Insidie nascoste nel Recovery fund. E i primi fondi arriveranno nel 2022

di Antonio Amorosi – – Per numero di morti il Covid è stato peggio di un terremoto e non abbiamo ancora visto tutti gli effetti sull’economia. Se migliaia di persone muoiono o restano senza casa per un terremoto lo Stato non fa una trattativa tra i suoi maggiorenti per decidere se far arrivare aiuti o ricostruire. L’Unione Europea sì, a dimostrazione che gli Stati dell’Unione sono entità separate che perseguono interessi contrapposti (non siamo come gli Usa). Così appare sempre più evidente che non è stato e non è nel nostro miglior interesse privarsi di Banca d’Italia, degli altri mezzi connessi alla creazione della carta-moneta (anche quelli che ancora si hanno e non si usano) e delegare poteri strategici ad entità sovranazionali come l’Unione Europea.

Dopo 4 giorni di trattative, dopo mesi di scontri, c’è già chi parla impropriamente di “Piano Marshall” riferendosi al piano del Recovery Fund che l’Ue destinerà alla ripresa Paesi colpiti dal Covid; un piano da 750 miliardi di euro, 390 a fondo perduto e 360 come prestiti. I 12,7 miliardi di dollari che gli Stati Uniti usarono per inondare l’Europa nel Secondo dopoguerra (dal 1947 al 1951) oggi, aggiornando il potere d’acquisto, varrebbero 937 miliardi di euro e quel denaro era tutto a fondo perduto.

Con il nuovo Recovery Fund ora comanda in Europa e determinerà il futuro di milioni di cittadini chi starà nella stanza dei bottoni a decidere quali settori saranno oggetto di nuove tassazioni e quali meccanismi di approvazione dei piani saranno considerati validi. E saranno dolori per chi ha problemi immediati di liquidità. Il quadro lo si evince soprattutto dai giornali tedeschi e olandesi che incoronano Angela Merkel come artefice della mediazione. Non va poi dimenticato che il bilancio europeo va ripianato dai componenti nazionali.

Ogni Paese dovrà presentare un piano per ricevere le risorse. Il fine del piano è sostenere l’occupazione esistente e generarne di nuova. All’Italia spettano 209 miliardi, un successo per il premier Giuseppe Conte, per la cifra superiore rispetto ai 172,7 iniziali, anche se a salire è solo la quota di prestiti (da 91 a 127 miliardi). A fondo perduto arriverebbero 92 miliardi, cifra questa sì da “Piano Marshall”. Vedremo però se saremo in grado di utilizzarli davvero. I fondi arriveranno per il 60% tra il 2021 e il 2022, il resto negli anni successivi. Ma restano molte incognite di fondo.

E’ certo che crollino i piani innovativi come Just Transition Fund, destinati alla transizione verso un’economia green, che passa da 30 miliardi a 10 miliardi, il programma Horizon Europe su ricerca e sviluppo che da 10 miliardi si riduce a 5, una contrazione forte avrà anche il Just Transition Fund (Fondo agricolo per lo sviluppo rurale), sparisce il Solvency Support Instrument da 26 miliardi di euro, per salvare le imprese strategiche in difficoltà a causa della pandemia e salta anche il programma europeo per la sanità Eu4Healt, quindi chi vorrà avere aiuti sanitari suppletivi dovrà ricorrere al Mes, il fondo salva Stati, con trattato connesso.

Cosa ci guadagnano Danimarca, Olanda, Austria e Svezia che più di altri Stati si erano opposti agli aiuti a fondo perduto? E qui è il dunque: uno sconto di parecchi milioni sulla contribuzione al bilancio europeo. Questi Paesi contribuiranno meno al bilancio comune. La vera partita si gioca qui e sul cosiddetto “super freno di emergenza”.

Come dicevamo ogni Stato dovrà presentare un piano di utilizzo delle risorse. I piani presentati dovranno essere approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata e, dal punto di visto economico finanziario, da un comitato di tecnici dei ministreri finanziari che valuterà lo sviluppo delle erogazioni e l’attinenza del piano. Un singolo Paese potrà chiedere di portare critiche sull’utilizzo dei fondi sul tavolo del Consiglio Europeo. E gli Stati membri a maggioranza qualificata potranno disattivare il prelievo di denaro di un Paese se questi viola determinati i principi, quelli che nelle prossime giornate andranno a definirsi.

Per adesso i soldi non ci sono. L’Ue dovrà emettere dei titoli e dopo l’acquisto di questi sui mercati ricevere le risorse utili. La partita si sposta su come la Ue pensa di restituire questi 750 miliardi di obbligazioni che ha emesso sul mercato e con i quali mezzi. Infatti a questo punto la capacità di alcuni Paesi di contribuire in modo meno significativo conterà. L’Ue chiederà maggiori contributi agli Stati membri e creerà, tramite vincoli e tassazioni indirette, vedi come è stato per i piani di aggiornamento della plastic tax in Italia, nuovi meccanismi di tassazione di alcuni settori portanti, come trasporti, energia, digitale, agricoltura. Chi starà nella stanza dei bottoni deciderà come questi settori si svilupperanno e quali economie nazionali privilegiare. E i Paesi che hanno ricevuto più aiuti contribuiranno di più.

La capacità di far moltiplicare quel denaro che riceveremo o avremo in prestito è la nostra scommessa sul futuro, visto che non abbiamo più come un tempo leve economiche interne come Banca d’Italia e poteri sovrani che abbiamo delegato a poteri sovranazionali.

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