Regione Emilia R., 210 milioni di perdite in derivati

di Antonio Amorosi

A sinistra, l’Emilia Romagna è la regione simbolo, considerata virtuosa per eccellenza quando occorre parlare di “buona amministrazione”. Perché nei conti e nello storytelling non ci guarda quasi mai nessuno. Però fra un anno si vota proprio per le regionali e non tira una bella aria neanche da quelle parti. Alle ultime politiche la sinistra ha perso collegi come Ferrara, Cesena, Rimini e masse di voti anche nei fortini, Bologna, Reggio Emilia e Modena. Gli addetti ai lavori, soprattutto di sinistra, posseggono sondaggi molto preoccupanti per la famiglia Pd emiliano romagnola. Ora un cambio di equilibri, dopo 70 anni ininterrotti di governo di sinistra, potrebbe portare aria nuova nella stanza dei bottoni di via Aldo Moro, la sede del più importante e ricco Ente del territorio, con effetti imprevisti sul territorio.

Il rischio di una vittoria in Regione di chi ora è all’opposizione, ma al governo nel Paese, è che si mettano in discussione equilibri politici ed economici talmente consolidati da non esistere neanche nelle regioni del sud lasciate alle mafie. Cambiamenti tutti da vedere, ma i nuovi amministratori, chiunque essi siano, dovranno intanto misurarsi con argomenti che i più neanche conoscono e di cui fino a ieri era difficile ragionare.

L’Emilia Romagna, su cui si glissa quando si parla di operazioni finanziarie ardite, è invischiata nella partita “derivati”, alla pari di altri enti. Nel 2015 la Corte del Conti analizzò la finanza allegra degli enti locali indicandola come il principale buco nero su cui intervenire. I “derivati” sono delle scommesse finanziarie il cui successo dipende (da cui la parola derivato) dall’andamento di un contratto finanziario “sottostante”, molte volte neanche noto a chi lo sottoscrive. Quasi sempre i “derivati” offrono immediata liquidità da parte delle banche mentre le perdite, che si protraggono per decenni, finiscono nei bilanci degli anni successivi a carico di chi arriverà.

Se fino a ieri nella classifica delle esposizioni degli enti locali si è sempre parlato di Regioni come Piemonte, Campania e Lombardia, il consigliere “Sovranista” Michele Facci (Misto-Mns) ha portato alla luce una nota integrativa del Bilancio 2018 inserita nel Bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2019-2021. La Regione dice di avere un disavanzo di 2 miliardi 161 milioni di euro su 17 miliardi di bilancio totale, anche se il bilancio poi torna in pari, e che li ripianerà. Tecnicamente i revisori dei conti non possono presentare censure su un argomentazione del genere perché l’Ente spiega come intende ripianare il disavanzo. E vediamo come fa. Dei 2 miliardi 161 milioni di euro il primo miliardo e 200 mila, si scrive tecnicamente, è un debito autorizzato e non contratto, e che si trascina almeno da due esercizi (due mandati, ma è probabile che accada da più tempo. E siamo nella giustificazioni di prassi, dove la Regione dà una sorta di copertura al proprio disavanzo, un’autorizzazione a procedere, come se avesse chiesto un ulteriore credito bancario. Se non si desse ci sarebbero problemi formali). Così l’Ente scrive che il disavanzo è diviso in due parti: da un lato 1 miliardo e 200 mila euro circa si ripianeranno completamente nel 2019, perché nel nel 2020 e nel 2021 il disavanzo sarà 0. E gli altri 852 milioni, per la costituzione di un fondo di liquidità, verrà ripianata con 20-30 milioni di media ogni all’anno (in circa 40 anni, quindi). Ma che il miliardo e 200 mila euro venga ripianato nel 2019 lo si può credere credere solo sulla carta. Non è possibile sottrarre a un bilancio pubblico di 17 miliardi d’emblée 1,2 miliardi di euro. Eppure lo si scrive.

Ma veniamo ai derivati. Sono stati contratti alla fine del 2004 e sono partiti dal gennaio 2005 ad un tasso variabile per poi essere convertirti nel 2009 ad un tasso fisso del 5,25%.

“La Regione perderà ben 210 milioni”, spiega il consigliere Facci ad Affari. E lo scrive la Regione stessa nelle sue previsioni, come abbiamo potuto leggere. “Da qui al 2032 a causa dei contratti in derivati sottoscritti nel 2004 con gli istituti finanziari Dexia Crediop, Unicredit Banca Mobiliare e JP Morgan, per un valore complessivo di circa 473 milioni e 418mila euro”, racconta, “e si tratta di una valutazione ottimistica, alla luce dell’andamento futuro dei tassi d’interesse. La vicenda sta provocando al bilancio della Regione perdite tra i 12 e i 16 milioni all’anno”.

Senza colpo ferire. Con una somma non irrilevante per un Ente regionale.

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A fronte di questi dati, anche se possiamo continuare a parlare dell’Emilia Romagna regione modello, come impartì alla vulgata del partito il segretario del Pci Palmiro Togliatti già nel lontano 1945, andrebbe capito il motivo di questa scelta in perdita.

Per tale motivo Facci ha chiesto all’Ente già a dicembre perché “quei contratti non siano stati rinegoziati, alla luce della loro evidente onerosità e della perdita sistematica a carico del bilancio regionale, che potrebbe anche essere generare una responsabilità per danno erariale”. Ma il consigliere non ha ottenuto risposta. Non abbiamo dubbi che una esaustiva prima o poi arrivi o è auspicabile che accada almeno prima della prossima tornata elettorale. Ma il futuro, si sa, dura a lungo. Almeno fino al 2032.

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“I contratti stipulati dalla Regione”, scrive il consigliere “sono validi fino al 30 giugno 2032 e prevedono, di fatto, la trasformazione del tasso d’interesse del debito sottostante da variabile, nel periodo 2004-2009, a fisso nel periodo successivo fino a scadenza (30 giugno 2032). Considerato che questa trasformazione (nella misura del 5,25%) sta provocando perdite tanto elevate, chiedo all’Amministrazione regionale di conoscere i motivi per cui non si sia operata la rinegoziazione dell’investimento e se la Giunta non ritenga che la sottoscrizione dei tre contratti in derivati sia stata negativa dal punto di vista della corretta gestione delle finanze pubbliche”.

www.affaritaliani.it

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