Se tutte le vite sono uguali non lo sono tutte le morti

Se tutte le vite sono uguali non lo sono tutte le morti. O meglio, tutti i modi di morire e le riflessioni che ad esso si accomoganano. Se 16 anni sono pochi per perdere la vita e un’età in cui alla morte nemmeno pensi, 23 anni non sono diversi per pensare di doverla difendere la vita. La tua vita e quella di chi ti sta accanto. In quel momento, fossi anche un Carabiniere, non ragioni, vai d’istinto e, mantenendo il sangue freddo, impugni la tua pistola (d’ordinanza) e metti in pratica ciò che al corso ti hanno insegnato, le regole base: tre colpi. Come da manuale.

Mentre hai la pistola alla tempia, di sera, al buio, di sorpresa e tenti di uscirne vivo, meglio se indenne, con una forza di difesa che è sempre minore rispetto a quella di chi offende, non riesci a distinguere una pistola giocattolo da una vera. Anche perché le riproduzioni sono pressoché identiche. Per colore e per peso, armano e scarrellano, finanche il cane riproduce gli stessi movimenti. Mentre hai la pistola alla tempia e due delinquenti difronte sei responsabile della tua vita e di chi sta con te e non sai nemmeno se la rapina terminerà con l’oggetto portato via. Pistola contro pistola, non ha vinto nessuno. Il Carabiniere è salvo, ma non è detto che non sia morto dentro. Psicologicamente. Professionalmente. È già indagato, come da manuale, per eccesso di legittima difesa.

Il 16enne è rimasto a terra, anch’egli vittima del suo essere o forse del suo assomigliare ai modelli descritti, rappresentati ed emulati, ma che non sempre corrispondono alla realtà. Della sua educazione, della sua famiglia, del suo abbandono. Descritto, purtroppo postumo, come un bravo ragazzo, un lavoratore che aiuta la famiglia in una età in cui i fatti hanno dimostrato che, forse, non avrebbe dovuto aiutare, ma essere aiutato. Essere uno studente prima che un lavoratore.

Uscire un sabato sera qualunque con una riproduzione addosso per imparare a fare l’ 《omm’》non significa essere bravi ragazzi e lavoratori. Magari a spese di chi a posto lo era per davvero. E oggi si ritrova, per un assurdo gioco del destino, ad essere colpevole per aver deciso di stare dalla parte giusta. Sulle cui spalle si chiede giustizia e non si ricorda che è stato lui il primo a prestare soccorso alla sua vittima, di cui è rimasto vittima a sua volta. Perché lui, il carabiniere, a 23 anni aveva già scelto da che parte stare ed aveva la mira buona, era preparato ad offendere per difendere e che forse solo uno sfortunato scherzo del tempo ha permesso che si incontrasse un delinquente inesperto, ancora in erba o non ancora del tutto formato. Forse. Perché fa strano raccontare a parti inverse questa rapina finita male. Forse solo per una sorta di giustizia temporale. Fosse successo dopo, saremmo a raccontare un altro Carlo Giuliani, un altro maresciallo Di Gennaro, un altro Mario Cerciello Rega, un altro Filippo Raciti.

Non sono i binari abbandonati della stazione, ma la “parte buona” di quella Napoli che inizia al Vasto, diventato terra di nessuno, continua al Borgo Sant’Antonio dove il Questore ritira i suoi uomini inviati poco prima per il controllo dei tradizionali falò e aggrediti con ogni oggetto da ragazzini tra l’indifferenza complice e partecipata degli adulti. È la Napoli che risponde a questa rapina finita in omicidio incassando la stesa contro la caserma Pastrengo. Quella Napoli dove il Carabiniere è stato iscritto nel registro degli indagati per eccesso di legittima difesa e ai familiari del rapinatore, perché – purtroppo – tale è, che hanno sfasciato il Pronto Soccorso del Vecchio Pellegrini, che tentava di salvarlo, tanto da doverlo chiudere, nessuno ha chiesto nemmeno conto circa l’interruzione di pubblico servizio. È la Napoli partita da Scampia e Secondigliano, trasformatasi in Parco Verde a Caivano, annoverata per il rione Traiano e “preservata” affinché resti così com’è, perché nulla cambi. Ma che si pensa possa rinascere abbattendo le Vele perché sono simbolo di degrado. È la Napoli che dà voce al dolore di un padre che dovrebbe essere silenzioso se non muto. Lo stesso silenzio se non mutismo calato sul valoroso Carabiniere che ha difeso la propria vita e quella di chi era con lui da chi commetteva un’ingiustizia. Lo stesso silenzio e lo stesso mutismo sul personale del Vecchio Pellegrini. Ieri come domani. Lo stesso silenzio e lo stesso mutismo nel parlare di eroe e di vittima, del bene e del male.

Tony Fabrizio

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