Inchiesta su Palamara porta ai renziani del Giglio Magico

Francesco Grignetti per la Stampa – via Dagospia – Porta al Giglio magico, alla fine, l’ inchiesta di Perugia sul caso Palamara. Erano tutti renziani: Cosimo Ferri, Luca Palamara, ovviamente Luca Lotti. E porta alle grandi manovre non solo dentro la magistratura, ma anche nelle società di Stato. L’ inchiesta di Perugia s’ è così incrociata con una di Milano su un complotto al vertice dell’ Eni. Luca Lotti è interrogato nel luglio 2019 a Milano, dai pm Laura Pedio e Paola Storari, sui suoi rapporti con Piero Amara, il faccendiere siciliano che a sua volta è dietro il lobbista Fabrizio Centofanti e indirettamente dietro Luca Palamara.

Ammette di avere conosciuto Amara nel dicembre 2015 su sollecitazione di Andrea Bacci, un imprenditore fiorentino, altro amicone di Renzi. «Ho incontrato Amara almeno un paio di volte nel 2016 in occasioni private: una volta insieme con Bacci ci siano visti in un bar all’ intero della galleria Colonna a Roma; l’ altro incontro è avvenuto a Firenze o nel mio ufficio a palazzo Chigi. Il tema di cui abbiamo parlato è stato l’ Eni». E lui? «Ho sempre dato risposte interlocutorie».

C’ era un problema di cui Amara si interessava moltissimo: la guerra tra Claudio Granata, potente responsabile per gli Affari istituzionali, e Antonio Vella, il numero due, amico di Claudio Descalzi. Nel computer di Amara c’ era un promemoria, palesemente scritto per Bacci, cui si chiede di intercedere presso «il Capo» a difesa di Vella. E Lotti: «Non ho ricordi».

Lotti e l’ Eni – Anche Luca Palamara e Cosimo Ferri coinvolgono Lotti per una vicenda collegata all’ Eni. Era un tema che stava loro a cuore: come rovinare la reputazione di Paolo Ielo, il procuratore aggiunto di Roma. La storia s’ intreccia con la famosa cena romana del 21 maggio 2019, quando Palamara, Ferri e Lotti tentarono di far quadrare i conti con le nomine in magistratura, a partire da Roma. I magistrati milanesi fanno sentire a Lotti l’ intercettazione, e l’ uomo politico non può non agitarsi sulla sedia.

«Ricostruisco come segue la vicenda Qualche giorno prima, precisamente il 9 maggio, presso l’ hotel Champagne di Roma, ho avuto un incontro con Palamara e Ferri dopo la mezzanotte. Nel corso di quell’ incontro tra le altre cose Palamara ha riferito sommariamente il contenuto di un esposto presentato da Stefano Fava (un pm amico di Palamara, ndr) nei confronti del dottor Ielo e del dottor Pignatone».

Già è anomalo che un esposto presentato da un magistrato sia portato a conoscenza di un uomo politico, oltretutto con il dente avvelenato con Ielo e Pignatone perché sotto scacco nell’ inchiesta Consip. Grave è che gli sia offerta la possibilità di vendicarsi. «In quell’ occasione Palamara ha aggiunto che gli risultava che Domenico Ielo avesse avuto degli incarichi dall’ Eni e mi ha chiesto se potevo verificarlo. Ho detto che avrei potuto farlo chiedendo a Granata».

Lotti andò avanti nel suo lavoro di intelligence. «Pochi giorni dopo ho incontrato Granata presso l’ hotel Montemartini. Tra gli altri argomenti, chiesi se gli risultasse che Domenico Ielo aveva avuto una consulenza».

Di più, Lotti non vorrebbe dire. Sostiene che le sue richieste sarebbero cadute nel nulla. Ma c’ è un ma. Nel corso del 21 maggio, in occasione di un secondo rendez-vous dei congiurati, dove confluirono anche cinque membri del Csm, ormai tutti fuori per dimissioni, si sente la sua voce raccontare di avere ricevuto documentazione da Descalzi, e che Domenico Ielo avrebbe ricevuto ben 228 mila euro dall’ Eni. Vero? Falso? Lotti se la cava così: «Non avevo ricevuto documenti che certifichino un incarico dato a Domenico Ielo e per quell’ importo. Mi chiedete se io abbia quindi millantato con i miei interlocutori e dico che effettivamente è andata così».

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