Cassazione: uccidere chi è in irreversibile sofferenza fisica non è un valore morale

In attesa che il Parlamento, sollecitato dalla Consulta, faccia una legge sull’eutanasia entro il prossimo settembre, la Cassazione rimane del parere – espresso altre volte – che non meriti le attenuanti di aver agito con “particolare valore morale” chi uccide una “persona che si trovi in condizioni di grave ed irreversibile sofferenza fisica”. Così la Suprema Corte ha confermato la condanna per omicidio volontario senza ‘sconto etico’ a un marito che aveva sparato alla moglie ricoverata allo stadio finale per Alzheimer.

Con questa decisione depositata oggi, i supremi giudici affermano il principio per cui “nella attuale coscienza sociale il sentimento di compassione o di pietà è incompatibile con la condotta di soppressione della vita umana verso la quale si prova il sentimento medesimo.

Non può quindi essere ritenuta di particolare valore morale – concludono gli ‘ermellini’ – la condotta di omicidio di persona che si trovi in condizioni di grave e irreversibile sofferenza”. Per questa ragione, è stato respinto il ricorso di Vitangelo B., anziano marito di 88 anni (condannato a sei anni e sei mesi), che dopo aver assistito in casa per anni la moglie malata di Alzheimer, le aveva sparato tre colpi di pistola il primo dicembre 2007 quando, per l’ulteriore aggravamento, la donna era stata ricoverata all’ospedale di Prato. Ad avviso della Cassazione, è ritenuta “pratica di civiltà” uccidere gli animali di compagnia quando non curabili, mentre “nei confronti degli esseri umani” operano “i principi finalizzati alla solidarietà e alla tutela della salute” e del “superiore rispetto della vita umana”. ANSA

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