Crisi coronavirus: unica soluzione è mettere soldi in tasca alla gente

Di Giuseppe Matranga – – Potremmo non ritornare mai più come prima.
Parliamoci chiaro: in Italia già da giorno 12 Marzo è stata imposta la chiusura di gran parte delle attività commerciali al dettaglio, e se qualcuno non se ne fosse accorto, era già da qualche giorno che a causa della pandemia , molte di esse avevano già scelto di abbassare la saracinesca, se non per paura di contrarre il virus, perché semplicemente i flussi di cassa si erano già ridotti in maniera così drastica da non giustificare la tenuta in opera dell’attività.

Il Paese si è fermato, e se ancora circa il 30% del settore industriale seppur con tante limitazioni e problemi produttivi prosegue la sua attività, fermandosi il commercio al dettaglio, che è l’unica forma di assorbimento della produzione da parte dei consumatori, contestualmente alla chiusura di gran parte dei paesi a noi limitrofi e al quale rivolgiamo la nostra offerta di export, di fatto la domanda aggregata ha subito una frenata drastica.

Siamo ancora all’inizio dell’esplosione pandemica e già il “Ref ricerche” prevede un tonfo del Pil italiano intorno all’8%, il tutto nella speranza che si possa tornare alla normalità nel giro dei prossimi 60 giorni, previsione dal canto mio piuttosto ottimistica.

Mettendo da parte l’analisi dell’emergenza sanitaria, non certo di poca importanza, e concentrandosi su un’analisi seppur superficiale – per quanto permesso all’interno di un breve articolo – dello stato dell’emergenza economica possiamo considerare le seguenti difficoltà: la chiusura delle attività commerciali determina una totale mancanza di flussi di cassa in entrate per le suddette, contemporaneamente non si determina alcuno stop per i costi di affitto, di gestione impianti e costi di gestione energia, di rate su prestiti e mutui, costi di canone dei servizi più disparati (da Sky tv, alla SIAE, alle assicurazioni, alla gestione c/c), a questi si sommano gli stipendi dei dipendenti e gli adempimenti fiscali, e fin qui abbiamo trattato esclusivamente i costi delle aziende, ma non finisce qui, molto spesso, anzi è quasi una consuetudine, molte piccole imprese utilizzano una forma di pagamento dilazionato (ai limiti della legalità) che sono gli assegni post-datati, i cui termini continuano a decorrere col passare dei giorni, nonostante il fermo totale delle attività lavorative. (più avanti torneremo sul tema).

Se non si è un imprenditore, e neppure un impiegato/operaio, se non si becca il “reddito di cittadinanza”, la Naspi (la cosiddetta indennità di disoccupazione) e non si è neppure un ricco ereditiero, probabilmente a quel punto o si è un barbone o più probabilmente si fa parte della categoria più dimenticata all’interno delle statistiche, si fa parte di coloro che “ vive alla giornata”.

Coloro che “vivono alla giornata” sono una fetta importante e cospicua della nostra società, tra di essi ci sono: giardinieri, operai (in nero), elettricisti, idraulici, collaboratori domestici, fruttivendoli e pescivendoli da strada, facchini, indoratori, perfino gli spacciatori con le dovute precauzioni del caso potremmo far ritentare dentro a questa categoria; tutta questa gente da un giorno all’altro si ritrova senza reddito e senza alcuna speranza di poter rientrare dentro a qualche categoria di pochi e privilegiati soggetti che riceveranno qualche attenzione dallo Stato.

Non finisce mica qui, ci sono ovviamente tutte le categorie dei professionisti, tra i quali: avvocati, commercialisti, consulenti, agenti di commercio e rappresentanti, anch’essi purtroppo si trovano a rientrare in quelle categorie di soggetti economici che non hanno la possibilità di produrre alcun reddito in questo momento, e quand’anche bastassero dei crediti nei confronti dei propri clienti e assistiti hanno al momento ben poche speranze di ricevere pagamenti.

Tutta la gente sopraelencata tra pochi giorni, se non già adesso, non avrà di che mangiare.
Si continua a pensare agli orari di attività dei supermercati, se tenerli aperti o chiusi la domenica, se permettere alle coppie di entrare insieme o solo un componente per volta, a che distanza debbano stare i clienti per mantenere la sicurezza ed evitare possibili contagi.
Ebbene, tra un po’ non ci saranno più lunghe code davanti ai supermercati, perché la gente non avrà più neanche un centesimo per comprare la baguette surgelata dell’Esselunga.

Come se non bastasse, la risposta dello Stato sull’emergenza è stata finora abbastanza marginale, se sul piano sanitario si sta facendo tutto il possibile (dicono), forse in ritardo, forse non sempre nel migliore dei modi, e forse ancora il problema non si è davvero presentato al massimo della sua gravità; sul piano economico i provvedimenti sono stati sicuramente pochi, inefficaci, in molti casi discriminatori e certamente nel complesso assolutamente insufficienti.
Si era parlato di stop alle bollette, di fondi alle imprese, di aiuti alle partite Iva (l’immenso esercito di lavoratori autonomi), di credito alle imprese, e invece nulla di nulla di nulla di tutto ciò.
Le bollette continuano ad arrivare, niente fondi a nessuna impresa, ci sono degli spiccioli una tantum per le partite Iva – ma solo per quelle a regime differenziato, e non basta neanche per tutte e non si sa in base a cosa verrà fatta la cernita – il credito alle imprese forse sarà allargato in qualche misura ma sarà credito ad interesse – nessuno regala nulla, figuriamoci -.

Quello che non si è ancora ben compreso è che, continuando su questo modus procedendi, è probabile che una fetta enorme di imprese, tra le 100 mila e le 145 mila possa andare in fallimento tra i mesi di marzo e agosto e dai 2,4 a 3,2 milioni di posti di lavoro persi (come scrive F. Schivare i, prof. Di economia alla Università Luiss).
Cosa sta facendo lo Stato per contrastare questo fenomeno?
Cosa stanno facendo gli altri Stati per evitare questa totale ecatombe economica?
L’unica soluzione è quella di mettere soldi in tasca alla gente, senza nulla avere a pretendere, immissione di liquidità a fondo perduto.
La si smetta con le baggianate delle politiche fiscali, stop forzati ai licenziamenti (addirittura in modo retroattivo), se si bloccano i redditi è contemporaneamente si ferma il sistema dei pagamenti crollerà tutto giù come un castello di sabbia nel giro di pochissimi mesi.

Al momento si attende, si aspetta, si temporeggia, come se il tempo portasse a soluzioni e da solo bastasse a sistemare le cose, oggi non è affatto così, ogni giorno che passa è un passo in più verso il baratro, un baratro dal quale non usciremo più.

Pensiamo ad una qualche (seppur parzialissima) consecutività di eventi che potrebbero verificarsi nel giro delle prossime settimane: è assodato che molti non avranno percepito alcun che di reddito tra un mese, a quel punto la scelta sarà con quei pochi spiccioli che avranno in tasca se scegliere di comprare da mangiare per i figli o svegliati di pagare le bollette, il canone di affitto, le rate del mutuo, le rate della macchina -senza considerare neppure far cenno al fatto che ovviamente il livello di consumo della famiglia scenderà al livello di consumo di sostentamento ovvero niente abbigliamento, niente trucchi e profumi, niente cellulari, niente viaggi -, a questo punto si verificheranno una serie di mancati pagamenti, diffusi e generalizzati che potremmo facilmente definire come crisi dei pagamenti. Le aziende di fornitura di energia, i proprietari di immobili, le banche, e tutti gli enti di credito verrebbero a trovarsi di punto in bianco a dover sommare mancati introiti per decine di miliardi, essi stessi soffrirebbero immediatamente una gravissima crisi di entrate.

Per rendere più agevole la trattazione e più comprensibile il ragionamento al lettore andiamo allora ad analizzare i due soli casi del proprietario di immobili e dell’ente creditizio della concessionaria d’auto.
Entrambi non ricevono pagamenti da una molteplicità di debitori, a questo punto cosa fare: potrebbero scegliere di operare sfratti sugli immobili e ritiro delle auto (garanzia) dagli acquirenti insolventi.
Siamo sicuri che questa mossa avrebbe l’effetto sperato? Probabilmente gli immobili messi in vendita, quelli messi all’asta a causa di pignoramenti, così come per le automobili pignorate sarebbero così tante da generare un eccesso di offerta di beni immobili e beni durevoli. Ciò provocherebbe in brevissimo tempo una mancanza di liquidità tra i consumatori che contestualmente a uno sbilanciamento tra domanda e offerta genererebbe un’immediata crisi della domanda.

Non finisce affatto qui, chi conosce minimamente i meccanismi economici a questo punto sarà già saltato sulla sedia , desumendo che la crisi della domanda provocherebbe immediatamente un abbassamento dei prezzi e quindi una situazione di grave deflazione – cosa praticamente già in atto da anni considerando che negli ultimi anni la media inflazionistica ha resettato lo zero – a questo punto con un altro sussulto potremmo immaginarsi una crisi degli investimenti, data la deflazione, ovvero la mancanza di interesse da parte di qualsiasi imprenditore ad intraprendere investimenti in una situazione di mercato ferma, inoltre l’immissione di liquidità da parte della BCE, il cosiddetto QE o bazooka (come già più volte palesatosi) non sortirebbe alcun effetto sull’economia reale perché senza volontà di investimenti a qualsiasi tasso nessuno avrebbe interesse a contrarre prestiti.

Praticamente l’intera nazione corre il rischio di entrare nella Più grande crisi economica di sempre nel giro di pochissimi mesi e senza avere nessuno degli strumenti necessari per poterne uscire; a tal proposito è necessario ricordare e sottolineare che non avendo una Banca centrale propria l’Italia – e non avendo in alcun modo notato da parte della BCE aperture di sorta all’ipotesi – non ha alcuna possibilità di monetizzare l’emissione dell’ulteriore quantità di debito pubblico necessaria a rispondere a questa crisi.

Detto ciò, e tornando all’ipotesi che l’unica soluzione plausibile, nonché l’unica soluzione approntata da molti dei paesi stranieri che stanno già trovandosi nella stessa situazione, resterebbe quella di optare per la cosiddetta helicopter money, ovvero quella di elargire ai pubblici cittadini o alle singole imprese ingenti somme di denaro a fondo perduto, in modo da non interrompere il sistema dei pagamenti e quindi da non provocare la sopra citata crisi dei pagamenti con tutte le conseguenza che abbiamo finora elencato.

Le ipotesi di intervento (tutte alquanto drastiche ma forse ineluttabili):

  • Monetizzazione del debito da parte della Banca Centrale Europea, ipotesi remota data la totale indifferenza e assoluta monumentalità della volontà finora palesata da parte della massima rappresentante Christine Lagarde e di tutto il board;
  • Uscita unilaterale ed e immediata dall’Eurozona, e conseguente monetizzazione in moneta sovrana del debito pubblico per tutta la parte di nuova emissione necessaria a interrompere la deriva dell’intero sistema;
  • Vendita del totale ammontare delle riserve auree in possesso della Banca d’Italia, che dovrebbero fruttare un valore tra 6 e 7 punti percentuali di PIL, intorno ai 100 miliardi di euro.

Restiamo tuttora in attesa come obbligati spettatori, nonché facenti parte dello spettacolo, dei provvedimenti che verranno intrapresi dal Governo, e non possiamo far altro che augurarci che qualcosa si smuova nel più breve tempo possibile e nella giusta direzione, prima che sia troppo tardi.

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