Il maxiprocesso Aemilia sarà aggiustato da massoni e toghe?

di Antonio Amorosi

L’ombra della massoneria e degli strani intrecci con il mondo delle toghe potrebbe salvare chi verrà condannato nel procedimento Aemilia, il primo maxiprocesso contro la mafia nella rossa Emilia Romagna. La ‘nrdangheta cutrese, presente in regione dagli anni ’60 e operativa con il clan Dragone dagli ’80, è diventata presto egemone a Reggio Emilia. Ma la prima maxi operazione contro i clan è scattata solo nel 2015 contro il clan Grande Aracri.

Ora le dichiarazioni del pentito Antonio Valerio che, ritenuto sempre attendibile da carabinieri e inquirenti (hanno ogni volta verificato le sue ricostruzioni), parla di rapporti eccellenti tra avvocati, magistrati e logge massoniche.

Durante il processo emiliano i carabinieri modenesi si sono detti convinti della “genuinità delle dichiarazioni e della credibilità del collaboratore”. Il pentito ha spiegato gli ultimi 35 anni di insediamento della ‘nrdangheta cutrese in Emilia (il pentito ha 50 anni di età). Da quando arrivò a Reggio Emilia negli anni ’80 facendosi le ossa con la droga, agli omicidi e l’assalto alle imprese del settore edile, fino al business dei falsi pass per immigrati, utilizzati per aggirare la legge Bossi-Fini. Infine la trasformazione del clan in una “locale” autonoma dalla centrale calabrese e così più dinamica e liquida rispetto alle vecchie logiche del crimine passato: come la cosiddetta cultura criminal-imprenditoriale avesse preso col tempo il sopravvento. Prima del processo Aemilia i clan lavoravano per sostenere la politica in maniera che la politica poi difendesse le imprese mafiose.

Chi scrive ha raccontato nel libro Coop Connection come la Dia nazionale e il ministero dell’Interno già negli anni ’90 avessero comunicato agli enti locali che circa 3560 tra boss, affiliati e sorvegliati speciali fossero vissuti in Emilia dal 1961 al 1995. Ma la reazione degli enti locali fu nulla, come è sempre stato, anche grazie alla vulgata della sinistra locale che in Emilia la mafia non esisteva.

Il clan Grande Aracri ha sempre visto come importanti i rapporti tra notabili locali, magistrati e logge. E’ quanto emerso anche nell’inchiesta calabrese Kyterion: le logge sono ritenute “strumento di incontro con persone perbene che potevano tornare utili agli interessi della stessa cosca” .

Valerio dopo la collaborazione con i magistrati di Aemilia è stato sentito dalla Dda di Catanzaro ed ha parlato di processi “aggiustati” in Cassazione, tramite avvocati con amicizie non solo tra i magistrati ma anche in ambienti massonici, mettendo a verbale una precisazione dettagliata: “E questo si verifica anche in Aemilia”, ha detto, raccontando che mentre era in gabbia nell’aula-bunker di Reggio Emilia, e non era quindi ancora collaboratore di giustizia, venne avvicinato da un avvocato che, senza tanti giri di parole, gli disse che nei giudizi di merito di Aemilia sarebbero fioccate le condanne, ma poi “grazie alle sue conoscenze… avrebbe aggiustato il processo in Cassazione”. Valerio si sarebbe consultato con altri imputati e avrebbe avuto la conferma della strategia.

I verbali del pentito sono coperti da numerosi omissis a riprova che gli inquirenti ben conoscono l’identità dei protagonisti del fatto. Spetterà ora agli inquirenti affrontare queste nuove strade, già note da anni, ma sempre risultate impervie e ricca di insidie politiche e giudiziarie a chi le intraprende.

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