Immigrazione, Biffi: “difficili sfide del nostro tempo sono già in atto”

 

Le sfide del nostro tempo

36. Le “difficili sfide del nostro tempo” sono già in atto, e la città di san Petronio deve commisurarsi con loro senza panico e senza superficialità: i generici allarmismi non servono; ma tanto meno servono le banalizzazioni ansiolitiche e le giulive minimizzazioni.

Riuscirà Bologna anche nel Terzo Millennio -e a che prezzo e con quali efficaci accorgimenti- a conservare la propria identità, a svilupparsi secondo la sua vocazione umana e cristiana, a irradiare ancora nel mondo la sua civiltà?

“Troverà il Figlio dell’uomo alla Sua venuta fede sotto le Due Torri?” (cf. Lc 18,8): I’inquietante interrogativo, che Gesù ha lasciato senza risposta, ci aiuterà -così attualizzato- a proseguire nella riflessione con la necessaria serietà.

Le “sfide” che già ci sovrastano sono principalmente due: il crescente afflusso di genti che vengono a noi da paesi lontani e diversi; il diffondersi di una cultura non cristiana tra le popolazioni cristiane. Ne trattiamo distintamente nella forma più chiara e succinta possibile.

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1. La questione dell’immigrazione

Una sorpresa

37. Dobbiamo riconoscere che il fenomeno di una massiccia immigrazione ci ha colti un po’ tutti di sorpresa.

E stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora l’impressione di smarrimento e pare non abbia ancora recuperata la capacità di gestire razionalmente la situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e gli ambiti propri di un’ordinata convivenza civile.

E sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane ammirevoli in molti casi nel prodigarsi ad alleviare disagi e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta, non settoriale, abbastanza concorde. Le generiche esaltazioni della solidarietà e del primato della carità evangelica – che in sé e in linea di principio sono legittime e anzi doverose- si dimostrano piuttosto bene intenzionate che utili quando non si confrontano davvero con la complessità del problema e la ruvidezza della realtà effettuale.

L’annuncio del Vangelo

38. Deve essere ben chiaro che non è di per sé compito della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in volta ci presenta. Le nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze imperiose che essi con loro forze non riescono ad affrontare. Sarebbe un implicito, ma comunque grave e intollerabile il credere che le aggregazioni ecclesiali possano essere responsabilizzate di tutto. Compito nostro inderogabile è invece l’annuncio del Vangelo e l’osservanza del comando dell’amore.

39. Prima di tutto l’annuncio del Vangelo. Dovere statutario della Chiesa Cattolica, e in essa di ogni battezzato, è di far conoscere a tutti esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell’universo, unico Salvatore dell’umanità intera.

Tale missione può essere efficacemente coadiuvata, ma non può essere in alcun modo surrogata da qualsivoglia attività assistenziale. Essa suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può mai risolversi nel solo dialogo. Può essere favorita dalla nostra conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto quando noi riusciamo a portare all’esplicita conoscenza di Cristo quei nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono beneficiati.

Non bisogna poi dimenticare che l’azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari: “predicate il Vangelo ad ogni creatura” (cf. Mc 16,15), ci ha detto il Risorto. E non è mai giustificata una rassegnata rinuncia a questo proposito, nemmeno quando, umanamente parlando, sembri poco prevedibile il conseguimento di qualche risultato positivo: chi crede nella forza sovrumana dello Spirito Santo, non desiste mai dall’ annunciare la strada della salvezza.

40. E molto importante infine che tutti i cattolici si rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità, che essi hanno nei confronti di tutti i nuovi arrivati (musulmani compresi).

Per essere però buoni evangelizzatori essi devono crescere sempre più nella gioiosa intelligenza degli immensi tesori di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è un’effusione di luce divina, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi offerti dalle varie religioni e dall’Islam; e noi siamo chiamati a renderne partecipi appassionatamente e instancabilmente tutti i figli di Adamo.

41. Senza dubbio dovere nostro è anche l’esercizio della carità fraterna. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza- i discepoli di Gesù hanno l’obbligo di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità. Di questa responsabilità noi siamo tenuti a rendere conto al Signore; ma solo a lui, e a nessun altro.

Approccio realistico

42. Nel variegato panorama dell’immigrazione, le comunità cristiane non possono non valutare attentamente i singoli e i diversi gruppi, in modo da assumere poi realisticamente gli atteggiamenti più pertinenti e opportuni.

Agli immigrati cattolici – quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle- bisogna far sentire nella maniera più efficace che all’interno della Chiesa non ci sono : essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti e vanno accolti con schietto spirito di fraternità. Quando sono presenti in numero rilevante e in aggregazioni omogenee consistenti, andranno sinceramente incoraggiati a conservare la loro tipica tradizione cattolica, che sarà oggetto di affettuosa attenzione da parte di tutti.

Ai cristiani delle antiche Chiese orientali, che non sono ancora nella piena comunione con la sede di Pietro, esprimeremo simpatia e rispetto. E, in conformità agli accordi generali e secondo l’opportunità, potremo favorirli anche dell’uso di qualche nostra chiesa per le celebrazioni.

Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e, quanto è possibile, aiutati nelle loro necessità. Non va però in nessun modo disatteso quanto è detto nella Nota CEI del 1993: “Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali» (Ero forestiero e mi avete visitato 34).

Considerazione generale

43. Possiamo aggiungere un’annotazione, che riguarda da vicino soprattutto il comportamento auspicabile dello Stato e di tutte le varie autorità civili.

I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso).

Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto.

In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione.

In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l’identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte.

44. Sotto questo profilo, il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti.

Mentre spetta a noi evangelizzare, qui è lo Stato – ogni moderno Stato occidentale – a dover far bene i suoi conti.

Cattolicesimo “religione nazionale storica”

45. Da ultimo, sarà bene che nessuno ignori o dimentichi che il cattolicesimo – che non è più la “religione ufficiale dello Stato”- rimane nondimeno la “religione storica” della nazione italiana, oltre che la fonte precipua della sua identità e l’ispirazione determinante delle nostre più autentiche grandezze.

Perciò è del tutto incongruo assimilarlo alle altre forme religiose o culturali, alle quali dovrà sì essere assicurata piena libertà di esistere e di operare, senza però che questo comporti o provochi un livellamento innaturale o addirittura un annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà.

Va anche detto che è una singolare concezione della democrazia il far coincidere il rispetto delle minoranze con il non rispetto delle maggioranze, così che si arriva di fatto all’eliminazione di ciò che è acquisito e tradizionale in una comunità umana. Si attua un’ “intolleranza sostanziale” , per esempio, quando nelle scuole si aboliscono i segni e gli usi cattolici, cari alla stragrande maggioranza, per la presenza di alcuni alunni di altre religioni.

2. Il diffondersi di una cultura non cristiana

46. Più dell’immigrazione, ci interpella e ci sollecita a una risposta il diffondersi tra le popolazioni di antica fede cristiana, come la nostra, di una diffusa indifferenza. Il fenomeno -è evidente – non riguarda solo Bologna: ha dimensioni continentali e addirittura planetarie.

La cultura estranea al cristianesimo

47. C’è prima di tutto una cultura che, pur non essendo nativamente e programmaticamente ostile alla visione cristiana, prescinde da essa ed è ad essa estranea.

C’è, per esempio l’affermarsi di una razionalità scientifico- tecnologica, intesa a elaborare un pensiero funzionale e operativo, che implicitamente censura ogni approccio alla verità in se stessa.

C’è in campo economico e sociale l’emergenza di una “globalizzazione” la quale non può non preoccupare per le sue possibili conseguenze sul mondo del lavoro che di fronte agli anonimi potentati finanziari rischia di incorrere in un invincibile stato di alienazione.

C’è lo sviluppo sempre più sofisticato dei mezzi di comunicazione: esso porta con sé il predominio di una cultura visiva e intuitiva che è prigioniera della percezione e dell’attualità, a scapito della riflessione personale, della memoria storica e della capacità di progettare il futuro.

C’è la ricerca di una “libertà senza verità” , che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, I’uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell’aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell’istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti.

48. Si comprende agevolmente che in questa multiforme tendenza culturale, che per larga parte appare incontrastabile, molti aspetti non sono accettabili; però non tutto è perverso e non tutto è irredimibile. Occorre dunque un’abitudine alla valutazione e al discernimento che ci dica di volta in volta che cosa si possa accogliere, che cosa si debba apertamente contrastare e che cosa sia plausibile orientare cristianamente; valutazione e discernimento che dovranno obbedire non a criteri “politici” (come la determinazione a cercare accordi e consonanze a ogni costo), ma all’assoluta fedeltà nei confronti dell’immutabile verità rivelata e della nostra identità di credenti.

L’attacco esplicito al fatto cristiano

49. Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo (e quindi alla realtà di Cristo) che la storia ricordi. Tutta l’eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai “signori dell’opinione” , scalzata dalle coscienze specialmente giovanili.

Di tale ostilità, a volte violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci né di aver troppa paura, dal momento che il Signore e i suoi apostoli ce l’hanno ripetutamente preannunziata: (lGv l,26).

Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o non vogliono prenderne atto: in realtà, la sola cosa, di cui può temere chi è ben deciso a operare nella fede, è l’insipienza dei “figli della luce” i quali talvolta non si accontentano di “rallegrarsi con chi è allegro e di piangere con chi piange” (cf. Rm 12,15), ma finiscono anche a smarrirsi con chi si smarrisce.

In conclusione

50. In un’intervista di una decina d’anni fa mi è stato chiesto con invidiabile candore: “Ritiene anche Lei che l’Europa sarà cristiana o non sarà?” . La risposta di allora può aiutarmi a chiarire il mio pensiero di oggi.

“Io penso -dicevo- che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà mussulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.

Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell”‘avvenimento cristiano” come unica salvezza per l’uomo ­e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».

da “La città di S. Petronio nel 3° millennio” – di Giacomo Card. Biffi

edizioni Dehoniane Bologna, 2000 – da pag. 21 a pag. 26

 

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