A confronto sul Sinodo della Famiglia – Intervista a Lodovica Maria Zanet

SinodoFamiglia1

Lodovica Maria Zanet
Le Parole di Papa Francesco
Edizioni dehoniane Bologna

Camminare, edificare, confessare. Il 14 marzo 2013, a poche ore dalla sua elezione al soglio pontificio, Papa Francesco pronuncia tre parole che sembrano rivoluzionare il metodo del ministero petrino e dischiudono i tratti del suo stile. Parole singole, e non articolate deduzioni, scandiscono da quel momento le tappe di omelie, angelus e catechesi, e formano un dizionario dei termini comuni che consente al credente di fare della propria vita qualcosa di bello e persino di eroicamente santo. Parole semplici misericordia, pazienza, perdono, povertà, periferie e persino odore (delle pecore) svelano così un grande messaggio e ricordano la missionarietà di una Chiesa chiamata «a uscire da se stessa, a guarire dalla malattia dell autoreferenzialità». Papa Francesco parla anche, con stile politicamente scorretto, ma pastoralmente efficace, di diavolo e tentazione: rispolvera parole antiche, oggi relegate a una prosa ormai lontana. Soprattutto parla di Gesù, della croce, dell umiltà, della gioia e di una speranza «da non farsi rubare». Il libro ripercorre gli inizi del ministero petrino di Papa Bergoglio dando spazio alle sue parole e provando a raccontare e a comprendere i punti di riferimento del suo pontificato.
Lodovica Maria Zanet, dottore di ricerca, è docente a contratto all’Università cattolica di Milano, dove lavora al Dipartimento di filosofia. Borsista del Centro universitario cattolico della CEI, collabora a Roma con la Postulazione generale per le cause dei santi della Famiglia salesiana. Ha scritto, tra l altro, le monografie Decifrare l’esperienza (Mimesis 2009); Immagini del sentire. Atti e abiti, infatuazioni e incantamenti (OCD 2010); Al cuore delle cose, al centro della storia. Cinque meditazioni sul carisma carmelitano (OCD 2012).


INTERVISTA A LUDOVICA MARIA ZANET, LUNEDI’ 10 NOVEMBRE 2014 (a cura di Luca Balduzzi)

Come primo argomento di discussione con e fra i vescovi, Papa Francesco ha voluto individuare quello della famiglia… perché, secondo lei, era così importante cominciare proprio da questo aspetto?
È importante cominciare dalla famiglia perché essa -già da un punto di vista naturale e culturale- è la prima e fondamentale cellula della società: è il luogo delle relazioni fondamentali (dell’essere scelti e dello scegliere, del generare e dell’essere generati, dell’accoglienza e del perdono, del dialogo…); è una insostituibile scuola di umanità. In tal senso, restano valide le tre parole che Papa Francesco ha proposto all’attenzione dei fedeli lo scorso aprile: «permesso, scusa, grazie». Sono parole quasi “laiche” (si parla, per esempio, delle “scuse” invece del “perdono”), che ricordano però tre gesti -in apparenza banali- eppure dimenticati da tante famiglie. Dove manca il “permesso” si dimentica infatti il realismo della dipendenza, la libertà dell’obbedienza, la gioia della condivisione. Dove manca lo “scusarsi” si oblia la nostra umanità ferita; si tralascia il perdono; si pretende che l’altro sia sempre all’altezza perché ci si maschera dietro all’illusione della propria perfezione e autosufficienza. Dove manca il “grazie” vengono meno due caratteristiche del vero amore: innanzitutto la gratitudine, poi la gratuità nel rispondere al dono ricevuto. La famiglia però -una coppia che si apre al dono dei figli e che si fonda, o si dovrebbe fondare, sul «consenso dei contraenti, cioè sulla volontà di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza d’amore fedele e fecondo»- risponde innanzitutto al progetto di Dio: quello di una coppia, dove la donna è data all’uomo come aiuto a lui simile, e ci si sostiene e ci si ama. Mettere la famiglia al centro del confronto tra i vescovi corrisponde quindi a una duplice priorità: affrontare tematiche, spesso sofferte, che condizionano oggi la vita di tante persone; ma anche – e oserei dire innanzitutto – aiutare la famiglia a riscoprirsi, ritrovare le ragioni teologali del proprio esistere, ripartire con una consapevolezza nuova.
Non è un caso che i padri sinodali abbiano ringraziato -nella Relatio synodi– «il Signore per la fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione. Lo fanno con gioia e con fede anche quando il cammino familiare le pone dinanzi a ostacoli, incomprensioni, sofferenze»: la differenza tra famiglie riuscite e fallite infatti non è mai, o quasi mai, la mancanza di prove e difficoltà, che sono parte integrante della vita; ma il modo in cui le si affronta insieme, fidenti e forti nell’aiuto del Signore che consacra e sigilla l’unione degli sposi.
Non è nemmeno un caso che il sinodo sia stato accompagnato dalla presenza delle reliquie dei beati coniugi Martin, genitori di Santa Teresa di Lisieux: una coppia quanto mai riuscita, che addita autorevolmente la strada per averle percorsa e sofferta in prima persona.
Direi anche che il percorso sulla famiglia, pur rispondendo a urgenze dell’oggi, si inserisce in un percorso più ampio, partito idealmente nel 2010 con l’anno dedicato alla vita sacerdotale e che avrà nel 2015 un anno straordinario sulla vita consacrata. Sacerdozio, vita religiosa, famiglia: le tre grandi vocazioni del cristiano.

Come era prevedibile, alcuni punti del dibattito hanno evidenziato alcune legittime differenze di vedute fra i vescovi. Seguendo la Relatio synodi, il primo è stato quello della possibilità di accesso ai sacramenti della confessione e dell’Eucaristia da parte delle coppie divorziate e risposate. Una situazione per cui si riconosce la necessità di discernimento e di accompagnamento
Discernere e accompagnare sono due azioni tipiche della Chiesa: Madre e Maestra. Sono anche due buone prassi che ogni cristiano ma -in fondo- ogni credente e ogni uomo dovrebbero allenare. Discernere significa “vedere chiaramente”: un vedere intellettuale ma soprattutto morale, insomma un vedere della mente e del cuore, che salda il pensiero agli affetti e gli affetti alla volontà: è qualcosa che aiuta a intercettare il bene ove esso si trova realmente, a respingere il male e a prendere distanza dai beni minori, che non si devono assolutizzare. Discernere -questa azione tipicamente ignaziana che ha accompagnato Papa Francesco in tutta la sua vita di gesuita- è dunque un valutare, soppesare, distinguere. Discernere significa capire che non tutti i pensieri o le intenzioni devono essere accettati come persuasivi e veri, per il semplice fatto che li avvertiamo in noi. Anche San Paolo lo ricorda nella Prima Lettera ai Corinzi mentre parla del corpo, e subito prima di inaugurare il discorso sul matrimonio e la verginità: «“Tutto mi è lecito!; ma non tutto mi giova!”. “Tutto mi è lecito!”; ma io non mi lascerò dominare da nulla». Così già il 24 giugno 2014 Papa Francesco, ricordando la figura di San Giovanni Battista, ha potuto dire che la grande vocazione del cristiano è di «preparare la strada al Signore», «discernere» e infine «abbassarsi, diminuire», per lasciare spazio a Lui. Il discernimento poi è anche sapienza e misericordia, che distingue tra situazione e situazione: penso per esempio, rispetto ai drammi di molte famiglie, alla differenza tra chi subisce un divorzio; chi lo chiede esasperato da convivenze che ne mortificano la dignità o mettono a repentaglio la crescita serena dei figli, ma persevera comunque nell’indissolubilità e fedeltà insiste nel proprio giuramento sponsale sacramentale; o ancora chi divorzia e poi si risposa civilmente; o alla triade di «separati, divorziati e abbandonati» su cui anche il recente Sinodo ha insistito. Papa Francesco e i vescovi ammoniscono a che tutti siano accompagnati: «Se un amore fallisce -perché tante volte fallisce, precisa Bergoglio- «dobbiamo sentire il dolore del fallimento, accompagnare quelle persone che hanno avuto questo fallimento nel proprio amore, non condannare».
Accompagnamento e discernimento, così, procedono insieme: senza discernimento, l’accompagnamento rischierebbe di ridursi a buonismo che lascia le persone nel punto in cui si trovano e blocca in loro ogni ulteriore percorso e cammino. Ma senza l’accompagnamento -che è prossimità, benevolenza e, nei limiti del possibile, condivisione empatica del dolore e del fallimento, anche di un matrimonio- il discernimento rischia di ridursi a un esercizio intellettuale, lontano dalla vita. Come diceva Edith Stein -oggi copatrona d’Europa- è bene non accettare nulla come verità che sia privo di amore, e nulla come amore che sia privo di verità. Aveva commentato Papa Francesco il 20 febbraio 2014, in occasione di un concistoro straordinario, per impostare il discorso sulla famiglia: «In questi giorni rifletteremo in particolare sulla famiglia, che è la “cellula fondamentale della società umana”. Fin dal principio il Creatore ha posto la sua benedizione sull’uomo e sulla donna, affinché fossero fecondi e si moltiplicassero sulla terra; e così la famiglia rappresenta nel mondo come il riflesso di Dio, Uno e Trino. La nostra riflessione avrà sempre presente la bellezza della famiglia… cercheremo di approfondire la teologia della famiglia e la pastorale che dobbiamo attuare nelle condizioni [odierne]. Facciamolo con profondità e senza cadere nella “casistica”». Sono tutte azioni correlate al discernimento: si accompagna -o, almeno, la Chiesa accompagna- partendo dalla verità di Dio sulla famiglia. Una verità che la Chiesa umilmente ricorda e testimonia, anche se talvolta questa sua parola appare “dura” e molti, come racconta già il Vangelo, per questa durezza se ne scandalizzano e se ne vogliono andare.

Per il momento, però, i vescovi si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata, “frenando” alcune aperture di Papa Francesco nella direzione di cogliere alcuni segni dei tempi
La Relatio synodi si articola -e non è un caso- in tre parti precedute da un’Introduzione. La prima parte si occupa dell’«L’ascolto: il contesto e le sfide della famiglia»; la seconda de «Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia»; la terza de «Il confronto: prospettive pastorali». Ora, la seconda parte è immodificabile, perché -come recita un antico adagio- Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre: contemporaneo a ogni tempo, vicino a ogni uomo, Signore della storia. La prima parte obbliga a cogliere i segni dei tempi -segni che parlano della «solitudine come una delle più grandi povertà, frutto dell’assenza di Dio e della fragilità delle relazioni» e presentano infiniti casi di sofferenza, errori, confusioni. La terza parte -quella applicativa o pastorale- nasce dall’intersezione delle prime due: la perenne novità del messaggio di Cristo -che parla di indissolubilità del matrimonio e di adulterio per chi lascia o è lasciato dal coniuge e si risposa- e l’urgenza ad annunciare questa novità in modo comprensibile, affascinante, e quindi ragionevolmente capace di meritarsi la libera adesione dell’uomo. Non è certo un caso che -mentre svolte immediate sulla riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati paiono oggi difficili- il Papa stia insistendo su un auspicato snellimento dei processi di annullamento, che vorrebbe inoltre gratuiti, cioè accessibili a tutti. Anche questo è discernimento: cogliere la differenza tra matrimoni invalidi, che non ha senso protrarre generando frustrazione e obbligando spesso a vivere in situazioni di ipocrisia; e matrimoni validi ma sofferti, da accompagnare con misericordia.

Segue il punto sulle unioni omosessuali. Papa Francesco aveva già invitato a riflettere su quanto sia troppo semplice giudicare certe situazioni a priori…
“Giudicare a priori” è un’espressione strana. In un certo senso contiene un elemento di ambiguità, perché per giudicare -cioè prendere posizione- occorre disporre di elementi concreti, a partire dal tessuto esperienziale e dai fatti: altrimenti invece di un giudizio si ha un pregiudizio, un’idea già pronta all’uso e ostile a qualsivoglia riproblematizzazione. D’altra parte, è proprio il giudicare-prima a permetterci, molto spesso, di orientarci nella vita: di decidere cosa fare, sulla base di quali motivi e per conseguire quali risultati. In tal senso hanno giustamente fatto scalpore le parole con cui Papa Francesco ha detto: «se una persona omosessuale è di buona volontà e cerca Dio, io non sono nessuno per giudicarla». Hanno fatto scalpore eppure -precisava Francesco in quello stesso contesto, ripreso dal gesuita Padre Antonio Spadaro su La Civiltà Cattolica– «dicendo questo io ho detto quello che dice il Catechismo […] Bisogna sempre considerare la persona. […] Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnarle con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il Sacerdote a dire la cosa più giusta». Aggiunge poco dopo il papa: «I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare con loro nella notte, di saper dialogare e anche scendere nella loro notte, nel loro buio. Senza perdersi». E quindi senza “perderle”. Su questo punto, credo che Francesco esorti a spogliarsi dei facili moralismi, che rassicurano proprio perché irrigidiscono e, irrigidendo, generalizzano, banalizzano, deformano.

Mi sembra comunque significativo il fatto che, anche su questi aspetti, si sia palesta una maggioranza, disponibile all’approfondimento e al confronto…
Il Sinodo nel suo complesso è stato convocato per essere luogo di approfondimento e di confronto. L’opinione pubblica è rimasta molto colpita dalle divergenze tra i padri sinodali, e anche da alcuni gesti che hanno esibito e radicalizzato queste divergenze. Ma un confronto acceso ha sempre caratterizzato tali momenti, a partire dalla disputa tra Pietro e Paolo sul ruolo dei gentili dell’economia della salvezza. Certo, i padri sinodali discutono ma spetta poi all’autorità del sommo pontefice ascoltare, valutare e definire. Credo dunque sia un bene che ci sia questo confronto, anche acceso, proprio nel 2014 (“Assemblea generale straordinaria”): un momento a carattere introduttivo e preparatorio seguito da un anno di studio e approfondimento pastorale dei vescovi nelle rispettive diocesi. L’appuntamento è al 2015 (“Assemblea generale ordinaria”), quando la sfida riguarderà proposte concrete, decisioni operative. L’approfondimento e il confronto -lo auspica Francesco e l’ha ribadito anche Bruno Forte- «valorizza la collegialità episcopale»: un confronto vivace è sempre un confronto sano; quanto all’approfondimento, esso riguarda sia i temi -scottanti- sia i metodi: metodi per avvicinare e coinvolgere le persone in difficoltà; metodi innanzitutto per annunciare la bellezza e la verità della famiglia.

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