Lo Stato non paga le imprese, Corte UE condanna l’Italia

Troppi ritardi nei pagamenti alle imprese, Corte Ue condanna l’Italia. on sono bastati i passi avanti fatti registrare negli ultimi anni: l’Italia ha violato la direttiva europea del 2011 che fissava a 30 e 60 giorni i termini massimi per i pagamenti da parte della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. E adesso la Commissione Ue potrebbe comminare delle sanzioni. A stabilire la violazione è stata la Corte di giustizia dell’Unione europea, che in una sentenza ha condatto il nostro Paese per non aver rispettato la direttiva.

La valutazione della Corte si riferisce al periodo antecedente l’aprile 2017, quando i giudici vennero chiamati in causa dalla Commissione (sotto la spinta dell’allora commissario Ue all’Industria, il forzista Antonio Tajani, e di varie denunce da parte delle organizzazioni di categoria). All’epoca, le fatture accumulate e non saldate da Stato, Regioni, Province e Comuni entro i tempi previsti dalla direttiva europea, la 7 del 2011? ammontavano a 31 miliardi di euro, con picchi di ritardi oltre i 500 giorni. Il governo di allora intervenne, ma la situazione miglioro’ di poco: nel 2018, ultimi dati disponibili, le imprese lamentavano 26 miliardi di fatture non pagate oltre i limiti di legge.

A ogni modo, il procedimento giudiziario non ha tenuto conto dei miglioramenti in essere (“qualora accertati”, sottolineano i giudici) e ha condannato lo Stato italiano in quanto “non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici nel contesto di simili transazioni, rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario”.

L’Italia si era difesa sostenendo che la direttiva Ue non impone “agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza”, dei termini di 30 o 60 giorni da parte delle loro pubbliche amministrazioni, avanzando la teoria che i mancati pagamenti potevano essere compensati da sconti fiscali o altre misure. Ma per i giudici queste argomentazioni non trovano appigli nel diritto comunitario. Da qui, la condanna. Una sentenza che adesso la Commissione europea puo’ usare per proporre sanzioni a carico del nostro Paese.

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