, prima di iniziare ad elencare una serie di inefficienze e sprechi di questo sistema, che mentre rastrella tasse con sempre maggior determinazione, non pratica tagli nelle sue inefficienze più evidenti ….

Mi scuso quindi ancora per il tono: avrete compreso come e perché il tragico avvenimento  che ha ispirato questo articolo mi abbia toccato assai nel  vivo.

Sperando ancora che questo sistema iniquo possa essere scardinato prima di aver toccato tutti il fondo …

Pier Luigi Priori

 

 

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