Gambia rivuole indietro i migranti: devono venire qui a lavorare

di Luigi Guelpa – Tra il 2013 e il 2016 circa 40mila abitanti del Gambia hanno abbandonato il Paese per fuggire alla dittatura di stampo jihadista instaurata dal presidente a vita Yahya Jammeh, deposto dopo l’intervento dei caschi blu dell’Onu nel gennaio del 2017. Un terzo di questi disperati è approdato in Italia tentando la «back way», così viene chiamata in Gambia l’avventura migratoria verso il sogno europeo. Oggi però la situazione è drasticamente cambiata nella nazione africana grande quanto la Basilicata.

Il presidente eletto, Adama Barrow, ha firmato accordi economici sia con l’Ue che con la Cina per rimettere in moto l’economia del Paese, trovando un’intesa di massima con Bruxelles per il rimpatrio dei migranti. Eppure nessuno tra loro sembra disposto a percorrere la strada a ritroso, per altro non su imbarcazioni di fortuna, ma a bordo di comodi aerei.

«Durante la dittatura sono fuggiti soprattutto i giovani – racconta il ministro degli Affari economici Mambury Njie – Abbiamo perso quasi tutta la potenziale forza lavoro. Su una popolazione di poco meno di 2 milioni di abitanti, 40mila profughi rappresentano una percentuale significativa».

Il Gambia, striscia di terra che dall’Oceano Atlantico, come un lombrico, si insinua fino al cuore del Senegal, possiede in questo momento mezzi, strumenti e soprattutto denaro per far ripartire il Paese. […]

«Migliaia di nostri figli hanno lasciato il Paese rischiando la morte e allo stesso tempo ci hanno privato delle loro potenzialità, per noi essenziali. La ripresa economica non è più un miraggio. Ma senza forza lavoro non saremo in grado di costruire strade e ferrovie, di aprire un nuovo aeroporto, e soprattutto di far ripartire i settori dell’agricoltura e del turismo»

Il ministro Mambury Njie di fronte alle prospettive di sviluppo, ma alla mancanza di manodopera, ha lanciato un messaggio provocatorio, ma fino a un certo punto. «Continueremo a insistere per il rimpatrio dei nostri connazionali, ma non abbiamo più tempo da perdere. Di recente sono stati aperti tavoli diplomatici con Senegal, Guinea e Guinea Bissau per reperire forza lavoro dall’estero».

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