Financial Times: gli Stati tolgono tasse alle multinazionali e tartassano i cittadini

di Antonio Amorosi – – www.affaritaliani.it

I cittadini vengono tartassati dalle tasse e le multinazionali vedono le proprie tasse calare drasticamente. Quelle tasse che non versano le pagano i cittadini degli Stati. E’ il risultato di uno studio pubblicato l’11 marzo scorso dal Financial Times, il più autorevole giornale economico-finanziario del Regno Unito da qualche anno di proprietà del gruppo giapponese Nikkei, che ha analizzato 25 anni di rendiconti delle 10 più grandi aziende del mondo per capitalizzazione. I risultati mostrano che nel periodo pre-crisi (inizio 2008) il contributo delle imprese alle finanze pubbliche degli Stati è diminuito del 9%, anche per merito di scatole societarie estere, l’utilizzo creativo della finanza e dei paradisi fiscali garantiti da vari Stati.

La tendenza a lungo termine è ancora più pronunciata, se prendiamo in considerazione l’anno 2000: le imposte alle società sono diminuite di quasi un terzo, dal 34 al 24%. Non parliamo di piccole e medie imprese, per le quali tendenzialmente crescono in modo diretto o indiretto (sicuramente in Italia) ma di multinazionali che sono riuscite a tagliarsi le tasse di un terzo del totale.

E chi paga le mancate entrate degli Stati?

Lo scopriamo incrociando i dati di Kpmg, società di revisione contabile tra le più grandi al mondo. Dal 2008 ad oggi nei Paesi Ocse, i 35 principali Paesi sviluppati aventi un’economia di mercato, il livello di tassazione sulle persone fisiche è aumentato in media del 6%. E Il gettito fiscale “mancato” dalle multinazionali è stato compensato anche dall’aumento di altre imposte, in particolare l’Iva, che nei Paesi Ocse è passata da un’aliquota media del 17,6% nel 2008 al 19,2% nel 2015.

E per l’Italia sul fronte Iva dal prossimo 1° gennaio 2019 bisognerà fare i conti con l’aumento sia dell’aliquota ordinaria che di quella agevolata, destinate ad arrivare tra il 2020 e il 2021 la prima al 25% e la seconda al 13%.

Paradossalmente la tendenza all’aumento delle tasse sui consumatori e sui lavoratori si è amplificata dopo la crisi finanziaria.

L’Italia resta uno dei Paesi in cui il reddito dei cittadini è tartassato di più, ci ha sempre spiegato l’Ocse un anno fa, perché occupiamo il 5° posto in Europa nella classifica del cuneo fiscale (la differenza tra il costo del lavoro e lo stipendio netto pagato al dipendente) con il 47,8% che è ben al di sopra della media europea ancorata al 36%.

E anche se l’analisi del Financial Times non la cita c’è da aggiungere la Tax ruling, gli accordi segreti fatti dagli Stati per far pagare ancora meno alle multinazionali e attrarle nei propri Paesi. Nel gennaio scorso è stato il magazine L’Espresso a rivelare i dati ufficiali italiani, pubblicati dalla Commissione europea e relativi al 2015: ben 68 grandi imprese multinazionali usufruivano di benefit nel nostro Paese; il doppio rispetto a tre anni prima. I beneficiari però di questi accordi restano segreti, così come i dettagli.

La stessa questione procurò nel 2014 uno scandalo nello Stato del Lussemburgo in seguito all’inchiesta giornalistica LuxLeaks. Ai tempi in cui Jean-Claude Juncker era primo ministro, molti giganti aziendali avevano goduto di regimi fiscali agevolati facendo perdere, mediante l’esercizio di una massiccia elusione fiscale, miliardi di entrate tributarie ai singoli Paesi in cui le multinazionali prevalentemente operavano. L’inchiesta giornalistica ha spinto la Commissione europea ad avviare indagini, la più clamorosa delle quali ha costretto Apple a pagare 13 miliardi di euro di tasse non versate.

Uno studio asettico quello del FT e che non entra nelle scelte dei burocrati e delle classi politiche degli Stati.

Una battaglia impari quella contro le multinazionali ma che sembra la battaglia chiave. Senza una strategia globale e di cambio di paradigma, in cui il tema diventi il principale argomento di intervento delle forze e movimenti politici che siano di destra, di sinistra, di centro o civiche, il sistema continuerà a funzionare erodendo denaro e democrazia agli Stati e ai cittadini.

Il Financial Times nel suo studio spiega come anche un colosso come gli Usa non abbiano trovato facili soluzioni al problema.

A dicembre gli Stati Uniti hanno rivisto le proprie regole fiscali, colpendo il denaro offshore delle società americane con un prelievo una tantum del 15,5 per cento e riducendo l’aliquota dell’imposta sulle società dal 35 al 21%. Il prelievo una tantum potrebbe portare a Washington circa 400 miliardi di dollari di entrate fiscali, ma salverà anche le aziende fino a $ 500 miliardi rispetto all’aliquota fiscale dell’imposta sulle società applicata quando i profitti sono stati guadagnati, dicono le stime dell’FT. Ma l’operazione è solo un tampone.

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