La Tunisia svuota le carceri e ci spedisce i suoi galeotti

di Gianluca Veneziani per  liberoquotidiano.it

Quando entriamo nell’hotspot di Lampedusa, li troviamo raggruppati, con le gambe ciondolanti e gli sguardi persi, in attesa di un pullman che potrebbe portarli altrove, in un centro di espulsione come quasi sempre capita, o in un centro di accoglienza dove rivendicare – cosa assurda, visto che non fuggono né da guerre né da persecuzioni – lo status di rifugiati. Con un neologismo potremmo definirli «clandestunisini».

Sono uomini fantasma approdati a bordo di barche fantasma, in cale sulla costa sud siciliana e nelle isole Pelagie, nella speranza di restare invisibili. Da tre mesi Lampedusa, Linosa e l’Agrigentino sono meta di sbarchi di tunisini che arrivano nell’inavvertenza delle nostre pattuglie costiere e provano a disperdersi sul nostro territorio. Quasi sempre si tratta di ex galeotti, appena rimessi in libertà dal governo tunisino e lasciati nelle condizioni di imbarcarsi in direzione Italia.

Il loro arrivo coincide infatti con la liberazione di detenuti, perlopiù per reati di furto o spaccio, graziati dal presidente della Repubblica di Tunisia in occasione di due ricorrenze: la fine del Ramadan a giugno (allora in 196 sono stati scarcerati) e il 60mo anniversario della Repubblica a luglio, come conferma anche l’Ambasciata italiana a Tunisi (in quella circostanza 1.583 detenuti sono stati rimessi in circolo).

PRESSIONE POLITICA – La loro partenza per l’Italia si può ricondurre a due ragioni: la volontà della Tunisia di liberarsi di elementi pericolosi; l’intenzione di far pressione sul nostro Paese, usando i migranti-criminali come arma di ricatto, per ottenere in cambio aiuti economici. In tal modo l’Italia finisce per accogliere suo malgrado «avanzi di galera», come li definiscono gli agenti della Polizia di Stato operativi a Lampedusa. Le dimensioni del fenomeno sono impressionanti.
Negli ultimi tre mesi, stando ai dati dell’ Ufficio Immigrazione della Questura di Agrigento, nelle isole di Lampedusa e Linosa sono arrivati ben 341 tunisini su un totale di 1.319 clandestini. Un’escalation improvvisa, se si tiene conto che nei primi cinque mesi dell’anno i tunisini sbarcati nelle due isole erano appena 81.

Quelli che raggiungono Lampedusa e Linosa arrivano perlopiù su barchini, guidati dagli stessi migranti, dopo traversate pagate “appena” 500 euro. Quelli che giungono sulla costa agrigentina versano cifre più consistenti, tra i 2.000 e i 3.000 euro: si fanno di solito trasportare da una nave-madre, una sorta di peschereccio, fino a poche miglia dalla costa, e da lì vengono scaricati su barche di legno con le quali, senza più la guida dello scafista, toccano terra. Il maggior costo del viaggio deriva dal fatto che, una volta sull’isola siciliana, hanno più possibilità di dileguarsi in altre parti d’Italia, facendo perdere le proprie tracce.

Queste imbarcazioni di solito faticano a essere identificate, vuoi perché sono barche di piccole dimensioni, vuoi perché le navi di primo trasporto vengono scambiate per imbarcazioni di pescatori, vuoi perché questa tratta non è ancora pattugliata a sufficienza dalla Guardia Costiera, come la rotta libica o il Canale di Sicilia. Giunti qui, in parte i migranti scompaiono nel nulla (soprattutto quelli approdati nell’Agrigentino); in parte vengono condotti negli hotspot per l’identificazione.

Al momento del nostro arrivo nel centro migranti di Lampedusa, su 93 migranti presenti ben 59 sono tunisini. In teoria dovrebbero rimanere lì solo tre giorni prima di essere identificati, spediti al Cie di Caltanissetta e rimpatriati. In realtà spesso i tempi si allungano, e i clandestini finiscono per restare anche 20 giorni nella struttura. All’interno, si fa per dire.

Grazie alle maglie larghe di una normativa che impone di tenere i migranti chiusi nell’hotspot ma allo stesso tempo di lasciarli liberi 72 ore dopo il loro arrivo, e grazie alle maglie larghe della recinzione, puntualmente forzata dai migranti per fughe nottetempo, i clandestini possono scorrazzare in libertà nell’isola. E compiere reati. Negli ultimi giorni, conferma la Polizia, una banda di tunisini ha seminato il panico in paese, compiendo furti in negozi e abitazioni. Un fruttivendolo, Nino Caprara, ha visto il suo bancone di frutta e ortaggi depredato addirittura per 15 notti consecutive. «Tra vino, acciughe e prodotti ortofrutticoli mi hanno causato un danno di 4.000 euro», commenta esasperato. Furti che fanno rabbia se si pensa che quei tunisini sono sfamati negli hotspot coi soldi di noi contribuenti…

La situazione diffusa di illegalità rende Lampedusa «un carcere a cielo aperto», per dirla con le forze dell’ordine. Ma non c’è da pensare che sull’isola e sulla costa sud della Sicilia arrivino soltanto ladruncoli. Come dimostrato dalla Procura di Palermo, che a giugno ha disposto il fermo di 15 persone, in buona parte tunisine, accusate di favoreggiamento all’immigrazione clandestina e sospettate di aver trasportato uomini legati a organizzazione jihadiste, sulle barche rischiano di arrivare anche terroristi.

NUOVA ROTTA – Se il quadro non fosse abbastanza sconfortante, c’ è un ulteriore elemento da considerare.
Chiusa o perlomeno limitata la rotta libica, la Tunisia rischia di diventare il nuovo ponte per convogliare l’ immigrazione proveniente anche dalle regioni subsahariane. Il porto tunisino di Zarzis dista circa 60 km dal confine libico e non è escluso che dall’autunno quella rotta inizi a diventare calda. Se non lo è già, visto l’arrivo di ex galeotti tunisini.

«Gli sbarchi fantasma di delinquenti», commenta l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca, in visita ieri all’hotspot di Lampedusa, «sono un fenomeno che va stroncato sul nascere. Depositerò subito un atto parlamentare in Europa che faccia conoscere alla Commissione, tramite un dossier, questa nuova invasione, pretendendo immediate azioni di respingimento delle barche, e una responsabilizzazione del governo tunisino, affinché si addebiti sia i costi dell’ accoglienza dei suoi cittadini che non hanno diritto di arrivare sulle nostre coste, sia i costi derivanti dai reati che essi commettono». Dopo i profughi e i migranti economici, sarebbe il calmo farsi carico anche dei criminali di altri Paesi. Salvo voler trasformare l’Italia nello scarico fognario dove concentrare la feccia dell’umanità.

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