Difesa italiana in crisi: mancano armi, munizioni e 50mila militari

Difesa italiana in crisi

L’Italia, in caso di guerra, non resisterebbe più di pochi giorni

Non è uno slogan allarmistico, ma il quadro che emerge dalle parole di chi guida le nostre Forze Armate. Le scorte di munizioni sono insufficienti, la difesa dello spazio aereo è definita “un groviera”, e il numero di militari è ben lontano da quello richiesto dagli standard NATO. A completare questo scenario desolante c’è un dato psicologico: solo il 16% degli italiani sarebbe disposto a combattere per la Patria, secondo il Censis. Una cifra che, di fronte a missili, droni e potenziali invasioni, racconta la fragilità di un Paese che si scoprirebbe disarmato e demotivato.

Il capo di Stato maggiore della Difesa, Luciano Portolano, lo aveva detto chiaramente in Parlamento lo scorso maggio: bisogna “ripianare e mantenere un adeguato stock di munizionamento con un focus particolare sulle battle decisive munition”. Tradotto: senza quelle armi non si regge un conflitto reale.

Ma non è solo un problema italiano: anche gli alleati europei arrancano. La Francia, che vanta la flotta aerea più potente della UE, avrebbe scorte di missili a lungo raggio sufficienti per appena un giorno di guerra. Per quelli a corto e medio raggio si arriverebbe a tre.

Lo scudo anti-missili che ancora non c’è

Il punto più fragile resta la difesa del cielo. “Non abbiamo una struttura complessiva per difendere lo spazio aereo nazionale dai droni”, ha denunciato al Giornale Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. Il numero di sistemi antimissile è insufficiente e i vettori per fermare un attacco balistico sono troppo pochi. Un conflitto prolungato ci troverebbe senza munizioni per respingere gli attacchi dal cielo.

Portolano lo ha confermato davanti ai parlamentari: “Uno degli obiettivi dell’Italia è dotarsi di uno scudo di difesa missilistico come Israele. È una delle priorità del ministro Crosetto”. Oggi disponiamo di sistemi di difesa, ma non garantiscono una copertura totale. Le nuove acquisizioni prevedono i missili Aster 15, Aster 30 e Aster 30 B1 NT, quest’ultimo capace di intercettare anche i missili ipersonici. Saranno operativi dal 2026 con le batterie Samp-T. Ma fino ad allora, il cielo resta un varco aperto.

Esercito e Marina: servono uomini e mezzi

Sul fronte terrestre la situazione non è migliore. A gennaio, il generale Carmine Masiello aveva ribadito la necessità di acquistare i lanciarazzi Himars e gli obici semoventi ruotati per le brigate medie. La componente carri armati, ferma da anni in attesa di modernizzazione, è un’altra priorità inevasa. Ma il vero buco riguarda gli uomini: secondo le richieste NATO, all’Italia mancano tra i 40mila e i 45mila soldati per rendere l’esercito pronto a un conflitto su larga scala.

Non solo: scarseggiano anche gli ufficiali, tanto che Portolano ha annunciato l’attivazione delle riserve per garantire un “adeguato bacino di personale aggiuntivo”. Il problema, però, non è solo numerico: cresce la difficoltà a reclutare nuove leve. La paura della guerra disincentiva i giovani, e la Marina militare soffre una carenza cronica di personale. L’ammiraglio in congedo Binelli Mantelli ha denunciato: “Al ritorno dalle missioni il 10-15% dei marinai non vanno in licenza e devono reimbarcarsi. Manca il personale”.

Aeronautica senza radar moderni e missili di nuova generazione

La fotografia si completa con le parole del generale Antonio Conserva, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che pochi giorni fa ha ribadito: “Per l’Italia è indispensabile un significativo rafforzamento delle capacità di difesa antimissile e antidrone”. Non basta: serve anche modernizzare la rete radar nazionale e potenziare le capacità satellitari.

Oggi mancano missili aria-aria di ultima generazione, strumenti indispensabili per garantire la superiorità nei cieli. Scarseggiano persino i missili antinave e le bombe di precisione per supportare le truppe di terra. In pratica, il nostro Paese rischia di trovarsi senza le armi necessarie sia per difendere il mare sia per proteggere il territorio da attacchi aerei.

Il nodo delle risorse e un Paese senza strategia

Il filo conduttore resta la mancanza di risorse economiche. Le coperture finanziarie sono sempre inferiori ai bisogni operativi e le priorità si accavallano senza mai concretizzarsi. Nel frattempo, la percezione pubblica rimane lontana dalla realtà militare: la grande maggioranza degli italiani non immagina uno scenario di guerra e non accetterebbe di combatterlo.

Il rischio è quello di trovarsi in una posizione scomoda: troppo deboli per difendersi e troppo esitanti per rafforzarsi, in un contesto globale in cui conflitti e tensioni crescono di giorno in giorno. Mentre gli altri pianificano scudi e deterrenti, l’Italia continua a fare i conti con un’arma spuntata e con un esercito ridotto all’osso.
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