Ma i tagli alla spesa pubblica sono inadeguati

di Claudio Romiti

Dal punto di vista della necessaria governabilità, a mio avviso il premier Monti ha correttamente posto le forze politiche e le parti sociali di fronte al vero dilemma politico sul piano delle misure da prendere: o si accettano le necessarie scelte impopolari predisposte dal governo o ci si rassegna alla prospettiva certa di far fallire l’euro, portando il Paese nel baratro del default.

Ora, seppur con un certo ritardo rispetto all’emergenza in atto, l’esecutivo dei professori ha adottato, onde tacitare qualunque forma di possibile speculazione politica, la linea più efficace per portare a casa un congruo pacchetto di risultati, tacitando nel contempo le crescenti diffidenze dei mercati circa la solvibilità del nostro enorme debito pubblico.

Tuttavia, nel dettaglio dei provvedimenti che formano l’ennesima cura di cavallo per il Paese, mi sento di condividere appieno il duro giudizio, espresso su “Il Corriere della Sera”, dagli economisti di area liberale Giavazzi e Alesina. In breve, nel loro articolo si sostiene una tesi assai condivisibile e che, se dovesse avverarsi, farebbe addensare fosche nubi sul futuro prossimo dell’Italia.

In sostanza, la prima manovra Monti conterrebbe troppe tasse e pochi tagli di spesa, laddove i più autorevoli studi internazionali dimostrano in modo inequivocabile che ogni inasprimento delle aliquote fiscali determina effetti assai più recessivi rispetto a qualunque politica di risparmi nelle uscite pubblica.

Ciò, in soldoni, starebbe a significare che agendo eccessivamente sulla leva delle entrate tributarie, soprattutto all’interno di un sistema come il nostro in cui vi è una eccessiva pressione fiscale, si rischia di produrre un indesiderato rallentamento dei consumi e degli investimenti. Rallentamento tale da vanificare gli effetti sul bilancio dello Stato delle previste maggiori entrate, a causa di una sostanziale perdita di gettito.

Per questo, pur considerando la difficoltà politica di realizzare misure conseguenti, era auspicabile che il governo dei professori attaccasse con molta maggiore durezza il moloch di una spesa pubblica la quale, in considerazione anche di un Pil in preoccupante rallentamento, oramai viaggia intorno al 54% della ricchezza prodotta in un anno.

Un mostro di oltre 800 miliardi di euro che, secondo le più elementari teorie economiche, impedisce al nostro sistema produttivo di sviluppare secondo le sue enormi potenzialità. Una zavorra causata da mezzo secolo di democrazia del consenso, fondata su una spesa pubblica in buona parte improduttiva che, occorre dirlo con chiarezza, nessun passato governo, di destra o di sinistra, è minimamente riuscito a contenere.

E se su questo piano dovesse fallire anche Mario Monti, nonostante gli indubbi vantaggi che il suo status di novello Cincinnato comporta, allora non ci resterebbe che andare tutti a raccogliere cicoria. Un Paese stritolato da un eccesso tasse e di spesa pubblica è destinato molto rapidamente a fallire.
D’altro canto, l’unica strada per aumentare in maniera strutturale la ricchezza non passa attraverso il fritto misto di misure keynesiane che continua ad invocare la componente statalista del Paese, Partito democratico in testa.

Solo alleggerendo il peso di uno Stato che impone una fiscalità insopportabile appare possibile una ripresa generale dell’attività economica privata, unico motore per il benessere materiale dei popoli.

Claudio Romiti

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