Rapiti in Libia, fu pagato un riscatto. Sopravvissuto: l’Italia non ci ha liberati

 

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Il governo italiano, nel 2015, avrebbe pagato un riscatto di 13 milioni di euro per la liberazione dei quattro tecnici della Bonatti di Parma rapiti in Libia. Nonostante l’ingente somma l’operazione andò a finire male: due dei quattro italiani, Fausto Piano di Capoterra e il collega siciliano Salvatore Failla vennero uccisi. Più fortunati Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, che dopo il lungo incubo, durato circa 8 mesi, poterono riabbracciare le loro famiglie.

Una verità sepolta sotto la sabbia

Un giallo con molti protagonisti, in gran parte agenti segreti di tutto il mondo, che si combattono nel disperato tentativo di negare la verità, nascondendo la realtà dei fatti. Il governo italiano ancora oggi sostiene che, per la liberazione dei quattro tecnici, non fu pagato alcun riscatto. Ora però il capo dei servizi segreti a Tripoli, Mustafa Nuah, sta fornendo una versione che fa scricchiolare le dichiarazioni ufficiali rilasciate dal nostro Paese. Non solo venne pagato un riscatto, ma i rapitori – e la cosa pare fosse nota all’intelligence – appartenevano all’Isis. La prova consisterebbe in un pacco con 500 mila euro in contanti rinvenuto nell’abitazione della moglie di uno dei leader dell’Isis in Libia. La notizia approda molto tardi sui principali canali televisivi, ma dal governo, dalla Farnesina, si decide di evitare qualunque replica.

Molti i dubbi sollevati dalla moglie di Failla

Nel frattempo la famiglia di Failla, attraverso una intervista rilasciata a Quotidiano Nazionale, sostiene la versione rilanciata da Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera: “Un po’ di luce sta andando a illuminare il buio – commenta Rosalba Castro Failla sulle pagine di Quotidiano Nazionale -. Non è andata come ce l’hanno raccontata. La versione ufficiale non convince nel modo più assoluto. Dietro la morte di mio marito e del suo compagno di lavoro Fausto c’è qualcosa di indicibile. Ci sono troppe cose che il governo italiano ci sta nascondendo. Le foto di loro in tuta blu nel deserto vicino alla macchina attorno alla quale sarebbe avvenuta la sparatoria in cui sarebbero morti sono una sceneggiata: la macchina non ha neppure un foro di proiettile. Le immagini vere del luogo della morte sono quelle scattate in un interno, con mio marito che indossa una canottiera bianca. Ma il punto è: dove sono state scattate? E da chi?”.

La Farnesina ci ha abbandonati

“Da quando siamo ripartiti da Roma, la Farnesina non mi ha detto nulla – commenta amareggiata la vedova di Failla -. Mi dissero ‘le faremo sapere’: sto ancora aspettando. Voglio una risposta dal governo italiano”. La signora Failla ritiene plausibile che suo marito sia morto sotto il fuoco amico. “Certo – riflette – esiste la possibilità che li abbiano uccisi i rapitori per fare pressione sul governo italiano, che a quel punto ha pagato. Ma sono solo ipotesi. Io lo chiedo al governo italiano: avete la coscienza sporca? Come è andata? Quando, quanto, come abbiamo pagato? Chi? Dove sono finiti i passaporti di Salvo e Fausto? Perché si è dato il via libera agli americani a bombardare Sabratha pur avendo 4 ostaggi detenuti in zona? Aspetto risposte. Le pretendo”.

Di diverso avviso uno dei due rapiti tornati vivi in Italia

Gino Pollicardo non crede alla versione dei servizi libici. “Non c’è stata alcuna operazione di liberazione – sottolinea -. Ci siamo liberati da soli: Salvo e Fausto sono morti perché i sequestratori hanno voluto cambiare rifugio, dopo i bombardamenti americani. Se l’Italia avesse pagato il riscatto, avrebbe detto loro di non bombardarci. L’Italia – prosegue Gino nel suo commosso racconto – non può aver pagato per una liberazione che non c’è stata: se avesse pagato, avremmo trovato l’intelligence, fuori, quando con un chiodo abbiamo aperto la serratura. E non avremmo vagato da soli, per tre chilometri, affidandoci poi a nostro rischio alle milizie libiche. E non saremmo rimasti soli, dal 3 al 6 marzo, nelle loro mani. E ci sarebbe stato almeno l’elicottero, che abbiamo atteso 5 ore e mezzo, stremati, dopo 228 giorni di prigionia. I servizi libici cercano una collaborazione che non c’è stata, l’Italia non ci ha liberato, purtroppo. Altrimenti saremmo tutti e quattro vivi”.

Se uccisi dai terroristi l’Italia risarcisca le vedove

Certo lo Stato italiano dovrà comunque sia farsi carico di una responsabilità da cui difficilmente potrà esimersi: “Se, come pare sempre più certo, siamo stati vittime del terrorismo, il governo deve dirlo, non tanto per me e per Filippo, che siamo vivi, ma per le famiglie di chi non è tornato. Le due vedove si sentono abbandonate. Abbiano, almeno, il risarcimento dovuto. Non sarà certo come riavere i propri cari, ma sarà un segno di quella considerazione mancata fin qui”.

TISCALI

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One thought on “Rapiti in Libia, fu pagato un riscatto. Sopravvissuto: l’Italia non ci ha liberati

  1. Ho letto l’articolo di TISCALI dalla prima parola fino alla fine, e nella fine le parole di chi si sono salvati sono di una limpidezza senza ombra di dubbio alcuno! qui ce da vergognarsi a essere Italiani!

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