Camera degli Imputati: Le “quote marron” di Marco Travaglio.

Da il Fatto Quotidiano del 30/09/2012 riportiamo un articolo di Marco Travaglio.

Siccome ormai indignarsi è una moda trendy, già immaginiamo gli alti lai e gli stracciar di vesti che seguiranno alla puntata di stasera di Report con la carrellata dei condannati, imputati, indagati e prescritti del Parlamento italiano: 100 in tutto. Le “quote marron” formano un poderoso esercito di onorevoli e senatori che ammonta ormai ben oltre uno su dieci del totale: un tasso di devianza che non trova riscontri nemmeno nelle più degradate periferie metropolitane. Con un’aggravante, messa bene in luce da Report: questi galantuomini sono portatori insani del più smaccato eppur invisibile conflitto d’interessi. Dovrebbero votare leggi più severe contro la corruzione, la concussione, il falso in bilancio, la truffa, il peculato, l’abuso d’ufficio, il finanziamento illecito, l’associazione per delinquere, ma non vogliono né possono farlo, dovendo rispondere di quei reati nelle procure, nei tribunali, nelle corti d’appello, in Cassazione o addirittura (21 di loro) sono già stati condannati in via definitiva. Poi naturalmente ci sono gli avvocati che li seguono in Parlamento, quasi tutti infilati nelle commissioni giustizia a legiferare a vantaggio dei clienti che li han fatti eleggere grazie al Porcellum. Infine c’è chi è incensurato solo perché non l’hanno ancora scoperto e agisce di conseguenza. Solo così si spiega la produzione industriale di leggi-vergogna, ad castam, contro la giustizia e a favore dei ladri con colletto bianco e guanti gialli (un centinaio di norme negli ultimi 15 anni), il blocco della ratifica delle convenzioni internazionali contro la corruzione e financo del risibile pacchetto anti-tangenti racimolato dalla ministra Paola Severino. Ma nel Palazzo sono in pochi ad aver il diritto a indignarsi. In qualche cassetto del Senato riposa in pace dal 2007 la proposta di legge di iniziativa popolare su cui Beppe Grillo, al V-Day di Bologna, aveva raccolto 300 mila firme per rendere ineleggibili almeno i condannati. Et pour cause. Tutti i maggiori partiti, in questi anni, hanno portato in Parlamento inquisiti e condannati, sottraendoli alla giustizia o per solidarietà di casta o perché ricattati (o mi fai eleggere o parlo di te): dal Pdl all’Udc, che vantano il record mondiale di “quote marron”, al Pd, che s’è accontentato di metterne in lista qualcuno in meno. Abbiamo persino la seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Renato Schifani, indagato a Palermo per mafia. E fino a dieci mesi fa il premier Silvio Berlusconi era imputato di corruzione giudiziaria, concussione, prostituzione minorile, frode fiscale, appropriazione indebita e falso in bilancio: eppure il presidente Napolitano, al momento di dargli l’incarico nel 2008, non fece una piega. Così come quando nominò vari inquisiti come ministri e sottosegretari. E pensare che nel 1992 Oscar Luigi Scalfaro rifiutò di incaricare Bettino Craxi perché avrebbe potuto essere (ma ancora non lo era) inquisito da Mani Pulite dopo l’arresto di Mario Chiesa. E nel ’94 rifiutò di nominare ministro della Giustizia Cesare Previti non perché fosse indagato (ancora non lo era), ma perché era l’avvocato del premier, dunque in conflitto d’interessi. Altri tempi, altri presidenti. 1994, liste pulite. Nel 1994 era ancora aperta la piaga di Tangentopoli, che aveva stracciato tutti i primati di inquisiti in Parlamento dall’Unità d’Italia: solo nel primo anno dell’inchiesta Mani Pulite, dal febbraio ’92 al febbraio ’93, le Camere elette nel 1992 avevano ricevuto ben 540 richieste di autorizzazione a procedere (allora necessaria per poter inquisire un eletto) nei confronti di quasi altrettanti deputati e senatori: 107 per corruzione, 89 per concussione, 46 per ricettazione, 116 per illecito finanziamento, 108 per abuso. Il totale aveva raggiunto quota 619 il 15 novembre 1993, quando – per recuperare un po’ di credibilità – il Parlamento abolì l’autorizzazione a procedere per le indagini.

Oggi pare incredibile, ma Berlusconi fece firmare agli aspiranti candidati di Forza Italia una dichiarazione scritta e giurata che recitava: “Dichiaro: 1) di non avere carichi pendenti; 2) di non avere ricevuto avvisi di garanzia; 3) di non essere stato e di non essere sottoposto a misure di prevenzione e di non essere a conoscenza dell’esistenza a mio carico di procedimenti in corso”. E analogo impegno pretesero dai propri candidati la neonata Alleanza nazionale, i Progressisti e il Ppi-Patto Segni. Infatti gli unici partiti con i vertici indagati furono la Lega Nord (con Bossi coinvolto nella maxi-tangente Enimont) e il Pds (con il segretario Achille Occhetto e il vicesegretario Massimo D’Alema inquisiti a Roma, assieme al tesoriere Marcello Stefanini, perché denunciati da Craxi e in seguito archiviati). 1996, le prime macchie. La legislatura dell’Ulivo, nata dalle elezioni del 1996 vinte da Romano Prodi, inizia sull’onda dello scandalo “toghe sporche ”, scoperchiato grazie alle rivelazioni di Stefania Ariosto: Berlusconi, già imputato per corruzione della Guardia di finanza, per i falsi in bilancio All Iberian e per i finanziamenti illeciti a Craxi, è indagato insieme a Previti per corruzione giudiziaria (casi Sme e Mondadori). Anche Antonio Di Pietro è imputato a Brescia in varie inchieste nate dalle denunce di molti suoi imputati: per questo non si candida (verrà prosciolto solo a campagna elettorale inoltrata e sarà nominato da Prodi ministro tecnico dei Lavori pubblici). Il Cavaliere invece sì e porta in Parlamento il suo coindagato Previti; il suo coimputato Massimo Maria Berruti (favoreggiamento nel processo Gdf); e persino Marcello Dell’Utri, che nel ’94 ha preferito restare in azienda, ma nel ’95 è stato arrestato a Torino per frode fiscale e false fatture nell’indagine Publitalia (sarà poi condannato in via definitiva a 2 anni e mezzo), ed è pure indagato a Palermo per mafia. “Ho deciso di candidare Berruti per salvarlo dalla persecuzione dei giudici”, annuncia B. A Milano la Lega Nord affigge manifesti con i volti di Dell’Utri e Berruti: “Votateci, se no ci arrestano”. Così, diversamente dal 1994, nelle liste del Polo e dell’Ulivo figurano indagati e addirittura condannati (uno definitivo, Vittorio Sgarbi, per truffa allo Stato, in particolare al ministero dei Beni culturali: infatti viene subito nominato sottosegretario ai Beni culturali). Nell’Ulivo sono inquisiti Prodi (a Roma, per abuso d’ufficio nell’affare Cirio, poi chiuso col proscioglimento dinanzi al gip); D’Alema e Occhetto (indagati a Venezia per finanziamento illecito dal pm Nordio, inchiesta poi finita nel nulla); Ciriaco De Mita (vecchi processi di Tangentopoli poi chiusi con assoluzioni e prescrizioni); e Giorgio La Malfa (condannato per Enimont). Condannato, sempre per Enimont, anche Bossi, ora imputato per istigazione a delinquere. Ma si tratta ancora di eccezioni, qualitativamente decisive, ma statisticamente marginali. 2001, arrivano le cavallette. Le elezioni del 2001, che non a caso segnano il ritorno trionfale del Caimano, portano in Parlamento l’i nvasione delle cavallette. Un’orda trasversale di condannati, imputati, inquisiti e prescritti: una novantina in tutto, quasi un eletto su 10. Pressoché tutti candidati in collegi sicuri. Nel centrodestra, oltre alle conferme di B., Previti, Dell’Utri, Bossi, La Malfa, Berruti e Sgarbi, si aggiungono i neo-indagati Gaspare Giudice, Giuseppe Firrarello, Aldo Brancher, Giampiero Cantoni, Romano Comincioli; e i pregiudicati di ritorno Antonio Del Pennino, Egidio Sterpa, Alfredo Vito e Gianstefano Frigerio. Quest’ultimo lo arrestano il primo giorno di legislatura: deve scontare 6 anni e 8 mesi. Otterrà l’affidamento al servizio sociale e deciderà di scontarlo a Montecitorio, indicando come “attività socialmente utile” quella di parlamentare e trasformando così la Camera in una comunità di recupero per devianti. Per non esser da meno, anche il centrosinistra porta due pregiudicati: Enzo Carra e Auguste Rollandin. Più una serie di indagati e imputati. 2006, condannati e nominati. Nel 2006, anno del ritorno di Prodi, si vota per la prima volta col Porcellum: le segreterie dei partiti si nominano i parlamentari più graditi. Condannati e inquisiti inprimis. Solo tre liste aderiscono alla campagna di Beppe Grillo “Parlamento pulito”: Idv (che entra per la prima volta in Parlamento), Verdi e Pdci. Pier Ferdinando Casini promette: “A parte Cuffaro, in Sicilia non ricandideremo nessun inquisito”. Poi candida, oltre a Totò Cuffaro (imputato per favoreggiamento alla mafia), Giuseppe Drago, ex presidente della Regione, condannato in primo grado per peculato e abuso per aver svuotato la cassa dei fondi riservati (230 milioni di lire); Calogero Mannino, imputato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (sarà poi assolto); e Francesco Saverio Romano, indagato per lo stesso reato (anche lui poi assolto). Così anche nella XV legislatura le quote marron sfiorano il 10% del Parlamento: la solita novantina di personaggi nei guai con la giustizia. Svettano ben 21 pregiudicati: Berruti (FI, favoreggiamento), Biondi (FI, evasione fiscale poi depenalizzata), Bossi (Ln, finanziamento illecito e istiga-zione a delinquere), Cantoni (FI, corruzione e bancarotta); Carra (Dl, falsa testimonianza), Cirino Pomicino (Nuova Dc, corruzione e finanziamento illecito), De Angelis (An, banda armata e associazione sovversiva), D’Elia (Rosa nel pugno, banda armata e concorso in omicidio), Dell’Utri (FI, false fatture, falso in bilancio, frode fiscale), Del Pennino (FI, finanziamento illecito), Daniele Farina (Prc, fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e inosservanza degli ordini dell’autorità), Jannuzzi (FI, diffamazione aggravata); La Malfa (FI, illecito finanziamento), Maroni (Ln, resistenza a pubblico ufficiale); Mauro (FI, diffamazione aggravata); Nania (An, lesioni volontarie personali); Previti (FI, corruzione giudiziaria, poi dichiarato interdetto dai pubblici uffici e decaduto); Sterpa (FI, finanziamento illecito); Tomassini (FI, falso in atto pubblico); Visco (Ds, abuso edilizio); Alfredo Vito (FI, corruzione). Alcuni fanno carriera. D’Elia diventa segretario della presidenza della Camera. Farina vicepresidente della commissione Giustizia. Pomicino e Vito entrano in Antimafia. 2008, la carica dei 126. Nel 2008 B. torna al governo per la terza volta. Stabile la percentuale di quote marron: una novantina di clienti di procure e tribunali, che nel corso della legislatura saliranno a 126. I pregiudicati, all’inizio, sono 19. Ai soliti Berruti, Bossi, Cantoni, Carra, De Angelis, Dell’Utri, La Malfa, Maroni, Nania, Sciascia, Tomassini, si aggiungono alcune pregevoli new entry: Giulio Camber (Pdl, millantato credito), Giuseppe Ciarraficiale); Mauro (FI, diffamazione aggravata); Nania (An, lesioni volontarie personali); Previti (FI, corruzione giudiziaria, poi dichiarato interdetto dai pubblici uffici e decaduto); Sterpa (FI, finanziamento illecito); Tomassini (FI, falso in atto pubblico); Visco (Ds, abuso edilizio); Alfredo Vito (FI, corruzione). Alcuni fanno carriera. D’Elia diventa segretario della presidenza della Camera. Farina vicepresidente della commissione Giustizia. Pomicino e Vito entrano in Antimafia. 2008, la carica dei 126. Nel 2008 B. torna al governo per la terza volta. Stabile la percentuale di quote marron: una novantina di clienti di procure e tribunali, che nel corso della legislatura saliranno a 126. I pregiudicati, all’inizio, sono 19. Ai soliti Berruti, Bossi, Cantoni, Carra, De Angelis, Dell’Utri, La Malfa, Maroni, Nania, Sciascia, Tomassini, si aggiungono alcune pregevoli new entry: Giulio Camber (Pdl, millantato credito), Giuseppe Ciarrapico (Pdl, ricettazione fallimentare, bancarotta fraudolenta, sfruttamento del lavoro minorile, truffa pluriaggravata), Renato Farina (Pdl, favoreggiamento in sequestro di persona), Antonio Papania (Pd, abuso d’ufficio), Giuseppe Naro (Udc, abuso d’ufficio) e Salvatore Sciascia (Pdl, corruzione). Anche nel governo siede una folta rappresentanza di quote marron, con 10 elementi di spicco: il premier B. (imputato di una variopinta serie di delitti); i ministri Maroni (pregiudicato: Interni), Bossi (pregiudicato: Riforme istituzionali), Matteoli (imputato per favoreggiamento: Infrastrutture), Fitto (imputato per corruzione, finanziamento illecito, turbativa d’asta e interesse privato: Affari regionali), Calderoli (ricettazione, poi prosciolto: Semplificazione), cui si aggiungeranno Brancher (imputato di ricettazione e appropriazione indebita: Devolution) e Romano (indagato per mafia e poi assolto: Agricoltura); e i sottosegretari Gianni Letta (indagato per abuso d’ufficio, truffa e turbativa d’asta, poi in parte prosciolto) e Cosentino (indagato per concorso esterno in camorra). Tutte nomine che portano la firma del presidente Napolitano. Lo stesso presidente che non fa un plissé quando viene indagato per frode fiscale Corrado Passera, superministro dello Sviluppo economico e di tante altre cose, e viene rinviato a giudizio per truffa Adelfio Elio Cardinale, sottosegretario alla Salute. Lo stesso presidente che ora cade dal pero. Si meraviglia perché il Parlamento non approva la legge anticorruzione. E s’indigna per gli ultimi “fenomeni di corruzione vergognosi e inimmaginabili”. Roba da non credere, eh?

 

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