Internet, polizia: “il web sommerso” nuova frontiera del cybercrimine

  6 gen. – Accesso iperselettivo, scarsa tracciabilita’, anonimato assoluto. Sono gli elementi che fanno del “deep web” – il “web sommerso”, o “invisibile”, che sfugge a tutti i comuni motori di ricerca – la nuova frontiera del cybercrime. E che spinge il Servizio di polizia postale e delle comunicazioni, diretto da Antonio Apruzzese, a pattugliare giorno e notte anche questa rete alternativa con 007 rigorosamente sotto copertura.

“Il mondo di internet come abbiamo imparato a conoscerlo – racconta all’AGI il vicequestore aggiunto Antonello Novellino, della Sezione investigazioni informatiche – e’ solo la punta dell’iceberg: al di sotto si nasconde di tutto“. Difficile azzardare delle stime, ma studi di settore, forse approssimati per difetto, parlano di un rapporto di 500 a uno tra file nascosti e file normalmente indicizzati da Google, Yahoo, Altavista e gli altri.

Tradotto in altri termini, fanno miliardi di informazioni disponibili solo con l’aiuto di software dedicati come “Tor” e altri. E, soprattutto, la chance di navigare a fari spenti che puo’, ad esempio, rivelarsi preziosa in paesi strozzati dalla censura ma che sempre piu’ spesso viene piegata a fini illegali da organizzazioni criminali.

“E’ la solita storia – spiega Novellino – la tecnologia in se’ non e’ cattiva, dipende dall’uso“. E un uso decisamente criminale e’ quello che nel mondo ne fanno, di volta in volta, pedofili, trafficanti di armi e droga, terroristi, ladri di identita‘. Da noi, e’ del novembre scorso l’operazione della polizia postale di Salerno che – partendo dall’innocente download di un brano musicale da parte di una ignara internauta – ha portato alla scoperta sul “deep web” di un archivio impressionante di foto e video di minori seviziati e abusati (in tutto 5 milioni di immagini), il piu’ grande mai ritrovato in Italia.

“Una conferma – sottolinea il vicequestore aggiunto Elvira D’Amato, responsabile della Sezione pedofilia – di come proprio i network di pedofili siano stati tra i primi a piegare ai propri fini perversi le potenzialita’ del sistema”. “L’unico modo per argirarne la minaccia – continua D’Amato – e’ monitorare incessantemente la rete, frequentare forum e chat alla ricerca delle nuove ‘tendenze’, guadagnarsi la fiducia degli amministratori di certi spazi e, con essa, il diritto di entrare, su invito, a far parte di ‘circoli’ ristrettissimi: e’ un lavoro lungo, complesso, delicato, da portare avanti in stretta collaborazione con i colleghi di altri paesi, perche’ nelle operazioni ‘sotto copertura’ e’ importante evitare le occasioni di ‘fuoco amico’.

Bisogna procedere con grande cautela, per evitare di individuare il target sbagliato ma anche per arrivare a raccogliere prove informatiche che poi possano essere accettate in tribunale contribuendo a incastrare i colpevoli”. Tra l’altro, oltre a complicare non poco le indagini, il ricorso al “deep web” sembra avere riflessi anche sul mercato della pedopornografia, riducendo (fino all’attuale al 18%) i siti a pagamento e incentivando invece “lo scambio in natura di materiale inedito e sempre piu’ hard, offerto da produttori che coincidono sempre piu’ spesso con gli abusanti”.

Ma nel web sommerso non c’e’ spazio solo per il sesso malato: “l’offerta – ricorda Novellino – rischia di essere praticamente illimitata e con essa la possibilita’ di incorrere in trappole e raggiri. E’ il caso di chi, ad esempio, offre un determinato prodotto non lecito, chiede e ottiene una certa somma e si volatilizza una volta intascati i soldi. Difficile, praticamente impossibile, che poi il truffato protesti…”

Nelle indagini tradizionali, conclude il vicequestore, “molte operazioni nascono dagli input del collega che sta in strada, da una sua intuizione o da un suo suggerimento. Per le indagini on line vale lo stesso principio: gli spazi virtuali vanno presidiati come quelli fisici. E l’opportunita’, offerta dal legislatore, di agire con identita’ fittizie ha un peso determinante”. (AGI)

SOSTIENI IMOLAOGGI
il sito di informazione libera diretto da Armando Manocchia

IBAN: IT59R0538721000000003468037 BIC BPMOIT22XXX
Postepay 5333 1711 3273 2534
Codice Fiscale: MNCRND56A30F717K