La prigione delle parole

transgender

La politica, che ha paura di chiunque formi una minoranza e cominci a strillare di essere discriminato, ha avallato le maggiori bizzarrie

di Emiliano Scappatura – J. K. Rowling e tutto un piccolo gruppo di intellettuali maltrattati dalla stampa progressista come retrogradi e omofobi possono respirare un poco, anche se c’è voluta una riunione della corte costituzionale nel Regno Unito per sentenziare, giustificandolo in decine di pagine (e saremmo curiosi di capire cosa ci abbiano scritto oltre le prime dieci righe), che il sesso di una persona, quantomeno a livello anagrafico, lo determina la biologia. Anche se poi, quasi a scusarsi, ci si è premurati di dire che i diritti dei trans “rimangono protetti”.

Naturalmente, è ovvio, ognuno nasce in un modo e poi in una società è libero di sentirsi ciò che vuole, ma questo non vuole dire che lo sia anche, un po’ come quei bambini che qualche volta siccome indossavano il costume di Superman pretendevano anche di potere volare o quegli individui che si credono Gesù che ogni tanto vengono scaricati in qualche clinica statunitense (Milton Rokeach ne raccolse tre in una volta in un famoso esperimento, ma assicura che nessuno riuscì a produrre alcun miracolo).

E così l’alta corte, che in passato era stata convocata per disquisire di elevate questioni libertarie adesso è stata scomodata per decidere cosa determina il sesso di una persona. Ma se per tutto ciò una volta non si sarebbe spesa più di qualche risata adesso prenderei la cosa molto più seriamente perché dietro questo episodio si cela un lato della decadenza del nostro tempo.

Da tempo infatti un femminismo battagliero e dalle mille sfaccettature si è andato imponendo nella cultura politica del mondo occidentale accusando il modello tradizionale di coppia di essere solo portatore di odio e violenza e questa società di avere gestito questi rapporti in maniera repressiva e patriarcale. Insomma, in nome della vera libertà va sovvertito tutto portando alla luce ciò che finora abbiamo scelto biecamente di ignorare. A noi queste sembrano estremizzazioni sciocche e pericolose, ma ad altri è sembrato che queste alte teorie fossero illuminanti, e questo spiega perché l’Occidente si stia ripiegando su se stesso.

Adesso la corte britannica sta forse dando ragione a tutta una maggioranza silenziosa che da sempre la pensa come noi, ma ha avuto paura di dire quel che pensava per non sembrare terribilmente arretrata o “fascista”, che adesso significa solo prigioniera di minoranze aggressive.

Dire che è femmina chi è femmina può adesso sembrare un inutile pleonasmo. Ma quando per giungere a un’ovvietà si deve percorrere così tanta strada si mette a nudo la miseria di un tempo in cui dietro le ovvietà si sono prima deglutite abbuffate di parole che sono servite solo a dire in maniera più complicata quello che era evidente ed immediato. Sembra una banalità e invece alla fine l’Occidente su queste sciocchezze si è preso così tanto sul serio che ha finito per credere a quello che ha cominciato a ripetersi addosso, e cioè che per essere femmina o maschio non è più necessario esserlo ma sentirsi tali.

E la politica che ha paura di chiunque formi una minoranza e cominci a strillare di essere discriminato ha avallato anche le maggiori bizzarrie: in certi paesi il genere sessuale era finanche sparito dai documenti e alla fine te lo sceglievi tu. Insomma, non potendo cambiare la natura, si era scelto di chiamarla in un altro modo, illudendosi che a cambiare il nome alle cose anche la realtà alla fine ne sarebbe stata alterata. Ma la natura è rimasta indifferente alle nostre stravaganze linguistiche e ai nostri spasmi morali.

Qui da noi ci si affida al potere magico delle parole

Si chiamano i trans femmine come si definiscono i ciechi videolesi, e ci sembra che i primi cambino genere e i secondi tornino a vedere e ci si sente come se i problemi si dissolvano in barba alla natura. Ma in realtà quella che ne è venuta fuori è solo una gran confusione.

Orbene, noi crediamo che l’Occidente in questi ultimi decenni sia stato invaso, quasi per una sorta di orgoglio democratico, come da una smania in cui ogni categoria sociale ed ogni minoranza si sia messa a perseguire nuovi diritti e spazi di tutela fino a farne infine una scorpacciata e a stordirsene. Ma le scorpacciate, si sa, provocano alla fine indigestioni e rigurgiti. E ci si deve chiedere infine se la società, che orgogliosamente mena vanto di concedere questo proliferare di diritti quasi che più ne distribuisca e più si mostra migliore alla fine si sia scoperta davvero migliore di come era partita e ne abbia davvero guadagnato o si sia scoperta più povera. Perché infine riconoscere un beneficio a una categoria significa far fare un passo indietro a tutti gli altri, e in questa inflazione di diritti non si sa se poi alla fine quello che ne ha perso è il diritto d’ognuno. Perché la base della democrazia è il riconoscimento dell’uguaglianza e, quando ognuno riesce a fare parte di qualche categoria protetta, alla fine di “uguale” non rimane che chi non è riuscito ad arraffare nulla.

Non che prima questi stessi diritti non venissero tutelati, naturalmente. In Italia abbiamo sempre avuto, almeno a livello teorico, una giurisprudenza di prim’ordine. L’omosessualità per esempio in Italia non è più un reato da circa un secolo e mezzo, ma anche nel Regno Unito è stato abolito, de iure, da oltre sessant’anni. Come al solito si sente gridare a cose fatte, ma semmai le lotte sarebbero da farsi dove le restrizioni esistono davvero. E a sentire tutte queste urla viene quasi il dubbio che fino a qualche decina di anni fa maltrattare un omosessuale fosse qualcosa che potesse restare tranquillamente impunito. È che prima egli veniva considerato semplicemente un normale cittadino come chiunque altro. Troppo poco, in un paese dove sentirsi normali cittadini significa non sentirsi nulla.

In un paese come il nostro dove prima esisteva semplicemente l’omicidio e adesso invece c’è il femminicidio e poi l’omicidio stradale (attendiamo, per completare quella che adesso è sì una discriminazione, il maschicidio, o magari, e per ora ci sembra di scherzare ma non si sa mai in questo paese, il nericidio e via dicendo) chiunque da sempre subisca una violenza di ogni tipo è soggetta alla protezione del codice penale.

Picchiare o uccidere una persona, indipendentemente dal suo sesso, dai suoi gusti sessuali, dalla sua etnia è comunque da sempre un delitto, e la discriminazione è semmai differenziare la vittima. Ma i legislatori, con la viltà di chi ha paura di restare indietro, si sono accodati ai capricci di chi in questo paese ha sempre gridato più forte accusando gli altri di scarsa solidarietà e di complicità col nemico.

Ma da sempre qui essere semplicemente un cittadino è cosa di basso conto. L’Italia è una democrazia di uguali, ma dove per contare qualcosa devi sempre fare parte di qualche cerchia protetta. In un paese dove, riconosceva Enzo Biagi, un cittadino ogni tanti è presidente di qualcosa, e quindi essere semplicemente un cittadino è degradante, anche nell’essere maltrattati bisogna differenziarsi. In quest’epoca bisogna essere non vittime, ma perseguitati, altrimenti non ti ascolta nessuno. In questo paese da melodramma bisogna sempre mostrare le lacrime agli occhi. Fa più chic.

Prof. Emiliano Scappatura