Elezioni Midterm 2018, sovranisti e globalisti si affrontano in America

LE IMPORTANTI ELEZIONI MIDTERM 2018

di Gianmarco Landi

Martedì 6 novembre ci saranno importantissime elezioni in Usa, le elezioni di metà mandato (Midterm), che definiranno il quadro politico istituzionale in cui la Presidenza Trump sarà contestualizzata e perciò potrà agire nei prossimi due anni ed eventualmente rinnovarsi per un 2° mandato dal 2020-2024.

Credo sia inutile evidenziare come esse abbiano un’incidenza molto marcata in Europa e in Italia in particolare, vista la posizione conflittuale del Governo italiano rispetto al gotha della  UE. I vertici della UE potrebbero anche soccombere il prossimo anno sotto il fuoco  sovranista sparato alle prossime elezioni europee, ma potrebbero anche salvarsi se solo riuscissero ad impedire aiuti politici, tecnici e soprattutto finanziari in favore dell’ardimentoso spirito del Governo italiano, una testa d’ariete ben voluta da Trump nel senso di sfondare lo status quo della Unione Europea.

Fino a questa estate i Media all’unisono annunciavano una grandiosa riscossa dei democratici statunitensi sciorinando sondaggi perentori che lasciavano intravvedere la possibilità, non solo nella testa dell’esercito di liberal orfani di Hillary, dell’impeachment presidenziale, cioè  il proposito di sbarazzarsi di Trump anzitempo con un qualsiasi pretesto,  tipo il Russiagate o uno scandalo sessuale, che potesse essere accolto da un Senato egemonizzato nuovamente dai Dem al fine di  ripristinare con furia restauratrice il cammino incontrastato della  Globalizzazione.

Dopo la pesante batosta targata Hillary Clinton patita dalla gioiosa macchina da guerra dei Dem due anni or sono,  intravvedo il pronostico di una seconda mortificante batosta in arrivo per i Dem. Molto poco ha contato secondo me l’esubero di carburante politico rifornito dalle pompe di denaro e di ‘libera’ informazione massmediatica riferibili a George Soros e alla sua congrega di Alti faccendieri. L’uomo  dai capelli arancioni all’approssimarsi dell’apertura delle urne si sta rivelando una specie di eroe della Marvel, che porta i suoi nemici ad illuderli e crogiolarsi in sentimenti di sterile soddisfazione e autocompiacimento, fino ad un punto in cui decide di agire in prima persona per stroncare tutti i suoi nemici e in breve tempo liquidare in maniera spietata  ogni loro contundente ambizione nei suoi confronti.

Vediamo i numeri  rilevati a 16 giorni dall’apertura delle urne con cui Trump sta guidando i Repubblicani verso un’affermazione senza precedenti, visto che negli ultimi 30 anni le elezioni di Midterm hanno sempre favorito il partito che non aveva il Presidente e che era in minoranza.

Tra 16 giorni si eleggeranno:

1) 34 seggi dei 100 del Senato ( ogni senatore dei due spettanti ad ogni stato, resta in carica 6 anni e ogni 2 anni se ne rinnovano 33 o 34);

2) 36 dei 50 Governatori degli Stati;

3) il totale dei 435 membri alla Camera del Congresso.

La situazione è determinata dalla media dei sondaggi alla data di oggi, ed essa vede ribaltare tutti i sondaggi dei mesi scorsi che annunciavano la poderosa riscossa dei Democratici, due mesi fa dati vincenti alla Camera e sui governatorati, e in leggerissimo vantaggio anche al Senato.

Da un mese a questa parte però la musica è cambiata e la festa Dem è finita con la discesa in campo del Presidente Trump. Al Senato, l’organo che coadiuva la Presidenza nelle materie più rilevanti e che perciò interessano indirettamente anche a noi europei, la situazione vede 50 seggi quasi certi per i repubblicani e 44 per i democratici,  assegnando suddetti seggi in lizza sulla base delle medie dei sondaggi in cui si riscontrano scarti superiori ai 6 punti. Nei restanti 6 seggi (definiti toss up) per completare i 100 senatori totali, l’esito oggi é incerto  ma in tre collegi (Arizona, Nevada e Missouri) tra questi sei in situazione di toss up, i candidati repubblicani hanno la media dei sondaggi in vantaggio e un trend nelle ultime due settimane favorevole. Un collegio dei restanti sei toss up, quello della Florida, in situazione di perfetta parità ma dopo una rimonta nei sondaggi di 6/8 punti in due mesi e con un sondaggio di stanotte che dà il repubblicano, l’aspirante senatore repubblicani Scott,  sembra sopra di 2 punti, con ciò inducendomi nel convincimento che la maggioranza del Senato non solo andrà a Trump ma quasi sicuramente con uno scarto forte, cioè con non meno di 6 senatori, probabilmente di 8 senatori. I Dem nei 6 seggi dati oggi in bilico sono in vantaggio solo in 2, cioè in Indiana e Montana, e pure con uno scarto inferiore ai 3 punti e un trend nazionale sempre più sfavorevole, quindi tra 16 giorni potrebbe addirittura profilarsi un risultato ancora più nettamente in favore di Trump, cioè +12 senatori, cioè un quadro del Senato con 56 repubblicani in maggioranza e 44 democratici all’opposizione. Ciò significherebbe ovviamente dire addio a qualsiasi sogno di impeachment presidenziale, tenendo conto pure che l’elezione recente di Kavanaugh a giudice dell’Alta Corte, aveva dato la maggioranza ai repubblicani, e ciò avrebbe lasciato comunque  spazi molti ristretti alle piagnucolanti vedove di Obama in cerca di impeachment, anche se per ipotesi il prossimo 6 di novembre le urne avessero dato la maggioranza del  Senato ai democratici.

Idem con patate per  le partite dei 36 governatori in lizza sui 50 stati Usa, che a noi in Europa ovviamente interessano poco. Le statistiche attuali vedono i repubblicani del  Gop in vantaggio con 23 governatori quasi certi contro 19, mentre in 8  Stati la competizione versa ancora in bilico (media sondaggi con scarti inferiori a 6 punti percentuali). L’esito assegnando gli stati sulla base dei sondaggi anche con scarti sotto i sei punti si concluderebbe con 27 governatori repubblicani e 23 democratici.

Apertissima invece è la partita sulla Camera, un organo del Congresso non importante quanto il Senato ma comunque molto importante.  Due mesi fa si dava questa partita già chiusa in favore dei  Dem ipotizzati in maggioranza con un minimo di 25 e un massimo di 45 membri di vantaggio, oggi però le statistiche rilevate vedono una situazione di sostanziale parità nella totale incertezza su quale possa essere il partito in maggioranza al termine della notte del 6 di novembre prossimo. Guardando le medie dei sondaggi distretto per distretto nei 435 distretti, si vedono oggi i Dem con 205 seggi quasi per sicuri a loro favore, mentre i Repubblicani con 198, ma i dati vedono però nei rimanenti 32 distretti con esito in bilico (scarto sotto i 6 punti), una ventina di distretti Toss Up con il  candidato dei Repubblicani in vantaggio.

In conclusione, comunque vada l’elezione dei 435 membri della  Camera, l’unica delle cinque istituzioni Nazionali Americane in cui i Dem potrebbero strappare una qualche maggioranza, lo scoglio delle Midterm contro cui la nave sovranista del capitano Trump avrebbe dovuto distruggersi secondo i piani dei Dem e della sua corrente Liberal più estremista in senso della Globalizzazione, sembrano destinati a fallire miseramente. Questa pesante sconfitta investirà le  due ‘valchirie’ di George Soros, la senatrice Elizabeth Warren e lo speaker dei Dem  alla Camera  Nancy Pelosi, e quindi anche la prossima battaglia per il candidato dei Dem alle future presidenziali ne ricaverà pregne conseguenze.

Contro ogni pronostico estivo propinato dai media mainstream, che da alcune settimane infatti tacciono su questo argomento, si va a delineare per il primo martedì di novembre un netto rafforzamento politico della presidenza Trump che sfruttando il vento di un’economia trainante nonché dei portentosi successi in politica estera, navigherà a gonfie vele verso la riconferma tra due anni della nomination repubblicana senza minimamente lottare,  e quindi anche una riconquista della presidenza assai probabile. Sull’altro campo, invece,  chiunque voglia contendere la presidenza a Trump dovrà sganciarsi da Soros e i suoi accoliti fanatici della Globalizzazione per avere una qualche minima possibilità di non essere schiantato dai repubblicani e da Trump ancora prima di aprire il primo comitato elettorale.

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