I Rohingya: interessi geopolitici ed economici mascherati da conflitto etno-religioso

I Rohingya : interessi geopolitici ed economici , mascherati da un conflitto etno-religioso, strumentalizzato ad arte.

di Vittorio Zedda

Questa vicenda dei musulmani Rohingya perseguitati in Myanmar mi ha lasciato a lungo perplesso e dubbioso. La storia ultramillenaria dei conflitti innescati dall’espansionismo islamico in tutto il mondo ha avuto, e non lo nego, il suo peso nella mia iniziale perplessità, anche in riferimento all’attuale momento politico mondiale e anche per il modo e l’insistenza singolare con cui i presunti “fatti” ci venivano raccontati dai mezzi di informazione. Ho quindi recepito con una certa freddezza le notizie. In ogni caso , poiché cerco di costruirmi un mio giudizio basato su dati per me attendibili e sostenibili , evito di farmi guidare acriticamente da un pregiudizio, quand’anche frutto di convincimenti maturati e fondati . Ogni fatto può avere specificità non riconducibili a schemi noti. Quindi, conscio di quanto premesso, quando stampa e TV hanno cominciato a proporre e riproporre reportage sulla “persecuzione dei musulmani Rohingia” non ho escluso affatto che qualcosa di serio ci potesse essere in quel lontano conflitto, di cui peraltro si sapeva solo ciò che volevano farci sapere quelli preposti alla diffusione delle notizie . E non ho escluso parimenti a priori che gli effetti crudeli dello scontro in atto potessero aver determinato come al solito sofferenze ,lutti e ingiustizie inaccettabili a carico delle fasce più deboli o più esposte delle popolazioni coinvolte in quegli eventi . E soprattutto a danno dei perdenti. Un motivo in più per volerci veder chiaro , per uno come me che non ha poi tanta voglia di abbeverarsi a certi fonti di verità prefabbricate, presentateci come oro colato.

Quando poi è stata diffusa l’annuncio che Papa Francesco si sarebbe recato in Myanmar anche per intercedere a favore dei Rohingya perseguitati , mi sono trovato di fronte ad una serie di interrogativi che la notizia inevitabilmente suscitava tanto in me quanto in molta altra gente non disattenta di fronte alla singolarità di un evento di grande presa mediatica, emergente con forza fra le innumerevoli notizie, o bufale, con le quali normalmente ci sviano, distraggono e manipolano.

E’ questo un Papa che ha sorpreso molti poiché pare restio a menzionare i musulmani , o le loro possibili responsabilità se accertate, sia quando il terrorismo islamico semina stragi e lutti dappertutto, sia quando l’ISIS compie eccidi di una crudeltà criminale tale da appannare quasi il ricordo degli orrori nazisti, sia quando i cristiani vengono massacrati in Africa e in Asia dai soliti non-nominati, sia quando vengono profanate chiese dai soliti noti con annesso sgozzamento del prete sull’altare, sia quando vengono commessi altri fattacci impossibili da enumerare,sempre ad opera di quelli che non si citano. Un Papa che ha scelto ed attua una tale linea di condotta per motivi che possiamo tentar di capire, ma che lui apertamente non dichiara, desta certamente sorpresa allorquando parte per una terra lontana al fine dichiarato di intercedere a favore di una minoranza musulmana, che dicono oppressa. E’ pur vero che Papa Bergoglio è alla costante ricerca del gesto clamoroso e dell’occasione pubblica per manifestare urbi et orbi la sua totale disponibilità e apertura verso il mondo islamico. Ma l’occasione per farlo può essere determinata da convergenze politiche e opportunità temporali in cui il “grande gesto” può essere strumentalizzato da chi si vuol servire del Papa per altri fini, non si sa con quale e quanta convinta consapevolezza o ricercato protagonismo dell’attore principale.

Visto che la linea papale non è quella di intercedere più di tanto per i cristiani perseguitati additando esplicitamente i persecutori ,perché allora non intercede per i musulmani geograficamente più vicini , e cioè quelli vittime dell’integralismo islamico che uccide forse più musulmani che non musulmani, anche colpendo le moschee nei giorni di preghiera ? Le occasioni sono frequenti,oltretutto.Il viaggio in Myanmar non aveva e non ha avuto quindi, ad avviso di molti, un significato solo ed eminentemente pastorale, vista la scarsità di cristiani in quell’area, e il gesto fraterno verso i “perseguitati, pur generosamente ammantato di cristiana misericordia, lascia supporre una finalità eminentemente politica, di livello internazionale.

Domanda: è questo il ruolo e la missione del papa ? E se sì, perché per i Rohingya sì, con tanto dispendio di mezzi ed energie, e per altri punto o poco?
Nel tentativo di darsi delle risposte , si fanno ricerche e ci si documenta. E devo dire che poco si capirebbe di questa storia se non ci mettessimo di fronte ad una carta geografica della zona interessata.

Osservando la carta geografica si capisce meglio perché nella storia degli ultimi due secoli il Myanmar, un tempo Birmania, si sia trovato in mezzo agli opposti interessi delle potenze mondiali egemoni . Il paese ha petrolio e gas, e già questo basterebbe a spiegare le cupidigie, ma ha pure altri minerali di pregio e soprattutto è attraversato da una via di comunicazione di enorme importanza economica e strategica, quindi politica.

Da molto tempo la Cina e i paesi, soprattutto occidentali , interessati all’interscambio con il gigante asiatico, guardano con interesse a questa via di comunicazione, denominata “Burma road” al tempo in cui la Birmania era sotto controllo britannico. Questa via pone la Cina in comunicazione diretta con il Golfo del Bengala, quindi con l’oceano Indiano. La qual cosa interessa alla Cina, ma anche a chi con la Cina vuole far affari. E qui di nuovo aiuta l’osservazione della carta geografica. La “Burma road”connette direttamente il golfo del Bengala col confine cinese tramite un percorso terrestre attraverso il il Myanmar , percorribile oggi da convogli merci ferroviari ad alta velocità. Valutandolo in chilometri, il percorso terrestre è pari ad un decimo del percorso via mare rispetto ai porti cinesi più vicini, e ad un ventesimo e oltre a quelli cinesi più lontani dalle coste del Myanmar. Il percorso “birmano” evita infatti la lunga e lenta circumnavigazione della penisola malese e il passaggio obbligato nello stretto di Malacca. Se si confrontano poi i tempi di viaggio e i costi, dell’itinerario marittimo con i tempi e i costi del percorso terrestre si comprende l’enorme vantaggio dato dalla “Burma road”, anche se ora non la chiamano più così. Basta la carta geografica a convincercene.

Che c’entrano i Rohingia (e poi che c’entra il Papa) con tutto questo ? Orbene i Rohingya occupano una regione del Myanmar strategicamente importante per il percorso della via terrestre sopra citata. Si tratta della regione dell’Arkan (oggi Rakhine) dove le ferrovie e gli oleodotti, anche cinesi, dovrebbero sfociare nell’oceano indiano. I Rohingya, se padroni a casa loro, possono essere determinanti tanto per bloccare quella via, quanto per consentirne l’utilizzo e il transito, nell’uno e nell’altro senso, dai diversi soggetti politico-economici di rilievo planetario interessati ad accedere a quella via e possibilmente a condividerne il controllo. Americani e inglesi, i primi in lista. Non sono mancate quindi da parte dei principali interessati pressioni di vario genere sui Rohingia al fine di sostenere le spinte secessioniste presenti in questa minoranza. E in questo, oltre all’America, anche l’Arabia Saudita ha dato il suo appoggio ai Rohingya e all’Arakan Rohingia Salvation Army.

E’ noto per altro che le minoranze musulmane, in varie parti del mondo, a causa della loro difficoltosa integrabilità con qualsiasi altro gruppo etno-religioso, hanno spesso puntato alla creazione locale di uno stato islamico, separato dal più vasto stato di appartenenza, iniziando questo processo costituendo enclave etno-religiose distinte e conflittuali con i circostanti popoli e territori non-musulmani. E’ un antico e collaudato processo espansionistico legato all’ideologia politico-religiosa dell’islam, orientata all’imposizione al mondo intero dell’ “unica vera religione”, con qualsiasi mezzo perché ogni mezzo è lecito per realizzare lo scopo. Non è stato difficile quindi fomentare e strumentalizzare i Rohingya, spingendoli verso la secessione dal Myanmar. Il conflitto e le violenze sono state reciproche, come in ogni conflitto, e non a senso unico contro i Rohingia come vogliono farci credere. E’ peraltro lecito supporre che una minoranza non potesse che avere la peggio, cosa che peraltro non interessava a chi li aveva spinti allo scontro se non per poi strumentalizzare la difficile condizione dei Rohingia in fuga verso il Bangladesh, denunciando una “persecuzione” con cui si è definito l’esito di una sconfitta e probabilmente le conseguenti vendette. E mascherando da doveroso e caritatevole intervento umanitario un’intrusione a tutela di interessi miliardari .

La giunta militare birmana non poteva tollerare la secessione e le connesse speculazioni affaristiche evidenti e chiare a chi vive nella regione. Aung San Suu Kyi, a suo tempo insignita del premio Nobel nel tentativo (angloamericano) di renderla non vulnerabile dai militari al potere, e anzi strumentalizzabile contro di loro, nella sua funzione più onorifica che politicamente efficace di “Consigliera del Myanmar” si trova ora ad interagire in una situazione quanto mai complessa.

La politica americana del duo Obama-Clinton avrebbe voluto, tramite il sostegno da loro fornito ad Aung San Suu Kyi, giungere a una frantumazione del Myanmar . Il mosaico compositivo del Myanmar, fatto di numerose minoranze etno-religiose, sarebbe stata utile, tramite una ipotizzata molteplicità di stati separati, anche utile a non porre in risalto la secessione dei Rohingia. La giunta militare, fiutato il tentativo, ha quindi rinsaldato i rapporti con la Cina e usato il pugno di ferro nella politica interna. Aung San Suu Kyi rendendosi conto che poco poteva fare contro la Giunta Militare che di fatto controlla il paese, non ha ceduto alle pressioni angloamericane affinché prendesse posizione a favore dell’insurrezione musulmana. L’avrebbe pagata cara e all’istante. Ciò ha “stoppato” Papa Bergoglio che presumibilmente sperava in un appoggio, per quanto sfumato e sommesso, a favore dei Rohingya da parte di Aung San Suu Kyi, che peraltro lo aveva preavvertito in merito a ciò di cui avrebbe o non avrebbe voluto parlare. Intanto però Aung San Suu Kyi mostra di rendersi sempre meglio conto del gioco dei suoi presunti amici occidentali e del pasticcio che hanno combinato nel suo paese, che rischia una balcanizzazione, nella quale potrebbero ritrovare spazio azioni dell’ISIS, anche dirette dai soliti manovratori a distanza. Il risultato è che al Papa Bergoglio non è restato altro da fare che andare a lamentare la persecuzione dei Rohingya nel vicino Bangladesh, perché, evidentemente non poteva certo accettare di aver affrontato un impegno tanto gravoso per niente e quel che voleva dire l’ha detto. Resta la domanda : chi glielo ha fatto fare ? Un anelito di pace ed ecumenica misericordia? Oppure la partecipazione ad un disegno politico cui un Papa non avrebbe dovuto mescolare un presunto intervento pacificatore ed umanitario con un gioco politico ed egemonico voluto da altri per altri fini tutt’altro che pastorali. Ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere.

Questa l’opinione che mi sono fatto, per ora, salvo l’acquisizione di ulteriori possibili elementi di giudizio. Attendo di confrontarmi con chi è più competente di me in materia. Sarei felice di essere smentito in alcune mie conclusioni, cui sono giunto non senza delusione e rammarico. Disponibile quindi a ricredermi e ad imparare quel che non so. Ma non a bere ad occhi chiusi qualsiasi cosa mi venga propinata.

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