Società offshore legate al terrorismo islamico acquistano grandi marchi italiani

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Di Umberto Baccolo  – Tutti sappiamo che la crisi del Covid ha cambiato il mondo, ma a volte non ci rendiamo conto di quante e quali siano le conseguenze. Una notizia di oggi ci fa riflettere sul tema, in modo preoccupante: il marchio Zili, un’ammiraglia della moda franco-italiana, è infatti appena stato, nell’indifferenza generale, rilevato tramite il tribunale di Lione da NEGMA, una misteriosa società registrata nelle Isole Vergini Britanniche e con sede a Dubai.

Senza avere la minima visibilità sul loro profilo, e senza alcuna garanzia sulla loro strategia industriale a medio e lungo termine, il tribunale commerciale ha messo il futuro di un’azienda storica nelle mani di investitori resi invisibili dal vetro non oscurato di una struttura con sede a Dubai. Ed i problemi di questa NEGMA sono numerosi, tanto da aver allarmato le autorità francesi, ed in particolare del TRACFIN, un servizio di intelligence posto sotto l’autorità del Ministero dell’Economia, delle Finanze e del Recupero, che si occupa di combattere contro i circuiti finanziari clandestini, il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

Misteriose società offshore

Inquietante sapere Cosa ha attratto l’attenzione del TRACFIN, cioè, andando ad elencare, il carattere offshore della società; il management a Dubai; la mancata comunicazione degli investitori reali; il fatto che addirittura il nome Negma non sia un nome degli Emirati, ma egiziano; la questione che i fondi provengano infatti non da Dubai ma da Algeria, Tunisia ed Egitto; quella che il business plan sia poco realistico rispetto alla situazione finanziaria delle società e ai pochi fondi dimostrati; ma soprattutto, e questo è terrificante, che ci siano noti legami tra membri della famiglia del gestore e membri dei Fratelli Musulmani, con secondo le autorità francesi elevato rischio di riciclaggio a finalità di terrorismo!

Cosa che ha spinto Tracfin a bloccare tutti questi conti e ad avviato verifiche per, appunto, riciclaggio con sospetto di terrorismo. Una situazione di una gravità inaudita, che non sarebbe dovuta essere possibile, e ci si augura non possa più accadere relativamente ad altre società, e del quale la stampa sta colpevolmente tacendo.

La svendita dei marchi italiani

Perché è sconvolgente che, dopo che tanti naufragi economici e tradimenti sociali sono stati resi possibili in Europa negli ultimi 20 anni da questo tipo di assetto, continuiamo a svendere i nostri fiori all’occhiello a investitori ai quali non possiamo chiedere nulla, perché non li conosciamo. Investitori a cui innanzitutto i dipendenti e i rappresentanti eletti non potranno rivolgersi se decideranno di rivendere in uno o due anni, ma anche, e soprattutto, i cui fondi molto probabilmente hanno origini non etiche e legali, o addirittura pericolose per gli equilibri internazionali, visto che qui di rischio terrorismo islamico si sta parlando.

Tutto ciò, nonostante in questo periodo, almeno a parole, sia stata sollevata dalla politica la questione della necessità della sovranità industriale a livello nazionale ed europeo, con i leader italiani, tedeschi e francesi sempre a parole unanimi nell’opporsi alle delocalizzazioni e nel volersi impegnare a difendere i fiori all’occhiello delle relative industrie contro qualsiasi acquisizione da parte di poteri tanto danarosi quanto ambigui e sicuramente non interessati alla sostenibilità sociale dei loro investimenti.

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