Investimenti globali in calo, ma i paradisi fiscali prosperano

Paradisi-Fiscali

27 giu – (Reuters) – Gli sforzi per impedire alle grandi aziende di travasare denaro attraverso i paradisi fiscali sembrano fallire, mentre i centri finanziari offshore hanno aumentato ancora il proprio peso sui cosiddetti foreign direct investment (Fdi) nel 2012, stando a un rapporto Onu.

“Combattere solo i centri finanziari offshore chiaramente non basta, e non sta risolvendo il problema principale”, dice il World Investment Report, pubblicato oggi dall’Unctad, cioè la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo.

Mentre in molte economie gli investimenti calano nettamente, un Paese celebra invece il proprio boom: si tratta delle Isole Vergini Britanniche che, con una popolazione di 30.000 abitanti, sono attualmente il quinto maggiore destinatario di investimenti al mondo, dice il rapporto.

L’arcipelago dei Caraibi ha registrato nel 2012 circa 65 miliardi di dollari di investimenti, poco meno del Brasile e 10 volte quanto aveva ricevuto soltanto nel 2006.

I flussi di Fdi verso i paradisi fiscali hanno registrato un’impennata negli ultimi cinque anni, da una media di 15 miliardi di dollari nel 2000-2006 a 75 miliardi nel periodo 2007-2012, dice il rapporto.

“Le economie dei paradisi fiscali ora rappresentano una parte non trascurabile e in aumento dei flussi di Fdi, circa il 6%”, dice il think thank dell’Onu.

Allo stesso tempo, invece, le fonti tradizionali di Fdi – acquisizioni oltre confine e espansioni oltre oceano delle corporation – sono crollate.

Tra le zone che vanno peggio i Paesi dell’area euro come il Belgio, che nel 2011 ha attratto 103 miliardi di dollari ma nel 2011 invece ha perso denaro, perché gli investitori hanno liquidato tutto. Anche i Paesi Bassi hanno registrato un fenomeno del genere, mentre la Germania è passata dai 409 miliardi del 2011 ai meno di 7 miliardi del 2012.

Gli investimenti diretti stranieri globalmente sono calati del 18% a 1350 miliardi nel 2012 e probabilmente resterà a un livello simile anche quest’anno. Per il 2014 le stime dell’Unctad indicano 1600 miliardi, 1.800 per il 2015.

Nei paradisi fiscali la gran parte dei flussi di Fdi non finanziano progetti locali, ma vengono in realtà reindirizzati nel paese di partenza.

“Per esempio, le tre principali destinazioni di flussi Fdi dalla Federazione Russa – Cipro, Paesi Bassi e le Isole Vergini Britanniche – coincidono coi tre principali investitori nella Federazione Russa”, dice il rapporto.

Ciò significa che i flussi di Fdi potrebbero anche essere più deboli di quanto sembrerebbe, dato che una porzione crescente è rappresentata da quello che viene indicato col nome “round-tripping”.

Ancora più denaro passa per le cosiddette “special purpose entities” (Spes). Le aziende creano queste affiliate straniere per scopi specifici, come la gestione del rischio di scambio estero o per facilitare il finanziamento di un investimento.

I flussi diretti alle Spes in solo tre Paesi – Ungheria, Lussemburgo e Paesi Bassi – ammontavano a 600 miliardi di dollari nel 2011, rispetto ai 90 miliardi destinati ai paradisi fiscali.

Questi flussi non vengono considerati Fdi nel rapporto. Comunque per l’Onu stanno assumendo sempre maggiore importanza e alcuni esempi indicano come i soldi che seguono questo percorso vengano poi investiti in paesi terzi.

Il rapporto invita a discutere del differenziale di tassazione sulle aziende tra i Paesi, dei regimi di tassazione extraterritoriale e della leva fiscale sui guadagni rimpatriati. “Senza un’azione parallela su questi fronti, gli sforzi per ridurre l’elusione fiscale attraverso i centri finanziari offshore e gli Spes restano simili a nuotare contro la corrente di marea”.

(Tom Miles )

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