Occidente e Islam: integrazione possibile?

La copertina del libro

Nello Rega
Diversi e divisi-Diario di una convivenza con l’Islam
Casa editrice Terra del Sole

Nello Rega, quarantatre anni, potentino, lavora nella redazione Esteri di Televideo Rai. Giornalista professionista dal 1993, ha lavorato per il Giornale Radio Rai, San Marino Rtv (consociata Rai), Tg3, Radio Dimensione Suono. Ha firmato come autore un programma giornalistico per Rai Tre. Ha collaborato con quotidiani, periodici e network nazionali.

INTERVISTA A NELLO REGA, VENERDI’ 11 NOVEMBRE 2011 (a cura di Luca Balduzzi)

La storia non è una storia qualsiasi, ma un’esperienza vissuta in prima persona…
Il libro Diversi e divisi-Diario di una convivenza con l’Islam, scritto con Raffaele Gerardi, racconta una storia d’amore tra un uomo occidentale e una donna sciita libanese. Una storia che appartiene alla mia esperienza, vissuta in prima persona. Ma non è stata, certamente, la chiave di volta che mi ha dato l’ispirazione per scrivere il libro. E’ stata l’occasione per mettere l’accento su una questione sulla quale mi sono sempre interrogato: può esistere una convivenza, e mi riferisco soprattutto alla quotidianità, tra due diverse religioni e culture? La risposta arriva anche dalla mia esperienza. Ma non solo. Secondo le stime a livello europeo, i matrimoni misti sono per il 90% “impossibili” e naufragano in divorzi, allontanamento e violenze.

Che cosa vi ha divisi? E come ha reagito a questa divisione?
Le divisioni maggiori tra un uomo e una donna di religione diversa, in questo caso cristiana e musulmana, sono le stesse che esistono nella quotidianità. Ovvero punti di partenza differenti e concetti di libertà, famiglia, cultura, laicità, profondamente opposti. Come fanno a convivere la nostra cultura, fatta di conquiste di civiltà, diritti “sudati” col martirio di milioni di persone, con l’Islam dove la prima e l’ultima “parola” spetta ad Allah? Come fanno a condividere un percorso comune due religioni che partono da concetti differenti dell’uomo e dell’amore? Per l’Islam è possibile e giusta la poligamia, sposare una bambina che ha appena avuto il primo ciclo mestruale, picchiare le donne, infliggere pene severe per il “reato” di infedeltà, considerare la testimonianza di una donna in tribunale la metà di quella di un uomo. E poi il concetto di laicità. Abbiamo conquistato questo diritto con il sangue di chi si è immolato nella “Breccia di Porta Pia”. Lo abbiamo importato nella nostra Costituzione, lo abbiamo metabolizzato nel Dna del nostro vivere quotidiano. Tutto questo non esiste nell’Islam, dove la parola d’ordine è teocrazia. Questi sono fatti e non chiacchiere, purtroppo.

La cultura e la religione islamica ci sembrano sempre troppo distanti da noi, e allo stesso tempo ci sembra che siano prima di tutto la cultura e la religione islamica a non volere avere niente a che fare con noi… è veramente così?
Spesso si punta il dito contro l’Occidente accusandolo di non volere il confronto e, soprattutto, la convivenza. Ma ci chiediamo se l’Islam la vuole? Come è possibile convivere con l’Islam che predica la “superiorità” rispetto alle altre religioni? Lo stesso Islam che chiama “infedeli” i cristiani, gli ebrei, ecc. Lo stesso Islam che prevede lo “jihad”, la cosiddetta “Guerra santa” per conquistare le altre culture? Siamo noi i “razzisti” o, forse, è l’Islam che ci addebita ingiustificatamente questa etichetta? Credo fermamente nella seconda ipotesi. In questi anni non ho mai avuto notizia di un convegno, tavola rotonda, organizzata dagli islamici sul tema: “Come ci integriamo con gli italiani?”. Gli unici appuntamenti su questo tema sono quelli organizzati dagli italiani. E questo è sotto gli occhi di tutti.

In che maniera è possibile mettere in discussione i nostri “pregiudizi” nei confronti della cultura e della religione islamica in maniera costruttiva, senza che ogni segnale o possibilità concreta di apertura venga avvertito dalla maggioranza come una possibile minaccia?
Per arrivare ad una vera strada di convivenza bisogna avere il coraggio di mettere sotto i riflettori “le incongruenze dell’Islam” e avere la forza di mettere in discussioni i precetti del Corano che sono in pieno contrasto con i nostri principi costituzionali, le nostre leggi e la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. Se non saremo capaci di fare ciò il percorso sarà impossibile. E poi basta con il cosiddetto “buonismo”, con il fare da “struzzi” evitando, non so per quali motivi, di vedere quanta poca democrazia, rispetto dell’uomo, delle regole di civiltà, c’è nella religione musulmana.

Che cosa risponderebbe a chi, con altrettanta ragione, il primo passo se lo aspetterebbe da loro, specialmente “in casa nostra”?
Un mondo a “colori” è certamente meglio di un mondo in “bianco e nero”. Le differenze possono arricchirci. Ma devono avere un punto comune di cammino. Mi piacerebbe trovare negli islamici la volontà di mettersi in discussione, di accettare le critiche, la satira. E invece la storia ci insegna che chiunque abbia criticato l’Islam è entrato “nella rabbia” di qualche imam o ha incontrato le fatwe di morte. Con questi presupposti non si va lontano.

Quali esempi di collaborazione fra il cristianesimo e l’islam ritiene dimostrino in maniera più evidente che un confronto costruttivo è possibile?
Credo che tutte le religioni debbano avere in comune la voglia di integrarsi, di diffondere amore, tolleranza, solidarietà. Perché le donne occidentali quando vanno nei Paesi musulmani sono “obbligate” a indossare veli? Perché non possiamo andare noi cristiani in visita alla Mecca? Perché una donna musulmana non può sposare un uomo di un’altra religione? Gli interrogativi potrebbero riempire fiumi di carta.

Si immaginava reazioni così pesanti al suo impegno per il confronto fra le culture e alla pubblicazione del suo libro?
Prima di scrivere Diversi e divisi avevo già ricevuto minacce di morte a firma degli islamici per le mie idee. Quando ho deciso di mettere giù il libro con Raffaele Gerardi ho messo in conto le critiche. Non mi aspettavo certamente proiettili e tantomeno un attentato. Così come non immaginavo di dover “dimostrare” la mia innocenza per minacce e violenze fatte nei miei confronti. Sono sconcertato da questi atti di violenza ma sono oltremodo “basito” perché oggi devo dimostrare la mia innocenza. Mi sento come una donna stuprata che deve dimostrare di essere vittima. Mi hanno descritto come “un carnefice”, come un simulatore. Credo nella giustizia e credo nella forza della verità. Ma quanto dovrò ancora lottare per vederle trionfare? E chi mi ripagherà delle sofferenze, della distruzione della mia credibilità, della mia esistenza? Non mi basterà: “Pensavamo fosse colpevole. Invece è innocente”. Non mi basterà. Ma ogni cosa al momento giusto. Voglio invece ringraziare le migliaia di persone che continuano a dimostrarmi la loro solidarietà. Pur temendo molto per la mia vita, la mia sicurezza, ho deciso, non senza paure, di continuare a presentare il mio libro. Credo che sia la strada giusta per continuare a diffondere le idee e a credere nella “Forza delle idee” e non nella “Idea della Forza”. Ancora grazie a chi continua a credere in me.

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