Caso Yara: resosconti stenografici dei verbali secretati fino al 2020

I verbali del processo su Yara Gambirasio? Secretati fino al terzo grado, fino processo di Cassazione. Chi volesse controllare una affermazione, una cifra, un dato, in uno dei processi più complessi e scientificamente impegnativi (ed anche importanti, per i suoi effetti) può stare tranquillo: fino al 2020, circa, non si potranno consultare i resoconti stenografici delle udienze.

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Non solo: gli unici abilitati a poter riferire qualcosa di quello che è accaduto durante il dibattimento saranno soltanto i giornalisti o i pochissimi, visto che la capienza dell’aula del Tribunale di Bergamo è fissata a soli sessanta posti(!), spettatori del pubblico. Gli increduli si tranquillizzano: non si tratta di una bizzarria anacronistica di un qualche vituperato tribunale pontificio, e nemmeno della ricostruzione storica dei dettagli più paradossali di un qualche processo sovietico degli anni trenta.

Ma è – purtroppo – una disposizione vergata di propria mano da Antonella Bertoja, la presidente della Corte che in questi giorni sta giudicando Massimo Bossetti nel processo di primo grado. Non ci credete? Leggere, per verificare, la risposta autografa che la stessa Bertoja ha vergato a penna in calce alla richiesta inoltrata ai suoi uffici da uno dei giornalisti che ha seguito il caso, in tutto l’arco dei cinque anni, con più rigore ed assiduità, Giorgio Sturlese Tosi, inviato di “Quarto Grado”.

E dire che il quesito era semplice: “La presente lettera – scriveva Tosi per argomentare la propria richiesta – per chiedere copia dei verbali delle udienze del processo relativamente alle udienze o alle parti di udienze dove non si ravvisino – ad insindacabile giudizio del presidente – elementi lesivi della dignità della vittima e dei suoi familiari”.

Ed ecco l’incredibile risposta della presidente: “Visto, si rigetta la richiesta, la pubblicità dell’udienza e il diritto di cronaca – scrive la Bertoja – sono garantiti dalla presenza dei giornalisti in aula, mentre è compito della Corte impedire un possibile uso improprio dei verbali di udienza. Bg 10/12/2015 A. Bertoya”.

Riferisce ancora Sturlese Tosi: “A voce, mi si aggiunge, che il divieto vale fino a sentenza definitiva”. Lo stesso cronista aveva chiesto un parere sul tema, prima di porre il quesito, al pubblico ministero Letizia Ruggeri, sentendosi rispondere: “Sono assolutamente contraria”.

Eppure erano favorevoli alla richiesta anche gli avvocati della parte civile che rappresentano la famiglia Gambirasio. Ironico e amarissimo, ovviamente, il racconto affidato da Tosi ad una lettera aperta indirizzata al gruppo cronisti lombardo: “Sul rispetto dell’ordinanza vigilano numerosi carabinieri e guardie private e due accessi con metal detector. Pubblico e giornalisti vengono, talvolta, perquisiti e invitati a togliersi persino le scarpe. Per graziosa concessione del presidente – chiosa Tosi – possono, però, come usava due secoli fa, entrare i pittori che vogliano riprodurre in vignette le fasi del dibattimento”.

Eppure queste algide risposte al quesito meritano qualche parola di ulteriore spiegazione sulla gravità della scelta, rispetto a quello che è intuitivamente evidente. In primo luogo per dire che era già paradossale l’oscuramento televisivo del processo, con la scusa di tutelare la vittima. Ma se questo poteva essere comprensibile per alcune udienze (ad esempio quelle che discutono l’autopsia) come giustificare il divieto se si discute di Dna, di furgoni o di telefonia?

Il problema è che i divieti non sono finiti qui e hanno fatto tornare Bergamo alle modalità giudiziarie dei primi dell’Ottocento: nessun telefonino può entrare in aula, e persino i registratori sono banditi. Perché? Mistero. Scrive giustamente Sturlese, cesellando con esattezza e ironia una citazione illuminante: “Decisiva, appare, per esempio, l’interpretazione di quanti e quali e con quali strumenti sono stati analizzati i ‘primes delle componenti alleliche mitocondriali risultate dall’amplificazione dei profili autosomici estratti dalla traccia 31G20’. Sembra assurdo – aggiunge il cronista – ma anche su questo si gioca la giustizia per Yara e la sorte dell’imputato Bossetti. E la decisione sarà un precedente giurisprudenziale straordinario per il futuro”.

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Ecco perché, dopo ore e ore passate in Aula, e avendo riempito diversi quaderni, l’inviato di Quarto Grado (che su questo processo è una sorta di Accademia Criminologica) fa una richiesta assolutamente normale: poter verificare i passaggi, i lemmi, i dati più complessi. La risposta è un sorprendente “Niet”. Potrei aggiungere anche io decine di esempi, ma mi faccio invece una domanda: perché questa strategia di oscuramento? Di cosa hanno paura l’accusa e, a questo punto anche la Corte? Quale mai sarebbe “l’uso improprio dei verbali di udienza”? La loro diffusione? La possibile conoscenza anche per chi non ha i soldi o il tempo di andare ogni settimana fino a Bergamo?

L’idea che qualcosa che può essere pubblicato su un quotidiano possa restare secretato per cinque anni sembra davvero paradossale. Sturlese (e tutti noi giornalisti) vorremo non doverci fidare solo dei nostri taccuini. Ma evidentemente qualcuno a Bergamo vorrebbe di più, e forse questo diniego rivela la volontà che quei taccuini, quando non intonati, restino chiusi.

Luca Telese per Liberoquotidiano.it

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One thought on “Caso Yara: resosconti stenografici dei verbali secretati fino al 2020

  1. La presidente Bertoja avrebbe dovuto essere ricusata dagli avvocati di Bossetti fin dalle prime avvisaglie, anche se temo che l’istanza di ricusazione sarebbe stata respinta, dato l’incredibile accanimento della Cassazione (che decide sulle ricusazioni) ed il fatto che egli è solo un muratore, non certo un miliardario con peso politico (sì, sostengo l’ovvia considerazione che la legge NON è uguale per tutti).
    Andiamo con ordine. La Cassazione a più riprese, come il tribunale del riesame, non ha mai concesso i domiciliari, motivando la decisione col pericolo di fuga (non fa ridere? Non è scappato per tanti anni e non aveva certo la possibilità di rifugi dorati in Montenegro) e con la possibile reiterazione del reato (questa farebbe ridere ancor di più: se fosse lui il colpevole, con gli occhi di tutti addosso dovrebbe ora andare a caccia di ragazzine?). E’ evidente che la Cassazione da un pò di tempo agisce in maniera illogica ed incontrolata. Si veda il caso Poggi-Stasi, e citerei innumerevoli sentenze civili in cui si sovverte ogni logica. Sembra di assistere ad una deriva dispotica e capricciosa, ed il bello è che, come in ogni regime che si rispetti, non si può criticare.
    Andiamo avanti. Dopo averci imposto nel palinsesto televisivo ogni dettaglio pruriginoso e morboso di questa vicenda (almeno secondo le ricostruzioni, a mio avviso fantasiose, degli inquirenti), amplificate da una gamma immensa di sciacalli (dalle parrucchiere che fanno pubblicità alla loro attività, alle ex fidanzate intervistate per soldi, alle attricette e soubrettine ignoranti che nei salotti televisivi pontificano), che spesso interpretavano, aggiungevano, mistificavano, inventavano… Dopo averci convinti che come in ogni film americano il colpevole era stato trovato con l’aiuto della scienza, ci impediscono di assistere ad un atto pubblico (il processo è un atto pubblico), secondo me per impedirci di farci un’idea corretta, cosa che si valuta anche dall’esposizione dei fatti e delle prove (o presunte tali) e dalle espressioni (e silenzi, ed imbarazzi, e “non so, non ricordo”) di inquirenti e testimoni. Qui hanno fatto male gli avvocati di Bossetti a cedere, per un presunto, quanto ipocrita, ed ipocritamente richiesto, rispetto della povera vittima (che sarà veramente rispettata se e quando si troverà un colpevole senza questi metodi investigativi quanto meno criticabili: chi ha dimenticato le critiche feroci agli inquirenti quando erano ridicolizzati per questa ricerca a tappeto che scavò negli alberi genalogici, confrontò salive su francobolli e coinvolse persone financo in Calabria?). Ma la presidente Bertoja ha fatto peggio. Durante l’esame dei consulenti, ha consentito che la pm apostrofasse con arroganza il perito della difesa per la parte informatica (laureato in informatica e telecomunicazioni) con “lei sarebbe il perito della difesa?” e ancora “che titolo accademico ha?” e ancora “quelle linee sono tracciate a capocchia” (si parlava delle zone di aggancio delle celle telefoniche, ambito di specializzazione del consulente, laureato, della difesa). Ma il tecnico dei carabinieri che aveva eseguito l’accertamento non era neppure laureato, solo un “tecnico con grande esperienza sul campo”. Teniamolo a mente quando andiamo a toglierci un dente, fidiamoci dell’odontotecnico esperto, altro che dentista! E che dire dell’esame della D.ssa Ranalletta? Accusata dalla pm (che se il processo andasse a marengo dovrebbe risarcire i due milioni di euro di spese d’indagine) di aver sbagliato una perizia, almeno secondo il parere dell’antimafia. I giudici popolari, che purtroppo ratificano acriticamente ogni decisione della presidente, si sono sorbiti tutti gli insulti e le accuse acide della pm alla Ranalletta, ma appena la difesa ha reclamato, ricordando che la D.ssa Cattaneo (consulente dell’accusa) è firmataria della perizia con cui si diceva che in fondo Stefano Cucchi non era morto per percosse, ma per malnutrizione, rapido intervento della Bertoja: non ci interessa. Insomma l’arbitro non fischia quando in quattro tengono fermo il puglie e gli spaccano lo stomaco, si sveglia solo quando il puglie reagisce ai rivali scorretti. E sui reperti? Non si possono rianalizzare, la parola dei ris (provate a ricordare la loro percentuale di successo, pari a quella dei cani molecolari) è sacra. Insomma non ripetibile, sarebbe una perdita di tempo. Andatelo a dire alla moglie e soprattutto ai figli di un imputato che rischia l’ergastolo e naturalmente la rovina familiare. Poi la presidenta ha ceduto, ma bizantinamente: possono avere i dati grezzi (in sostanza gli appunti, i codici, i file di confronto dei sequenze del dna, che però potrebbe essere stato preso male all’inizio di tutto), ma, aspettate a ridere, “senza mettere in dubbio le conclusioni”. Roba da matti davvero: un accertamento lo si fa con mente aperta, le conclusioni precedenti potrebbero essere confermate o sovvertite. Adesso l’ultimo atto: verbali secretati fino a quando l’imputato non sarà dietro le sbarre per sempre, con la scusa dell’evitare il processo spettacolo. Da questo lungo commento si capisce che non sono affatto convinto della colpevolezza di questo imputato incensurato, padre esemplare e mai problematico per la società e voglio dire una cosa ai pappagalli de “la scienza non sbaglia”. Per capire quanto sbagliano certi presunti scienziati, pensate che nè i carabinieri, nè l’anatonomo-patologa che arrivò sul posto a favor di telecamere con una scena ormai attorniata da folla e giornalisti, hanno fatto il più antico e classico degli accertamenti: il prelievo del terreno sotto il cadavere e le analisi volte ad appurare la presenza di sangue della vittima (o almeno di sangue) nel terreno, indice che lì si era consumato l’omicidio e non altrove. Una cosa fondamentale, che si faceva nelle indagini classiche, senza tante provette, probabilità, violazioni dei diritti umani della popolazione e che, udite udite, trovava il colpevole più spesso che con questi metodi e con prove più certe, comprensibili e, soprattutto, inoppugnabili. E con meno spettacolo.

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