Petizione sul salario minimo, “già 200mila firme”. Ma c’è chi ha firmato tre volte

Elly Schlein

La campagna delle opposizioni per il salario minimo è diventata una corsa a perdifiato all’annuncio mediatico.

La campagna delle opposizioni per il salario minimo è diventata una corsa a perdifiato all’annuncio mediatico. Una raccolta firme ferragostana, scandita da cifre record sputate qua e là sui social. 100mila firme, 150mila a Ferragosto, 200mila ieri. Ogni giorno c’è un numero da sventolare in faccia al governo di Giorgia Meloni. Ma, al netto della pur ragguardevole mobilitazione, l’entusiasmo sembra esagerato. Soprattutto se si considera il fatto che la corsa alle firme ha alte probabilità di rivelarsi un ballon d’essai.

Come scrive www.ilgiornale.it, con cifre che hanno la stessa solidità di un castello di carte esposto ai soffi di vento. Il motivo è semplice e sta nella stessa natura della petizione online lanciata dal campo largo. Una raccolta firme sul web, attraverso un sito. Senza l’ombra di una certificazione per impedire la proliferazione di voti da parte della stessa persona. I promotori non chiedono nessun documento d’identità, nemmeno il numero di un codice fiscale. E nessuna firma digitale. Non un’autenticazione. Il risultato è che le firme non hanno valore legale. Ma non solo: la moltiplicazione delle sottoscrizioni è fin troppo semplice.

Il Giornale, accedendo al portale salariominimosubito.it ha firmato tre volte la petizione con lo stesso nome e cognome, cambiando solo l’indirizzo mail inserito nel form. Considerando che spesso una sola persona gestisce più caselle di posta elettronica, risulta facilissimo sottoscrivere l’iniziativa due, tre volte o più. Per non parlare della semplicità con cui si può creare un nuovo indirizzo mail. Potenzialmente, se ne possono aprire a decine o centinaia. Inoltre si può firmare inserendo qualsiasi tipo di nominativo, dato che non viene chiesto un documento. Così è possibile sostenere la petizione a nome di Pinco Pallo, Topo Gigio o magari Mr. Montgomery Burns de I Simpson.

Non è tutto: c’è anche chi giura di essere riuscito a firmare due volte con due nomi diversi, ma con un indirizzo di posta elettronica identico. Un meccanismo che rende fallace una stima realistica del consenso riscosso dalla raccolta firme per il salario minimo legale a nove euro l’ora. Dopo aver inserito nome, cognome, Cap ed email, il sistema invia un messaggio di posta elettronica per confermare la firma e ringrazia l’utente per aver contribuito alla causa. Nessun controllo ulteriore. Senza contare i problemi di accesso al sito, che proseguono a singhiozzo. Nel tardo pomeriggio di ieri c’erano ancora difficoltà con il reindirizzamento sul portale.

Eppure le opposizioni continuano a cavalcare le fanta statistiche dell’iniziativa. Dice il deputato Pd Arturo Scotto: «Noi del Pd, insieme alle altre opposizioni, in meno di due giorni abbiamo raccolto 200mila firme». Seguono Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli da Alleanza Verdi Sinistra: «200mila firme in pochissimi giorni!». Poi l’account ufficiale di Azione: «La petizione ha superato le 200mila firme. Un risultato straordinario che dimostra che il Paese è con noi». Commenta Sandro Ruotolo, della segreteria Pd: «In due giorni 200 mila firme. Una marea». «Sul salario minimo il Paese è con noi!», ha detto martedì Giuseppe Conte, leader del M5s.

Fa discutere la vicenda della società di vigilanza Mondialpol, a cui la Procura di Milano ha revocato l’amministrazione giudiziaria dopo la scelta di aumentare i salari. «Siamo tornati all’ordinamento fascista del lavoro, quando decideva la magistratura in caso di mancato accordo tra le parti», riflette l’ex sindacalista Giuliano Cazzola. Perplessità sulla proposta delle opposizioni da parte dell’ex presidente dell’Inps Tito Boeri: «Sbagliato stabilire a priori che il salario deve essere di 9 euro».

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