Il Web riflette sull’ipotesi di uno “sceriffo”, Occidente e colossi del Web gridano alla censura

5 dic – Partigiani di un libero web in libero mercato contro sostenitori di più strette maglie che evitino crimini e anarchia in rete. E’ lo scontro, tutt’altro che virtuale, che va in scena in questi giorni alla Conferenza Mondiale sulle Telecomunicazioni di Dubai. Prospettiva che scalda gli animi è soprattutto quella di un “garante del web”.

I sostenitori parlano di unico a rimedio a quello che ormai considerano il “far west della rete”. Ma Occidente e colossi del Web gridano alla censura.

“Internet subisce attacchi di diversa natura – dice Vint Cerf da Google -. Alcuni paesi lo vedono come una minaccia, soprattutto quelli che temono la libertà di espressione. Oltre 40 governi, oggi, censurano questo o quell’altro aspetto di internet. E si assiste inoltre anche a una serie di rappresaglie governative ai danni di chi ricorre alla rete, come piattaforma di espressione”.

Esempio emblematico citato dai “liberisti” del web sono le Pussy Riot. Il ritiro dalla rete del loro video, ordinato dalle autorità russe negli scorsi giorni non sarebbe secondo loro che la palese manifestazione di un più capillare controllo, che governi come quelli di Mosca e Pechino non esitano d’altronde a rivendicare apertamente.

A rilanciare l’interrogativo sulla necessità di una regolamentazione è però anche la dimensione sempre più globale del fenomeno internet. Da quasi 2 miliardi di utenti nel 2010 a 5 nel 2020 che, secondo le proiezioni, abbandoneranno inoltre per quella data gli “host” delle origini, in favore di una più duttile galassia di network locali multipiattaforma, aperti a tablets, cellulari e altri apparecchi.

Con il boom che non tralascia il continente africano, i paesi in via di sviluppo si trasformano poi agli occhi dei big delle telecomunicazioni in terra di conquista.

Se a dividere Europa e Stati Uniti è qui il modello da seguire per la realizzazione delle necessarie infrastrutture, a metterli d’accordo è il “no” a un pronunciamento per una regolamentazione del Web, che il Parlamento Europeo ha addirittura ribadito con una risoluzione.

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