“Austerità o sviluppo”: Come uscire da crisi. Costa lo diceva 38 anni fa.

ROMA 29 Sett Con la data del 30 Giugno 1976, poche ore prima di morire, Costa aveva scritto queste poche pagine:

“Austerità o sviluppo”: è un dilemma che non può essere posto. L’austerità non è una bella cosa: solo al Duce le masse rispondevano di non volere la vita comoda. Considerazioni di carattere morale possono rendere apprezzabile l’austerità ma si deve trattare di un’austerità liberamente e personalmente scelta: dal punto di vista economico l’austerità è un assurdo. Lo sviluppo economico è una bella cosa in quanto consente migliori condizioni di vita all’uomo, e per ottenere un maggiore sviluppo economico è necessario un certo grado di austerità rappresentato dalla rinuncia a consumi per creare un risparmio che, investito produttivamente, può consentire un maggiore sviluppo economico che assicuri migliori condizioni di vita in un futuro più o meno prossimo. Entro un certo limite l’austerità è utile per lo sviluppo economico: oltre può diventare catastroficamente dannosa. A questo punto è bene premettere una considerazione di carattere generale: in economia politica è giusto esaminare la qualità dei fenomeni e talvolta la loro misura, in politica economica è necessario considerare sempre la misura ed in più i “rapporti” tra i diversi valori. Se questo principio, che è fondamentale “per capire qualcosa di politica economica”, fosse tenuto presente non si sentirebbe così spesso presentare come contrapposti principi e fatti che necessariamente debbono coesistere e per i quali il problema è quello di cercare di conoscere e di determinare il miglior rapporto tra stessi al fine di assicurare il maggior benessere all’uomo. Può essere giusto affermare che sono auspicabili maggiori consumi sociali riducendo i consumi personali, ma non è giusto auspicare maggiori consumi sociali se non si accetta che in correlazione si devono ridurre i consumi personali e bisogna avere l’onestà di precisare quali. Se si afferma solo l’aumento dei consumi sociali si possono fare belle ma inutili declaratorie, se si riconosce che si devono ridurre in correlazione i consumi personali è più facile rendersi conto che i margini di elasticità sono molto ridotti e che soprattutto per ottenere il risultato non esistono altre vie che la riduzione della capacità di acquisto dei cittadini oppure quella di togliere ai cittadini il diritto di scegliere i consumi che preferiscono. La seconda via è certamente più grave della prima, che è pur sempre gravissima. La crisi del petrolio che ha colpito tutto il mondo ha trovato l’economia del nostro paese depauperata dalla distruttiva politica economica e sindacale che è stata seguita da un decennio a questa parte.

”In un paese senza margini di elasticità e senza riserve la crisi mondiale , che si è accompagnata ad enormi aumenti dei prezzi delle materie prime, deve necessariamente essere affrontata con un ricorso all’austerità ben maggiore di quello che sarebbe stato sufficiente in un’economia che non si trovasse già in condizioni così precarie. Anche se non si fosse verificata la crisi del petrolio la crisi della nostra economia sarebbe gravissima perchè è in atto da una decina d’anni.

Il nostro paese s’è presentato alla crisi mondiale in questa situazione:

1) rapporto di costi sfavorevoli rispetto a quelli dei concorrenti più diretti con i quali operiamo in mercato comune, questo ha portato al deficit nella bilancia dei pagamenti. Se avessimo profittato del basso costo delle materie prime avremmo potuto, senza quel rapporto sfavorevole, accumulare ingenti risorse, invece abbiamo a malapena mantenuto un precario equilibrio, saltato con il crescere del costo delle materie prime che dobbiamo importare per trasformare e rivendere sui mercati esteri. Eppure si continuava a dire che l’inflazione era prodotta da un eccesso di domanda e non da eccesso di costi.

2) Livello di salari reali molto inferiore a quello che l’economia del paese avrebbe potuto consentire se fosse stata attuata una saggia politica economica e sindacale. Non c’è dubbio che con una equilibrata politica sindacale sarebbe stato possibile migliorare i salari reali, ma con troppa pressione sindacale si possono aumentare i salari nominali oppure sottrarre risorse a salari di altre categorie. Poi sottraendo risorse reali alla possibilità di risparmio produttivo si toglie la possibilità d’investire in miglioramenti tecnologici i soli che permettono di far crescere i salari reali.

3) Bilancio dello Stato in dissesto. Per coprire il deficit del bilancio dello Stato è stato fatto ricorso al pubblico risparmio. Sono emessi BOT con elevato rendimento, ma che hanno fatto crescere il DP. (Mia nota: “E ancora non era stato creato il drammatico baratro creato dal Governatore Ciampi, che ha raddoppiato, in 14 anni, il Debito Pubblico).

4) Bilancia dei pagamenti deficitaria. I bassi costi d’importazione delle materie prime e la vendita di prodotti esportati sotto costo, hanno permesso un equilibrio della bilancia dei pagamenti, anche se depauperando il Paese.

5) Attrezzatura industriale più efficiente, in senso assoluto, di quella del 1963, ma molto meno efficiente in via relativa rispetto agli altri paesi, con l’aggravante di avere la generalità delle aziende gravemente indebitate. Significa che dal 1963 al 1976 l’Italia ha perso terreno verso i propri competitori. L’aumento del costo del lavoro, del quale solo una parte è andata a beneficio dei lavoratori, ha obbligato le aziende italiane a subire la concorrenza del prodotto estero proveniente da paesi che producevano o vendevano a prezzi inferiori ai nostri costi. Anche piccole quantità di prodotto importato sono sufficienti a far ribassare il prezzo di tutta la produzione nazionale quando la capacità produttiva è superiore all’assorbimento del mercato. Questa situazione era in atto già dieci anni or sono: i responsabili della nostra economia, benchè tempestivamente avvertiti, non l’hanno voluta vedere ed hanno potuto illudere se stessi ed il paese perchè una serie di fatti particolarmente favorevoli ha temporaneamente compensato almeno in parte gli effetti negativi. L’esame del perchè le conseguenze della politica economica seguita hanno tardato tanto a manifestarsi in tutta la loro gravità è forse il mezzo migliore per ben comprendere gli errori che sono stati fatti ed i rimedi possibili. In questo modo le aziende si sono depauperate ed il paese si è impoverito.

(MIA NOTA: QUI COSTA SUGGERISCE, 38 ANNI FA, COSA FARE, MA ANCORA NESSUNO LO HA FATTO).

Come uscire dalla crisi e come rimettere in equilibrio la nostra economia: il primo punto sul quale dobbiamo essere d’accordo è che la scelta di inserire la nostra economia in un ampio mercato al quale partecipano paesi più ricchi di noi deve essere considerata irreversibile. In un mercato simile possono convivere paesi ricchi e poveri di materie prime e di risorse umane, per una possibile convivenza è necessario che esista una parità dei costi di produzione nel suo complesso e non per singoli prodotti. A questo punto interviene il problema del tasso di cambio. Il voler tenere un tasso di cambio superiore o inferiore a quello del mercato internazionale è un errore. Se i costi di produzione di un paese espressi in valuta sono troppo alti s’incoraggia l’importazione, si scoraggia l’esportazione, si crea disoccupazione e si depaupera il paese: è quello che si è fatto in Italia da 10 anni a questa parte. L’Italia è il paese, tra quelli ad economia più simile alla nostra, dove ci sono più occupati che non producono, dove s’impiega più manodopera del necessario, dove si lavora meno per maggiori ferie, orari ridotti, assenteismo. E’ il paese dove si fa più lavoro improduttivo e questo principalmente per effetto di leggi e regolamenti che invece di favorire la produzione la ostacolano. La pretesa di far aumentare i salari oltre il limite dell’incremento della produzione può creare soltanto inflazione”.

Qui finiscono le ultime considerazioni scritte da Costa (che dopo 36 ore morirà).

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Dopo la incarcerazione di Sarcinelli e la messa ai domiciliari di Baffi (rei di “avere ficcato il naso negli affari di Calvi e Sindona”)

L’azione nei confronti dei vertici della Banca d’Italia comunque prende le mosse proprio da questa inchiesta: Baffi e Sarcinelli vengono accusati di aver nascosto alla magistratura inquirente un rapporto stilato dagli ispettori della Banca d’Italia proprio sui finanziamenti del CIS alla SIR; inoltre si accusa il governatore di aver agito per coprire proprie responsabilità, in quanto ex membro del comitato esecutivo dell’IMI. Tuttavia queste accuse appaiono fin da subito infondate e quantomeno pretestuose e l’offensiva del giudice Alibrandi (ambiguo personaggio vicino alla destra missina) eccessiva, tanto da creare imbarazzo nella stessa Procura di Roma.

BAFFI E SARCINELLI SARANNO ASSOLTI “PER NON AVER COMMESSO IL FATTO”.

MA A GOVERNATORE VA CIAMPI CHE EREDITA UN DEBITO PUBBLICO AL 55% E LO LASCIA INTRORNO AL 120% (INFLAZIONE A DEBITO, NON STAMPANDO LIRE MA BOT).

CARLO VIOLATI

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