2 sett – Abbiamo un nuovo tribunale in Italia: il tribunale di Slow Food-Slow Wine. La novità consiste nel fatto che il catalogo culinario ed enologico non si limita più a recensire la qualità di un vino o di una portata ma anche le qualità morali di chi lo produce. E così, se un produttore di vini fa affermazioni che non piacciono ai compilatori dei cataloghi, indipendentemente se il vino sia buono o meno, il produttore viene eliminato e il vino depennato.
Questo è successo nei giorni scorsi: la guida Slow Wine, che è una delle più note in Italia, ha intenzione di depennare il produttore di vini goriziano Fulvio Bressan. Quest’ultimo nei giorni scorsi, sul suo profilo privato Facebook, aveva scritto un post condito di frasi razziste contro il ministro Kyenge, innescando una dura polemica con i suoi amici.
L’episodio poteva finire lì o poteva finire in tribunale qualora il ministro Kyenge avesse voluto far causa per diffamazione: le frasi non istigavano alla violenza contro la stessa, ma erano insulti razziali. Invece ecco che arriva un nuovo tribunale: quello, come detto, di Slow Wine.
Con un comunicato stupefacente Slow Wine fa sapere che, lette le affermazioni del Bressan sulla Kyenge, l’azienda agricola Mastri Vinai Bressan, che nelle prime edizioni aveva avuto la chiocciola, ovvero il massimo riconoscimento della qualità, adesso viene cancellata, non comparirà più, i vini non saranno più recensiti.
Premesso che se la Kyenge si sente diffamata dagli insulti di Bressan ha tutto il diritto di querelarlo, non si capisce quale diritto si arroghi Slow Wine di stabilire quali frasi possano essere dette e quali no, e soprattutto quale sia il legame tra i vini dell’azienda agricola e le affermazioni del produttore.
Affermare che un vino non sia buono e non vada recensito perché colui che lo produce fa affermazioni che non piacciono al recensore, e che se sono reati riguardano la magistratura e non i compilatori delle guide turistiche, è tipico di una triste mentalità che in Europa è stata portata all’esasperazione con artisti e letterati. Così Celine non sapeva scrivere perché antisemita, così Mircea Eliade non andava recensito perché troppo conservatore, così Julius Evola non compare nei testi scolastici di filosofia perché aveva opinioni non allineate e così, con le dovute proporzioni, e nessuno si sogna di paragonare Celine con un Bressan, il vino non è buono perché il produttore è razzista.
I due curatori del catalogo, Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, parlano di “lato umano dei produttori”, di “linee rosse oltrepassate”, del fatto che finanziano progetti come “mille orti in Africa”, ma è a una sola domanda che devono dare una risposta: la loro è un’associazione politica che recensisce le opinioni dei produttori di vini oppure un’associazione di esperti che recensiscono i vini?