Corte di Giustizia UE limita la libertà di espressione

  • “Questa sentenza ha importanti implicazioni per la libertà di espressione online a livello mondiale. (…) La sentenza implica altresì che un tribunale di un Paese membro dell’Unione Europea sarà in grado di disporre la rimozione dei post pubblicati sui social media in altri Paesi, anche se lì non vengono considerati illegali. Ciò costituirebbe un precedente pericoloso in cui i tribunali di un Paese possono controllare ciò che gli utenti di Internet possono vedere in un altro Paese. Questo potrebbe essere soggetto ad abusi, in particolar modo da parte di regimi con una storia inconsistente in materia di diritti umani.” – Thomas Hughes, direttore esecutivo di ARTICLE 19, un’organizzazione no-profit che si occupa di “tutelare il diritto alla libertà di espressione nel mondo”, 3 ottobre 2019.
  • La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (…) sembra conferire agli Stati membri dell’UE il potere senza precedenti di definire le linee guida in materia di dibattito pubblico online – stabilire ciò che i cittadini possono o meno leggere. (…) Le prospettive ora sembrano ancora più tristi per il futuro della libertà di espressione in Europa.

Il 3 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha stabilito in una sentenza che i tribunali nazionali degli Stati membri possono ordinare a Facebook di rimuovere il materiale diffamatorio in tutto il mondo:

“Il diritto dell’Unione non osta a che a un prestatore di servizi di hosting, come Facebook, venga ingiunto di rimuovere commenti identici e, a certe condizioni, equivalenti a un commento precedentemente dichiarato illecito. Inoltre, il diritto dell’Unione non osta neppure a che tale ingiunzione produca effetti a livello mondiale, nell’ambito del diritto internazionale pertinente di cui spetta agli Stati membri tener conto”.

La sentenza è arrivata dopo che la deputata austriaca Eva Glawischnig-Piesczek, presidente del gruppo parlamentare “die Grünen” (i Verdi) e portavoce federale di tale partito politico, ha citato Facebook Ireland dinanzi ai giudici austriaci. Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea:

“Essa [la signora Glawischnig-Piesczek] chiede che venga ordinato a Facebook di cancellare un commento pubblicato, da un utente su tale social network, lesivo del suo onore nonché affermazioni identiche e/o dal contenuto equivalente.

“L’utente di Facebook di cui trattasi aveva condiviso, sulla sua pagina personale, un articolo della rivista di informazione austriaca online oe24.at intitolato ‘I Verdi: a favore del mantenimento di un reddito minimo per i rifugiati’. Ciò ha avuto come effetto di generare su tale pagina un ‘riquadro anteprima’ del sito d’origine, contenente il titolo del suddetto articolo, un breve riassunto di quest’ultimo, nonché una fotografia della sig.ra Glawischnig Piesczek. Lo stesso utente ha anche pubblicato, in merito al suddetto articolo, un commento redatto in termini che i giudici austriaci hanno dichiarato lesivi dell’onore della sig.ra Glawischnig Piesczek e tali da ingiuriarla e diffamarla. Il commento di cui trattasi poteva essere consultato da ogni utente di Facebook”.

La sentenza ha destato preoccupazione tra le organizzazioni che si battono per la libertà di espressione. Thomas Hughes, direttore esecutivo di ARTICLE 19, un’organizzazione no-profit che si occupa di “tutelare il diritto alla libertà di espressione nel mondo”, ha dichiarato:

“Questa sentenza ha importanti implicazioni per la libertà di espressione online a livello mondiale.

“Costringere le piattaforme di social media come Facebook a rimuovere automaticamente i messaggi indipendentemente dal loro contesto violerà il nostro diritto alla libertà di espressione e limiterà l’informazione che vediamo online… .

“La sentenza implica altresì che un tribunale di un Paese membro dell’Unione Europea sarà in grado di disporre la rimozione dei post pubblicati sui social media in altri Paesi, anche se lì non vengono considerati illegali. Ciò costituirebbe un precedente pericoloso in cui i tribunali di un Paese possono controllare ciò che gli utenti di Internet possono vedere in un altro Paese. Questo potrebbe essere soggetto ad abusi, in particolar modo da parte di regimi con una storia inconsistente in materia di diritti umani.”

Secondo ARTICLE 19:

“La sentenza indica che Facebook dovrebbe utilizzare filtri automatizzati per identificare i post sui social media che sono considerati avere ‘contenuto identico’ o ‘contenuto equivalente’ a un contenuto già giudicato illecito. La tecnologia viene utilizzata per identificare ed eliminare contenuti che sono considerati illeciti nella maggior parte dei Paesi, ad esempio, immagini di abusi su minori. Tuttavia, questa sentenza potrebbe prendere in considerazione i filtri utilizzati per cercare i messaggi di testo dai contenuti diffamatori, il che è più problematico dato che il significato del testo potrebbe cambiare a seconda del contesto. Sebbene la sentenza abbia affermato che va rimosso soltanto il contenuto identico a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita, è probabile che i filtri automatizzati commettano errori”.

La sentenza “mina il consolidato principio secondo cui un Paese non ha il diritto di imporre le proprie leggi a un altro Paese”, ha commentato Facebook in una nota.

“Apre anche la porta all’imposizione alle società di Internet di obblighi di monitoraggio proattivo dei contenuti e quindi di interpretazione se siano equivalenti a contenuti ritenuti illegali”.

La sentenza “consente sostanzialmente a un Paese o ad una regione di decidere cosa gli utenti di Internet ovunque nel mondo possono dire e a quali informazioni possono accedere”, ha affermato Victoria de Posson, senior manager per l’Europa della Computer & Communications Industry Association, un gruppo industriale che annovera Google e Facebook come membri.

Sembra davvero che la sentenza stia aprendo un vaso di Pandora per lo spazio sempre più ristretto per la libertà di espressione in Europa e potenzialmente a livello mondiale, sebbene non sia ancora chiaro come la sentenza possa influenzare la libertà di parola in tutto il mondo.

I tentativi dei governi di censurare in Europa la libertà di espressione sono in corso da tempo. In Germania, la controversa legge sulla censura, nota come NetzDG, ed entrata in vigore l’1 ottobre 2017, impone alle piattaforme dei social media, come Facebook, Twitter e YouTube di censurare i loro utenti per conto dello Stato tedesco. I social media sono obbligati a rimuovere o a bloccare qualsiasi “reato penale” commesso in rete come i commenti offensivi e diffamanti o i contenuti che incitano all’odio, entro 24 ore dalla segnalazione di un utente. Il termine concesso ai social per la rimozione è esteso fino a 7 giorni per i casi più complicati. Se non provvederanno a farlo, il governo tedesco può elevare multe fino a 50 milioni di euro, per mancata osservanza della norma.

La nuova sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, presumibilmente, potrebbe implicare che un tribunale tedesco ordini che ciò che si ritiene essere un contenuto illegale, o suo equivalente, ai sensi della NetzDG venga rimosso in altri Paesi membri dell’UE che non hanno una legge sulla censura altrettanto draconiana.

La Francia sta cercando di approvare una legge simile a quella esistente in Germania. All’inizio di luglio, l’Assemblea nazionale francese ha approvato un disegno di legge per contrastare l’odio online. La disposizione prevede che le piattaforme dei social media hanno 24 ore di tempo per rimuovere “i contenuti di incitamento all’odio” o rischiano multe fino al 4 per cento delle loro entrate globali. Il disegno di legge è andato al Senato francese. Ancora una volta, se il disegno di legge diventerà legge, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea potrebbe significare che i tribunali francesi sarebbero in grado di chiedere a Facebook di rimuovere ciò che le Corti considerano essere un contenuto illegale o suo equivalente, ai sensi della legge francese.

In altre parole, la sentenza della CGUE sembra conferire agli Stati membri dell’UE il potere senza precedenti di definire le linee guida in materia di dibattito pubblico online – stabilire ciò che i cittadini possono o meno leggere. Resta naturalmente da capire esattamente come la sentenza sarà interpretata di fatto dai tribunali nazionali dei Paesi membri dell’Unione Europea, ma le prospettive ora sembrano ancora più tristi per il futuro della libertà di espressione in Europa.

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.

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