L’Alleanza fra Occidente e Arabia Saudita è il combustibile dell’islamismo

 

di Toby Matthiesen – ricercatore senior nelle relazioni internazionali del Medio Oriente al Collegio di S. Antonio, Università di Oxford. Egli è autore di Sectarian Gulf: Bahrain, Saudi Arabia, and the Arab Spring That Wasn’t” e “The Other Saudis: Shiism, Dissent and Sectarianism. Articolo originariamente pubblicato su New York Times.

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Una delle contraddizioni fondamentali della politica estera occidentale verso il Medio Oriente è la forte alleanza con l’Arabia Saudita.

Con le sue vaste risorse petrolifere e la sua posizione strategica tra il Mar Rosso e il Golfo Persico, fermamente anticomunista, l’Arabia Saudita è diventata un alleato chiave dell’occidentale durante la Guerra Fredda. Dal 1970, questa alleanza con l’Occidente e l’afflusso di enormi guadagni provenienti dalla vendita del petrolio, hanno permesso all’Arabia Saudita di esportare il marchio dell’Islam sunnita, chiamato wahhabismo, del suo fondatore Muhammad Ibn Abd al-Wahhab, favorendo l’omogeneizzazione delle pratiche islamiche in tutto il mondo. Noto per il suo rifiuto della storia pre-islamica, la visita di tombe, la promiscuità fra uomini e donne, lo zelo per purificare l’Islam da presunte pratiche devianti (come il Sufismo e lo sciismo) e il suo disprezzo per le altre religioni, quello wahhàbiyya è stato il movimento puritano che ha dato legittimità religiosa alle conquiste di Al Saud. (il wahhabismo autorizza anzi incoraggia i praticanti a commettere qualsiasi crimine e barbarie sia necessaria per creare lo “Stato Islamico globale”, ndr.)

Gli Stati Uniti hanno collaborato con l’Arabia Saudita nel 1980 per indebolire l’Unione Sovietica in Afghanistan. Questa cooperazione con l’Islam radicale ha avuto conseguenze disastrose e l’ascesa di Al Qaeda e ISIS è il risultato dell’alleanza fra l’ideologia seducente di uno Stato ricco di petrolio e una superpotenza globale.

Chi riportò l’Afghanistan al medioevo, più di trent’anni fa, ndr

La diffusione dell’estremismo islamico è quindi una conseguenza sia della politica estera occidentale, che delle macchinazioni dei sauditi. Il sostegno occidentale e dei Paesi del Golfo per i ribelli in Siria ha seguito un percorso simile a quello osservato nell’Afghanistan, che ha cominciato a rivoltarsi contro l’Occidente e gli Stati del Golfo prima di ISIS. Ma non è un caso che ISIS stia adottando libri di testo di religione saudita nelle sue scuole, che stia uccidendo sciiti in Arabia Saudita proprio come volevano i primi fanatici wahhabiti, e in genere ottenendo anche molto sostegno a livello popolare nel regno.

La forte alleanza fra l’Occidente e la famiglia regnante saudita non ha portato a una moderazione della politica religiosa del paese. Anzi nella strategia di reclutamento di ISIS rende molto più facile descrivere le monarchie del Medio Oriente come burattini.

La differenza fondamentale tra l’ideologica dell’ISIS e l’inizio del movimento wahhabita saudita è che lo Stato Islamico vuole stabilire un califfato e considera la monarchia come forma non islamica di governo. Spaventata da questa sfida, che gli stati del Golfo hanno contribuito a creare, l’Arabia Saudita ha ribadito la sua alleanza con le forze religiose wahhabite conservatrici del paese.

Ma con l’espandersi di ISIS, l’Arabia Saudita ha ora un nemico che è così vicino alla sua interpretazione religiosa dell’Islam, che non può permettersi di combattere ISIS perché sarebbe minare la sua autorità a casa. E così il sostegno dell’Occidente per le dittature del Medio Oriente continua ad alimentare le fiamme che hanno dato origine ad Al Qaeda e ISIS, nonostante la crescente consapevolezza che queste alleanze sono una lama a doppio taglio.

Traduzione a cura di Imolaoggi

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