Caro Alessio, oggi hanno riaperto i cimiteri: pensa, per due mesi anche venirvi a trovare ci è stato impedito

di Aldo Grandi

Caro Alessio, sono quasi dieci anni che te ne sei andato, quella notte tra il 24 e il 25 agosto 2010 a San Lorenzo a Vaccoli, con l’auto che, dopo essersi schiantata contro un muro, aveva, inspiegabilmente, preso fuoco. In tutto questo tempo ho cercato più volte di capire se qualcosa o qualcuno, in quell’ora dannata, avrebbe potuto fare di più per salvarti la vita. Sforzo inutile. In tutto questo tempo, credimi, ho fatto molte cose, scritto tantissimo, prese tante querele, ricevuti altrettanti e anche di più, esposti. Ho cercato, a parte i primi tempi, davvero difficili, di andare avanti non limitandomi, soltanto, a sopravvivere, ma anche a provare a restare dove avevo sempre scelto di rimanere: in prima linea. Certo, non quella a ridosso delle trincee, non dove si rischia, realmente, la pelle, ma, comunque, cercando di non far passare mai, la mosca, per la seconda volta. Non so, sinceramente, se ci sono riuscito, ma, sicuramente, ci ho provato e so anche che, se tu ci fossi stato, non poco mi avresti, come già facevi, rimproverato. Se non altro per tutta quella perdita di tempo e di energie che, alla fine, non valgono, probabilmente, la candela.

Mi dicono, anzi, me lo ha detto tua mamma che, da oggi, hanno riaperto i cimiteri. Faccio due conti e mi accorgo che sono quasi due mesi che, con la scusa del virus, ci hanno interdetto la possibilità di farvi visita. Per carità, so già cosa mi dirai: con tutte le volte che sei venuto a trovarmi… E hai ragione. Non sono mai stato un assiduo frequentatore di camposanti e nemmeno da quando, purtroppo, ci sei tu, ho cambiato abitudine. I primi tempi venivo, soprattutto, di notte, nel cimitero di Santa Maria del Giudice, sempre aperto e cercavo, chissà come chissà perché, una ragione o una testimonianza che mi aiutassero a pensare che, al di là della esistenza terrena c’è qualcos’altro. Non l’ho mai trovata né avuta, forse, perché non credo e, quindi, non posso beneficiare di quella fede che, sola, consente di raggiungere vette elevatissime.

Da oggi, quindi, potrò tornare a visitarti, in quel silenzio immenso dove la pace regna sovrana. Mi soffermo poco, lo sai, davanti alla tua tomba. C’è chi mi dice che dovrei parlarti, raccontarti, ma, francamente, anche quando ho tentato, mi sono ritrovato a rispondermi da solo. Non c’eri, non ci sei, non ci sarai mai. Così mi accontento, ogni anno, di scriverti su queste pagine il 24 agosto o, magari, il 3 agosto, quando sei nato. Quest’anno, come vedi, ho giocato d’anticipo e se mi chiedi il motivo, ammesso che tu, dovunque sia, non lo abbia ancora saputo, è perché, da un paio di mesi a questa parte il mondo e, in particolare, l’Italia, sono stati colpiti da un virus che ha mietuto non soltanto decine di migliaia di vittime, ma, anche, ucciso e mortificato tutto quello che, di bello, di spontaneo, di naturale c’è nell’animo degli esseri umani.

Non so per quale ragione, ma, alla fine di tutto, mi trovo sempre, chissà perché, dalla parte di chi non è mai d’accordo con la maggioranza delle persone. Qui la gente ha paura del contagio Alessio, ci sono state migliaia di persone che sono morte e a ben poco serve dire che avevano tutte un’età considerevole e che, in gran parte, anche patologie pregresse. Erano esseri umani con affetti, una vita, per molti ancora un futuro sia pure molto più breve del passato. E’ un virus, però, che sembra non avere effetti sui giovani e sui bambini in particolare e, concedimelo, questo mi rallegra e mi fa pensare positivo.

Ci hanno barricato in casa Alessio, dicendoci che, se non lo avessimo fatto, i morti sarebbero stati milioni. Sono diventati di moda i virologi, gli infettivologi sì, insomma, gli scienziati, quelli che capiscono tutto per il semplice motivo che tu, al loro confronto, non capisci nulla. Ci hanno detto, all’inizio, che sarebbe durato un paio di settimane, ma io, invero, non ci ho mai creduto. Sono passati due mesi e, come vedi, siamo ancora qui e, a quanto pare, la fine è ancora di là da venire.

L’hanno chiamato lockdown, parola inglese che suona, certamente, meglio del corrispondente vocabolo italiano, confinamento, termine che rimanda a un passato nefasto che nessuno, tantomeno i nostri governanti, vogliono riesumare. Niente abbracci tantomeno baci; stop alle strette di mano e alle pacche sulle spalle; vietato sedersi vicini o camminare se non a un metro e 80 centimetri di distanza; parchi, giardini, spiagge, strade e piazze interdetti al pubblico; negozi, ristoranti, bar ermeticamente chiusi. Una strage. Un’ecatombe. Umana, in particolare.

Eppure, a mano a mano che passavano i giorni, mi sono accorto e, con me, amici e collaboratori, di quanto il Potere, quello stesso Potere che tu odiavi quanto e, forse, ancor più di me, fosse riuscito a comprimere gli animi sommergendoli di paure, di tonnellate di dati e informazioni impossibili da verificare e da digerire. Restavano tutti sul gozzo e nessuno in grado di elaborarli.

Ti tralascio le conseguenze economiche e, perciò, anche di salute conseguenti a queste restrizioni, ma ti dico che tanta gente molta della quale anche tu conoscevi, è precipitata in una situazione ai limiti della disperazione. Ma non c’è stato e non c’è soltanto questo.

Non hanno soltanto ucciso la materialità dell’essere, ma hanno scavato un solco profondo e mai più riempibile all’interno della mente umana, in quella che è la parte più delicata e importante, ossia la psiche di ciascun individuo. Non hanno, cioè, pensato, chiudendo tutto a tutti e tutti a tutto, alle persone più fragili, a coloro che, già a cose normali, faticavano a rimanere in un equilibrio instabile, ma che, comunque, sempre una sorta di equilibrio era. Ed è accaduto, così, che milioni di esseri umani abbiamo improvvisamente scoperto la loro vulnerabilità, la loro paura, il proprio terrore. Sono stati capaci, attraverso una sistematica diffusione mediatica di immagini e servizi h24 su tutti i mass media nazionali e non solo, di incutere nelle coscienze l’equivalenza tra l’aleatoria possibilità di contagiarsi e perire e ogni eventuale disobbedienza.

Essere dall’altra parte della barricata, pensare con autonomia e possedere indipendenza di giudizio: queste le colpe principali che il Ministero della Verità non consente e perseguita ovunque e dovunque. Ricordi, Alessio, quante partite a calcio abbiamo giocato con gli amici carabinieri, con la polizia, con le forze dell’ordine? Bene, adesso, li hanno ridotti a fare le multe alla gente comune che esce di casa violando le assurde e demenziali misure cautelari imposte ai cittadini.

Sarò blasfemo, Alessio, ma lasciami dire, con una punta di malcelata ironia, che l’unico posto dove non possono venire a rompere i coglioni, è proprio il cimitero, perché lì, almeno, nessuno, davvero, può, purtroppo, uscire. Nemmeno per una boccata d’aria.

Che tristezza credimi, vedere coloro che dovrebbero tutelare l’ordine pubblico e proteggere la gente comune, con tanto di mascherine costretti a fermare mamme con bambini, persone anziane, ciclisti, amanti del jogging e somministrare loro le peggio contravvenzioni nemmeno fossero dei delinquenti. E, te lo giuro, anche questo è un modo per devastare gli animi e spezzare la resistenza delle persone.

Sì, perché tu sai meglio di me che viaggiare a piedi o in auto o in bici ed essere fermati da una pattuglia è un terno al lotto. E adesso, è diventato, addirittura, un quiz nel quale non sai mai cosa rispondere né se quello che dici e fai è giusto e sbagliato. Così aumenta l’ansia, così cresce il panico, così si formano le depressioni, così si ammazzano gli esseri umani. Già, ma a differenza dei morti per Coronavirus, quelli per suicidio o chi finisce in terapia, non fanno statistica e non vengono contemplati dai bastardi senza gloria che ci guidano e che paghiamo profumatamente.

Sì, lo so, scusami, non devo arrabbiarmi. Ma tu sai come sono fatto. Anche io sono stanco e, spesso, mi domando cosa devo fare per non lasciarmi travolgere da questa devastazione e da questa opera di terrorismo psicologico a cui siamo sottoposti. Vedo intorno tanta gente che accetta passivamente ogni limitazione convinta, da Tv e intellettuali e giornalisti prezzolati o ignoranti o imbecilli, che sia un bene, ma io non riesco a pensarla così. La paura è un’emozione fondamentale, ma deve essere commisurata all’entità del pericolo mentre qui si è andati ben oltre ogni limite comprensibile e accettabile.

Accidenti, ho scritto tanto e tu, come già accadeva tanto tempo fa, ti sarai stancato di sopportare le mie elucubrazioni mentali. In fondo, stanno riuscendo a isolarci ancora di più così da gestirci più facilmente. Sapessi il mondo, Alessio, come va alla rovescia e quelli che, un tempo, stavano a sinistra, ora stanno, sistematicamente, dalla parte opposta, di quelli che hanno stipendi e carriere da difendere, mercati e organismi sovranazionali da dirigere. Sì, va bene, ho capito. Non bisogna generalizzare, ma nemmeno cercare l’ago nel pagliaio visto che ci sono certi pagliai dove la paglia non esiste più e sono rimasti solamente gli aghi.

A mano a mano che ti scrivevo, mi è un po’ passata anche la rabbia. L’odio, quello, c’è, eccome, per tutti coloro che giocano a carte con la vita e il futuro di questo disgraziato paese. Ti prometto, però, che cercherò di darmi una calmata anche se sai che questo tipo di promesse sono, per me, pressoché impossibili da mantenere. A proposito, hai presente nonna Dory? Ha compiuto 95 anni e mi chiede sempre di te. Lo sai, a lei non l’ho mai detto che non c’eri più. Le ho inventato che sei partito per un lungo viaggio e che, alla fine, ti sei sistemato in Inghilterra. A proposito, anche là hanno il Coronavirus, ma sono un altro popolo, come i tedeschi, altre razze, e se la fanno sotto molto, ma molto meno di noi. Nonna, dicevo, tiene il colpo. E’ scivolata sulle scale, ma si è rialzata e, a parte un ginocchio dolorante, è più in gamba di prima.

Noi, insomma e qui, tutti bene, non ti chiedo a te, perché so che non risponderesti e che, voglio sperare, non sarai alle prese con un virus che infetta le anime celesti.

Dicono e concludo, che ci vorrà del tempo per tornare alla normalità, ma c’è già chi, quel tempo, non potrà permettersi di vederlo o chi, come me, farà di tutto per non mancare all’appuntamento. Questione di carattere spiegano. O di geni. Boh. In ogni caso, caro Alessio, chissà cosa avresti detto o fatto tu se, oggi, fossi qui alle prese con quella che chiamano pandemia. Sarebbe stato senz’altro meglio, aggiungo e perdonami, ma, come sai, a tutto, tranne che alla morte, c’è rimedio.

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