Aldo Cazzullo “Possa il mio sangue servire”

Libro del GiornoALDO CAZZULLO, ”POSSA IL MIO SANGUE SERVIR’E’ (RIZZOLI, 416 PP., 19 EURO) –

Basta leggere i commenti a qualsiasi articolo, blog o post sui social network che menzioni la Resistenza per capire quanto, sebbene siano trascorsi settant’anni, in Italia il tema sia tutt’altro che un patrimonio condiviso, ma anzi strumentalizzato, ideologizzato e capace ancora di dividere il pubblico. Aldo Cazzullo, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, si stupisce di questa faziosità ancora accesa nel suo ultimo libro, ‘Possa il mio sangue servire’, raccolta di storie di uomini e donne che “hanno resistito”, per l’appunto, al nazifascismo: socialisti, comunisti, monarchici, studenti, militari, religiosi.

Un testo storico che non ha la pretesa di essere un manuale di scuola, semmai fruga laddove i manuali non arrivano. Sì, perché il rifiuto della dittatura si manifestò nella guerriglia dei partigiani, ma anche in una miriade di altri modi: nella fermezza dei carabinieri che dopo l’8 settembre preferirono il lager al tradimento del giuramento fatto al Re, nel coraggio delle suore che nascondevano i fuggiaschi nei conventi e trasmettevano i loro messaggi, nella generosità dei contadini che con grave rischio aprirono le porte delle case, dei fienili e delle stalle ai giovani patrioti.

In questa folla di uomini e donne ci sono personaggi i cui atti coraggiosi li hanno consacrati come eroi, come Salvo D’Acquisto o i fratelli Cervi. Altri, sopravvissuti alla guerra, saranno ricordati (anche) per le loro opere in campi diversi: gente come Enrico Mattei, partigiano a Milano e nell’Oltrepò pavese; Giovannino Guareschi, internato militare in Polonia e in Germania per aver rifiutato di andare a combattere a Salò; Gino Bartali, che trasportava dentro il telaio della sua bicicletta le carte necessarie per fabbricare documenti falsi agli ebrei; e ancora Sandro Pertini, Gianni Rodari, Italo Calvino.

Dei più, tuttavia, ci restano nella migliore delle ipotesi soltanto i nomi e qualche brandello delle loro vicende personali: ricostruite dall’autore con gran mole di lavoro d’archivio, queste vicende si susseguono veloci – qualche volta poco più che flash – rendendo il libro avvincente come un romanzo (in appendice, come già ne ‘La guerra dei nostri nonni’, si trovano raccolte le testimonianze attinte dai ricordi familiari e inviate al giornalista dagli amici di Facebook).

Cazzullo non attribuisce ai partigiani tutto il merito della Liberazione, impensabile senza l’intervento alleato, e neppure censura certe pagine nere di quei mesi di lotta (“I responsabili hanno tradito gli ideali della grande maggioranza degli uomini e della Resistenza; la cui memoria non ha nulla da temere, anzi esige la denuncia di quei criminali e di quei crimini). Al contempo rifiuta però quel revisionismo che porta a mettere sullo stesso piano etico entrambe le fazioni, i “resistenti” e i “ragazzi di Salò”, dicendo chiaro e tondo che una parte giusta ci fu, ed è quella scelta da chi disse no al fascismo.

A scandire la narrazione, le ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza. Il titolo è appunto tratto da una di queste, scritta al padre da un capitano d’artiglieria fucilato il 5 aprile del 1944 (“A rileggere, nell’Italia di oggi, alcuni passi delle ultime lettere di Franco Balbis – scrive a ragione Cazzullo – c’è da sentirsi un verme”). Il contenuto è quasi sempre lo stesso, pieno d’affetto per i cari lontani, ai quali si chiede perdono per le sofferenze causate, traboccante di amore per la patria, senza una sola parola di odio verso gli aguzzini. Poi sono ben scritte: per chi ha figli, la raccomandazione è sempre una, “studiate”, per poter essere un giorno utili al Paese. Della rinascita dell’Italia, infatti, nessuno dubita: ed è un prezioso esempio di speranza di cui si deve tramandare la memoria e a cui guardare in ogni momento di crisi collettiva, compreso quello che stiamo vivendo.
(ANSA).

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