In ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

falcone e borsellino

di Alessandra Chiavegatti – Mi sembra quanto mai importante in questa ricorrenza della morte di Paolo Borsellino, e soprattutto in questi tempi così oscuri per la nostra Repubblica, onorare questi due grandi uomini che hanno dato la vita perché credevano in un mondo pulito, in una legge uguale per tutti e in una giustizia che fosse non solo forma ma anche sostanza, e soprattutto non si prestasse a compromessi di sorta. Hanno sognato di sconfiggere la mafia e poi si sono impegnati per riscattare il nostro meraviglioso e tormentato Paese dal dominio dei furbi, degli approfittatori, di chi comanda sulle spalle dei più deboli, convinti che tutti abbiano un prezzo, e che sono spietati contro chi non si piega.

Borsellino e Falcone non hanno abbandonato la loro terra, ma pur conoscendone bene i meccanismi e le dinamiche hanno cercato di cambiarla da dentro, costituendo un esempio, come uomini delle istituzioni, di abnegazione al lavoro che interpretavano come un servizio reso ad uno Stato che volevano di gente perbene, da magistrati che avevano a cuore il bene della Sicilia e della nostra Italia. Onore a questi uomini che hanno cercato di scardinare un sistema radicato da decenni, in cui la maggior parte delle persone si erano rassegnate al clientelismo e all’arroganza di un potere che si poteva permettere di tutto, e che tanti accettavano perché poteva anche fare comodo.

Ma chi si piega al comodo sono persone che hanno una concezione materialistica della vita, persone per le quali conta quel che si compra e il benessere si misura sulla base di quel che ti puoi permettere. E non arrivano a concepire che non c’è bene se non è per tutti e che il vero benessere è vivere in pace con sé stessi e con gli altri, essere connessi a tutto ciò che esiste che è retto da leggi universali iscritte nella nostra coscienza, così come i valori più profondi che niente e nessuno potrà mai toglierci. Perché sono l’essenza dell’essere uomo, scintilla creativa, divina, parte di un tutto fatto dalla comunità di persone per le quali la vita non è mangiare, dormire, guadagnare, riprodursi e divertirsi, ma crescere interiormente, superare i propri limiti accettandoli e riconoscendo che è proprio nella relazione con gli altri che ci realizziamo, per cui se gli altri non stanno bene e non sono riconosciuti nella loro dignità e aiutati nel loro percorso come vorremmo esserlo noi, non andiamo da nessuna parte. Falcone e Borsellino hanno creduto in questo, hanno creduto che la società si cambia partendo da noi, dalla nostra pigrizia, dalle nostre piccolezze, dall’essere la nostra versione migliore e dal fare quel che possiamo, ognuno dalla propria postazione per il bene di tutti.

Loro, come tanti altri che sono morti per mano della mafia: magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, studenti, erano uomini così, che credevano nei valori dell’uomo, leali, che non tradivano gli amici, i familiari, le persone a cui davano la loro parola perché conoscevano il valore della parola data, che si impegnavano per la Repubblica per cui avevano giurato e che volevano costruire un mondo migliore. Uomini che non si piegavano all’interesse e che anteponevano quella visione al comodo, alle poltrone, al riconoscimento, al prestigio sociale. Erano persone autentiche, integre, che rispondevano prima di tutto alla loro coscienza e che non avevano due misure: una con il potente, perché potevano avere favori, e l’altra con le persone socialmente collocate in posizione più bassa, perché non potevano guadagnarci nulla.

Non erano opportunisti, mezzi uomini, ominicchi o quaquaraqua, ma uomini veri, di principi (ma non quelli inutili), che valutavano gli altri come esseri umani e basta, perché gli uomini veri fiutano chi hanno di fronte e sanno riconoscere le persone sincere, oneste, che credono nel bene e cercano di realizzarlo. Per questo erano tanto amati e rispettati dalle forze dell’ordine di cui sceglievano di avvalersi, dagli uomini delle scorte che in loro riconoscevano delle vere guide, perché sentivano in essi quell’autorevolezza che viene dall’anima, dalla coerenza, dalla pulizia interiore e dal servire davvero lo Stato, rappresentato non da chi governa ma dal Popolo Sovrano, come insieme di cittadini liberi che loro volevano aiutare, anche con l’esempio, a crescere in consapevolezza.

Per questo Paolo Borsellino ci teneva tantissimo ad andare nelle scuole a parlare: perché sapeva che doveva formare i ragazzi alla legalità, ma alla legalità quella vera, non a quella finta fatta solo di proclami, in cui una volta spenti i riflettori gli autori di quei proclami operavano all’opposto; voleva formare coscienze pulite e dare l’esempio. Perché l’esempio è il maestro migliore e nessuno può trasmettere quello che non è.

Dare l’esempio però costa sempre in termini di sacrificio, di tempo impiegato per perseguire quello che si ritiene giusto, costa tante rinunce ai propri spazi, magari da trascorre con la famiglia, facendo fare sacrifici anche ai propri familiari (penso all’isolamento di Paolo all’Asinara cui sono stati costretti anche i suoi ragazzi), ma questi uomini l’hanno fatto perché hanno creduto fermamente che il marciume che vedevano intorno a sé e anche sopra di loro andasse combattuto in nome delle legge ma senza mezzi termini. E per questo hanno dato la vita, in tutti i sensi. E ce l’hanno anche fatta, perché il maxiprocesso da loro costruito è stato una vittoria, salvo che poi sono stati bloccati dagli opportunisti, dai potenti che non si rivelano per quello che sono ma perlopiù si nascondono dietro maschere di belle parole e si circondano di servitori che foraggiano e che si vendono senza dignità.

Sono stati traditi da chi stava loro vicino, dagli invidiosi, dai corvi, dai loro stessi colleghi. Uomini che hanno insinuato il dubbio sulla loro lealtà (vedasi le insinuazioni che Falcone si fosse messo la bomba da solo all’Addaura, tanto per dirne una) perchè erano disturbati dal fatto che erano diventati popolari, intimoriti dalla paura di perdere i loro privilegi, e ancora una volta hanno premiato i mediocri, accantonando Falcone e Borsellino e lasciandoli soli.

Sono queste le persone che vincono nella nostra società, ma questo accade perché la maggioranza della gente glielo consente, e glielo consente perché a tanti questo sistema va bene, perché magari ognuno nel suo piccolo lo attua e ci guadagna qualcosa. Costa fatica essere integri, cercare di migliorarsi, pensare con la propria testa e uscire dalla zona di confort. Ed è anche questo, ritengo, il motivo per cui la gente non si ribella: costa fatica, si accontenta di girare nella ruota del criceto e gli ideali li lascia agli altri. Infondo vedere nei posti cruciali persone mediocri non li mette in discussione, e possono andare avanti indisturbati con il loro giro: mangiare, dormire, riprodursi e divertirsi.

Così all’apice del successo, dopo le condanne alla mafia e ai loro sostenitori anche politici, almeno a livello locale, non certo al vertice, la maggioranza dei loro colleghi al CSM hanno fatto prevalere la forma sulla sostanza, l’anzianità al merito palese, in malafede, e per fare abbassare la cresta a Falcone gli hanno impedito di guidare la Procura di Palermo, perché un uomo così avrebbe loro ricordato ogni momento quanto erano mediocri.

Sotto altro punto di vista non hanno riconosciuto loro le tutele necessarie per garantire un’effettiva protezione, prima a Falcone e poi, pur essendo la sua morte annunciata, anche a Borsellino, negandogli misure di allerta minime, come impedire alle auto di parcheggiare davanti alla casa della madre la domenica, quando sapevano benissimo che lui andava sempre a trovarla. Con la scusa dei cittadini che si lamentavano: altri quaquaraqua, che non capivano il tenore della battaglia che era in atto.

Questi grandi uomini non hanno avuto giustizia nemmeno da morti, con i processi che hanno condannato soltanto gli esecutori materiali dei loro assassinii. Come sempre avviene in Italia, dove il terzo livello viene sempre protetto.

Giorgianni a una manifestazione di qualche tempo, fa che ho ascoltato stamattina, diceva che di mafia ora si parla meno non perché sia stata sconfitta, semplicemente perché si è intruffolata nelle istituzioni ancora di più, perché i figli dei mafiosi hanno raggiunto postazioni più elevate e perché viene disturbata meno, perché ha cambiato faccia e non vive più solo di droga ma si arricchisce di altro, come già allora aveva iniziato a fare. Dove ci sono i soldi e gli affari, sicuramente ci sono anche loro, in buona sostanza. A voi le riflessioni.

Onore massimo a questi uomini che hanno fatto dell’integrità la loro bandiera e non si sono lasciati intimorire dall’arroganza del potere ma hanno lottato come dei leoni in silenzio, con umiltà, un grandissimo impegno e grande intelligenza contro un sistema affaristico e deviato, riuscendo a coinvolgere le persone che come loro credevano negli stessi ideali.

Ci sono anche oggi magistrati così? Stiamo vivendo tempi diversi, ma l’arroganza del potere non è scomparsa, anzi, sta cercando di distruggere la democrazia, la libertà, l’integrità e l’essenza dell’uomo in tutte le sue componenti, compresa la sua umanità. In molti se ne sono accorti e stanno battagliando con grande coraggio anche per coinvolgere chi sta dormendo, si è lasciato irretire dalla propaganda o è indifferente.

Sciascia diceva che gli uomini veri sono rari. Nelle istituzioni pure sono rari, perché non è il ruolo che fa l’uomo ma quello che ha deciso di essere con i suoi valori, le sue idee, i suoi pensieri e i suoi comportamenti.

Grazie Giovanni e Paolo: il mondo ha bisogno non di protagonisti appariscenti che dentro hanno il vuoto, ma di persone integre, coerenti, vere, che hanno il coraggio di perseguire quello in cui credono senza piegarsi, illuminando e ispirando con il loro esempio il cammino dei singoli e della civiltà. E voi siete immortali perché per noi sarete sempre dei fari che brillano e che ci indica la via.

Alessandra Chiavegatti

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