Emilia Romagna, patate straniere e di scarto vendute come italiane

di Antonio Amorosi“La rintracciabilità diventa il vero e proprio biglietto da visita di un prodotto che continua a crescere, valorizzando il territorio e la sua storia”, ha dichiarato, con grande enfasi, qualche giorno fa l’assessore regionale all’Agricoltura della Regione Emilia Romagna Simona Caselli, ex presidente parmigiana di Legacoop Emilia Ovest, riferendosi al mercato delle patate bolognesi.

La giunta emiliana a guida del governatore Pd Stefano Bonaccini sembra tenerci molto alle patate locali che finiscono nei supermercati e nei piatti di tutta Italia. Siamo a Fico, il parco tematico dedicato al settore agroalimentare di qualità voluto da Oscar Farinetti e Coop Adriatica, dove il 6 novembre è stato organizzato un evento dedicato alla tracciabilità delle patate. “Su ogni sacchetto di Patata di Bologna Dop”, ha spiegato il presidente Davide Martelli, “è possibile trovare un QR Code e un Codice di Rintracciabilità. Inquadrando il QR Code con il proprio smartphone oppure accedendo al sito, verrà richiesto di inserire il Codice di Rintracciabilità”. Così si potrà addirittura trovare il campo dove la patata, finita nel nostro piatto, è stata coltivata. Bellissimo ma sarà vero o questa è principalmente un’operazione di marketing? L’etichetta con il QR Code e il Codice di Rintracciabilità viene appiccicato da mani umane.

Di sicuro il convegno, per le tempistiche, è di interesse visto che 7 giorni prima, il 30 ottobre, per la contraffazione delle patate sono stati rinviati a giudizio per associazione a delinquere le principali realtà della lavorazione e commercializzazione in Italia che hanno il loro cuore proprio a Bologna. Vendevano alla Grande distribuzione patate africane (dell’Egitto), francesi, cipriote e israeliane, facendole passare per italiane. Per associazione a delinquere sono finiti a processo il bolognese Giulio Romagnoli, patron della Romagnoli F.lli spa ed ex presidente della Fortitudo basket, il napoletano Antonio Covone, dell’omonima società fornitrice, Claudio Gamberini, all’epoca responsabile nazionale degli acquisti ortofrutta di Conad e Roberto Chiesa, responsabile acquisti del Gruppo Romagnoli. Più altre 10 persone e 5 società per reati diversi. Della Patata Dop, dove si parla di QR Code e Codice di Rintracciabilità, fa parte proprio l’azienda centrale nell’inchiesta sulla contraffazione, la Romagnoli F.lli spa, così come altre citate a vario titolo dalla forestale dei carabinieri che hanno imbastito l’indagine (per alcune società sono cadute le accuse).

Come funzionava secondo gli inquirenti la contraffazione nel dettaglio? I contadini vendevano le loro patate ai confezionatori che le depositavano in celle frigorifere comuni (i contadini non hanno celle frigorifere) e lì sostavano ammassate tutte insieme per essere conservate e trattate con antigermoglianti. Quindi si contaminavano tutte come si evince dalla intercettazioni. Nelle celle finivano anche le patate straniere. Le patate venivano poi tirate fuori, imbustate dai confezionatori e a seconda della richiesta dei supermercati, che possono volere una partita di patate agata, Dop o al selenio, etichettate con diciture fasulle e vendute sugli scaffali.

L’Italia non produce abbastanza patate per soddisfare il fabbisogno interno e per questo le importa ma nei supermercati molto raramente troverete patate non italiane. I tuberi stranieri, su cui in molti casi vengono anche fatti trattamenti pericolosi e illegali con antiparassitari, antigermoglianti e fitofarmaci non consentiti in Italia e in Europa, venivano etichettati come italiani, anche bio, dop, al selenio e certificati CPQ di Conad (percorso controllo qualità) e venduti ad un prezzo superiore. Ma parliamo anche di patate di scarto, con la scabbia, la tignola (il verme/farfalla che perfora le patate) o così nere da essere invendibili. Basti pensare che le patate africane hanno un valore di mercato che va dai 0,03 agli 0,06 euro a Kg. Nei supermercati finiscono poi a più di euro al kg e possono raggiungere anche cifre superiori.

“Domani dobbiamo fare un po’ di ciupa ciupa…”, dice al telefono ad un dipendente Roberto Chiesa, direttore acquisti dell’impresa leader delle patate italiane, la bolognese Romagnoli F.lli spa. Il dipendente: “Si, si…”. In un altra telefonata Chiesa: “Noi abbiamo 14 camion in arrivo di patate… ce ne fosse uno che fosse italiano, 14!”.

“Le ditte confezionatrici/venditrici, servendosi della complicità e dei controlli pilotati della Società Controllore per il marchio ‘DOP’ e ‘QC’ (Qualità Controllata)… etichettano tutto il loro prodotto come ‘italiano’, grazie al metodo della tracciabilità”, scrive la Forestale, “certificandolo col marchio ‘QC’, ossia ‘QualitàControllata’ che è un marchio della Regione Emilia Romagna che viene concesso in uso solo se il richiedente adopera metodi di coltivazione seguenti un disciplinare molto rigido”.

Con questo quadro che sicurezza possa dare il QR Code e il Codice di Rintracciabilità o l’etichetta stampati sulle buste delle patate lo lasciamo ai lettori.

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